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UN VIAGGIO NEL TEMPO VERSO LE SPLENDIDE TERRE DELLA PUGLIA CON IL CORTO ‘MACCHERONI’

“La domenica senza la pasta col sugo è una domenica che non vale niente. I maccheroni, col ragù denso e profumato, vengono covati per una settimana intera.
Sono il colore della festa per chi vede tutti i giorni il pane, le fave e una goccia d’olio”.
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La Cineteca di Bologna ci propone un viaggio nel tempo nelle splendide terre di Puglia: ‘Maccheroni’, un corto straordinario – indagine etnografica e, contemporaneamente, racconto poetico – diretto e commentato nel 1959 da Raffaele Andreassi.

“Chi muore muore, chi campa campa, basta che ci sia un piatto di maccheroni con la carne”, ci assicura il cantante pugliese (da Apricena) Matteo Salvatore. Lo traduciamo indegnamente dalla lingua madre, per ribadire una verità nota: quando parliamo di identità, il cibo è da sempre uno dei segni distintivi più autentici. Qui siamo nel Gargano (Peschici), dove il piatto della domenica sono i “maccaruni” conditi coi pezzi di carne (da non confondere col ragù), e per il resto della settimana occorre accontentarsi del pancotto a base di pane raffermo con cicoria, fave e patate (un piatto povero che oggi talvolta passa per ricercata prelibatezza).

Il restauro del film, realizzato dalla nostra Cineteca, fu mostrato in anteprima al Festival di Berlino del 2014, ottenendo tutti gli applausi che merita. Lo dobbiamo a Raffaele Andreassi, autore di un pugno di lungometraggi da riscoprire in blocco, di programmi televisivi di intelligenza oggi chimerica, e di così tanti corti che è difficile contarli. Maestro degli slittamenti di prospettiva, dell’erranza dello sguardo, delle esitazioni di giudizio che scavano in profondità inattese, Andreassi ci regala con questo film uno dei suoi gioielli. Dolce e crudele, malinconico e arrabbiato, denso di realismo e avviluppato nel fiabesco. Guardarlo è come camminare in equilibrio a braccia aperte tra le galline e i panni stesi. Andreassi è stato anche uno dei migliori registi di documentari d’arte che abbiamo avuto (qui limitiamoci almeno a fare un cenno ai suoi sconcertanti capolavori su Antonio Ligabue): per questo, davanti a un bambino che si imbratta il viso di sugo, per riflesso automatico ci viene da pensare a un gesto pittorico. Una pennellata di rosso pomodoro, che qui diventa il colore della festa.

Ritorno in Australia, 12 anni dopo per salvare il mondo con l’acquasala

Il «podolicesimo» ti prende per la gola – Cultura popolare ed enogastronomia, il nuovo credo di Luciano Castelluccia fa nuovi adepti.
La prima volta da pionieri come portatori di cultura popolare nel 2008. Il nuovo viaggio in Australia, dello storico direttore artistico del Carpino Folk Festival, tutto in questo racconto…

australia.pngIl primo incontro si è tenuto presso il San Marco in Lamis Social Club Melbourne
alla presenza di tanti sammarchesi residente a Melbourne da più di sessant’anni. Un’occasione importante per la promozione dei pacchetti turistici e del paniere di
prodotti enogastronomici delle aziende partner con il contorno dello spettacolo “L’acquasala salverà il mondo” di Luciano Castelluccia. A fare gli onori di casa il presidente del Circolo Pensionati San Marco in Lamis di Melbourne, Luigi Mastromauro, e il presidente del San Marco social club, Silvia Randazzo.
Il secondo spettacolo è andato in scena presso Italian Touch Cafe Restaurant dei fratelli Caroppi, originari di Poggio Imperiale e da anni trasferitisi a Oakleigh a circa 30 minuti in metro dal centro di Melbourne. Il lavoro che stanno portando avanti Roberto Caroppi e Placido Caroppi è quello di emozionare attraverso il palato usando materie prime di qualità ma soprattutto di provenienza pugliese. Su tutti i vini delle Cantine d’Alfonso del Sordo che accompagnano ogni singola portate del menù proposto. E presto anche new entry con Di Nunzio Legumi di San Paolo Civitate e Agriturismo Biorussi – Gargano.
Spinti dall’istinto di sopravvivenza, da buoni garganici, la rappresentanza di Like Guida Enogastronomica è andata alla ricerca di un posto che, già dal logo, incuriosiva tanto. Si chiama iPugliesi e si trova a Coburg North, non distante dalla city. La location ricorda i vecchi empori di una volta, quelli dei quartieri, casa e bottega.
“IPugliesi” sono Claretta Mongelluzzi e Stefano Marcianò. Clara ha origini garganiche, di Foce Varano, mentre Stefano radici nel Salento ma nato a Melbourne. Claretta ci è invece arrivata per amore. Una piccola “trattoria” dispensa dove, mentre assapori i piatti che sembrano essere cucinati da tua nonna. Basta guardarsi attorno per ritrovare gli stessi prodotti che, se acquistati a prezzi veramente convenienti, si possono riassaporare a casa. Clara è una forza della natura: fa la mamma di Martina, fa la spesa per casa e per il locale, accoglie gli ospiti parlando prima in dialetto dopo in inglese, cucina, serve in sala, balla la tarantella. Abbraccia l’ospite, lo guarda e si commuove.
Joe Caputo, originario di Carpino, viene in macchina quasi tutti i giorni, puntuale come un orologio svizzero per incontrare Castelluccia e Gianluca Fioriniello. Joe, oltre ad essere un amico della delegazione tricolore, è il punto di riferimento per tanti italiani a Melbourne: è stato lui ad aver curato tutti gli incontri e tutti gli appuntamenti del progetto “Missione Australia”. Caputo è anche referente della Federazione Pugliese d’Australia.
Nuova tappa a Faraday Street di Carlton al CO∙AS∙IT – Museo Italiano, Language & Cultural Centre dove è in programma la conferenza stampa Taranta Festival 2020. Sala gremita per la presentazione dello spettacolo “L’acquasala salverà il mondo”. Joe Di Monte alle 21:00 ci invita “paisà” a fare uno spaghetto a casa sua; lui non conosce orari, vuole parlare, raccontare, ascoltare, ridere. Zio Giuseppe, anch’egli originario di Carpino, è una persona buona, umile. A Melbourne è diventato un grande imprenditore del settore edile: ogni costruzione che appare all’orizzonte, viene indicata dalla sua mano docile e poi la solita frase: «Quella l’ho costruita io…».
Poi ospiti del Puglia Social Club. Il presidente Francesco Iacobellis spiega che ogni venerdì si ritrovano per la ”serata panzerotto”. Che goduria. In fine, l’ultimo spettacolo: 250 biglietti venduti, solo 40 in sala. L’ombra del «coronavirus…

“In Australia per creare nuove frontiere per il turismo emozionale sul Gargano e imprimere una inversione di marcia alle paure e ai numeri in fuga delle ultime settimane causa coronavirus”.
E’ il progetto Australia Tour di FdG Viaggi e Turismo di Ferrovie del Gargano, nato da un’idea di Luciano Castelluccia, storico direttore artistico del Carpino Folk Festival, manifestazione per il recupero e la valorizzazione della musica popolare della Puglia, da sempre impegnato nel ricostruire il tessuto della memoria comunitaria e nel valorizzare il patrimonio culturale garganico attraverso la ricerca, la musica, l’enogastronomia e l’aggregazione sociale. Trasferta organizzata in collaborazione con Metano’s, Like Guida Enogastronomica (media partner) e CdP Service (logistica). Con il fondamentale supporto delle aziende Cantine d’Alfonso del Sordo di San Severo, Di Nunzio Legumi di San Paolo Civitate, Agriturismo Biorussi – Gargano di Carpino, Lake Café di Lesina e Consorzio di tutela Arancia del Gargano IGP e Limone del Gargano IGP di Rodi Garganico.
Nel roster dei partner anche l’Istituto superiore “Federico II” di Apricena.

Il Sogno di Rocco Draicchio: Alle Origini del Carpino Folk Festival

Ogni volta che con il furgone passavamo vicino al profilo maestoso del promontorio garganico scattava un battibecco amichevole, uno sfottò, perché Rocco Draicchio, detto nel gruppo “Il Presidente”, parlava della sua visione di un grande evento da fare a Carpino che portasse il mondo a conoscere la bellezza del suo patrimonio musicale.

Inizia cosi un lungo post sugli arbori del Carpino Folk Festival pubblicato il 3.3.2020 da Michele Lobaccaro, musicista compositore, fondatore e autore del gruppo degli Al Darawish e poi dei Radiodervish.

In quegli anni, tra noi Al Darawish, Rocco era quello che aveva una visione, diciamo così, più imprenditoriale della musica. Infatti, oltre a suonare nel gruppo le percussioni, teneva molto a cuore gli aspetti organizzativi, i contatti con i promoter, la gestione della cassa e, soprattutto, l’ideazione di un festival che valorizzasse la ricchezza culturale del suo Gargano.
E spesso parlava di quell’album dei Musicanova “Garofano d’ammore” che aveva attinto a piene mani dal repertorio garganico senza che, però, rimanesse tra la gente del Gargano la consapevolezza del tesoro che essi si trovano a custodire.
In quegli anni a Carpino erano ancora vivi i cantori che incarnavano la tradizione e Rocco ci portò più volte a Carpino per conoscere questi “Omero” del canto garganico per farci innamorare di quella realtà ed aiutarlo a creare un movimento che portasse alla creazione del Carpino Folk Festival. in questo senso prendemmo parte a delle edizioni zero del festival ma centrale fu la sua intuizione di ripatire da dove si era interrotto il discorso di ricerca portato avanti da diversi musicologi e musicisti dagli anni 60 fino agli anni 80.
Fu per questo che cominciammo da Eugenio Bennato e lo andammo a trovare direttamente a casa sua a Napoli in occasione di un nostro concerto partenopeo.
Arrivati nella casa Rocco espose la sua idea di un festival che iniziasse proprio con il ritorno di Eugenio Bennato a Carpino per riallacciare i fili di un percorso che si era interrotto e che ora, dopo quasi vent’anni di inabissamento, avrebbe potuto contribuire a riaccendere l’interesse per la musica popolare del sud Italia.
Un sottile rivolo di questa tradizione fu comunque tenuto vivo nelle feste degli studenti fuori sede che venivano a Bari dal Salento, dal Gargano, dalla Calabria e dalla Basilicata. Ci si scambiava canti e si teneva in piedi gioiosamente una tradizione e la sua memoria.
Alcuni di questi brani hanno fatto anche parte del repertorio live degli Al Darawish. C’erano nella band delle anime molto interessate allo scavo in questa direzione. Così a fianco delle nostre canzoni originali, trovavano posto canzoni tradizionali mediorientali e apparivano canzoni greche, oltre a nuovi arrangiamenti di canzoni di Enzo Del Re, dei Cantori di Carpino, di Matteo Salvatore e della tradizione salentina.
Tutto ciò spiega perché per la prima vera edizione del Festival di Carpino salirono sul palco, nel 1993, gli Al Darawish insieme ai Cantori di Carpino.

Sarebbe auspicabile che si ricomponessero le divisioni e si ritornasse a far vivere quel sogno per continuare a raccontare questa favola“.

Rocco Draicchio con gli Al Darawish

Rocco Draicchio e gli Al Darawish

La posizione dello sfasciato dell’Alta Irpinia

Col video del discorso pronunciato da Vinicio Capossela, il 24 agosto in Piazza della Repubblica a Calitri (AV), chiudo l’anno 2019.

BUONA ASCOLTO E BUON 20 20

Vinicio Capossela ha raccontato come è nato sette anni fa lo Sponz Fest e ha colto l’occasione per rimarcare alcune questioni relative agli aspetti finanziari della manifestazione, alla sua natura di evento di promozione del territorio e al suo futuro. Ha detto che la cultura serve anche a restituire all’uso luoghi abbandonati come quelli dell’osso appenninico e che l’Italia non si divide tra nord e sud, ma tra aree interne, città e aree costiere. E che poi serve creare occasioni per portare gente in tutti quei luoghi recuperati all’incuria e riportati in luce. Continuando ha detto che bisogna anche avere il coraggio comunque di sapere affrontare investimenti di questo tipo, perché sono situazioni che generano valore per il territorio, in un rapporto di circa otto euro di valore generato per ogni euro investito. A questo servono gli eventi culturali soprattutto nei paesi dell’interno, aree che hanno perso buona parte della loro cultura contadina e rischiano di cadere prede di questa volgarizzazione delle coscienze a cui possiamo tutti assistere in questi anni. Realizzare questi festival significa darsi un’occasione per visitare luoghi come questo, in cui altrimenti sarebbe molto difficile arrivarci apposta, anche per chi ci è nato.

E’ in “Angeli del Sud” l’ultima apparizione cinematografica di Antonio Piccininno

Il musicista Eugenio Bennato ed il regista Bruno Colella, legati da solida amicizia, sono stati entrambi invitati da Mimmo Epifani a ritirare un premio che lo straordinario mandolinista organizza in un piccolo paesino del Lazio abbastanza scomodo da raggiungere.

I due amici, sinceramente affezionati al musicista accettano l’invito e partono per un viaggio con finale a sorpresa in cui si bada poco alla meta dando invece precedenza a ricordi ed incontri coi grandi personaggi della musica napoletana ed altri artisti “estremi” dell’Italia che sorprende… gli “Angeli del Sud” in un viaggio alla scoperta dei suoni, dei colori dei personaggi e del folklore di quelle splendide e assolate terre.

Il film Angeli del Sud, diretto da Bruno Colella, è distribuito da Zenit Distribution.
Con Eugenio Bennato nel cast ci sono Enzo Aisler, Peppe Barra, Carlo D’Angiò, Camillo De Felice, Mimmo Epifani, Tony Esposito, Franchetto Minopoli, Pietra Montecorvino, Antonio Piccininno, Marco Tornese, Nicola Vorelli, Alessandro Haber.

“La storia parte nella San Vito dei Normanni di Epifani, passa per la Napoli segreta di Peppe Barra, quella delle invenzioni di Tony Esposito, della voce bianca di Nicola Vorelli, dei rocchettari degli anni settanta poi per il Gargano dei cantori di Carpino, per Roma e per le tradizioni del basso Lazio. E’ attraverso questa esile trama e l’utilizzo di tre diversi linguaggi, cioè la musica, la fiction ed il documentario, che questo film racconta il mondo affascinante che circonda Eugenio e la musica popolare d’autore. I suoi raffinati concerti a cui oggi assistono migliaia di persone, i suoi versi ricercati si scontrano quindi con la leggerezza della commedia e del grottesco, ma anche con la follia geniale di artisti ancora sconosciuti e le confessioni di quelli già affermati, creando così un interessante corto circuito ed un ritmo incalzante fatto di contrasti, che fanno sempre bene allo spettacolo”. Bruno Colella

“I personaggi artisti musicisti o funamboli raccontati nel film non sono elementi da set precostituito, ma sono reali entità che mi sono andato a cercare nel corso degli anni, seguendo il filo di una mia personale concezione dell’arte che, ritengo, non possa mai essere scollegata da una necessaria componente di originalità che si oppone ai canoni dell’omologazione e per questo può sconfinare in positiva follia. Gli Angeli Del Sud sono le voci sommerse del mio mondo musicale, che, sia quel che sia, ha comunque la particolarità di percorrere strade inesplorate, e accendere i riflettori su volti e storie sistematicamente trascurate dalla civiltà dei consumi“.
Eugenio Bennato

Chíja dícë che Ccarpínö non jé bbèllä

E’ questo, forse, l’unico canto politico in senso stretto di Carpino di cui si ha memoria.
Il canto in modo estremamente ermetico ci descrive il contesto territoriale in cui si trova il bel paese. Carpínö stà chiàntatë sópä na rípä, è situato sopra un altura, un colle ripido, dirupato a Sud sul canale Antonino che insieme ad altri torrenti scorgono dall’anfiteatro naturale del Monte Gargano verso il Lago di Varano (Nord) non prima di aver attraversato una lunga pianura (lu chiánë).
Data questa conformazione paesaggistica, è possibile desumere che, al momento il cui il canto ha assunto questa formulazione, a Carpino era diffusa l’agricoltura, la pastorizia, la pesca nei torrenti e presso Varano e le attività dei boschi. Grazie a Michelangelo Manicone sappiamo inoltre che cesine, carpini, faggi, grano, biade, legumi, lino, olio e vino erano le produzioni locali. Pecore, capre e vacche gli allevamenti, insieme all’immacabile maiale e al pollame.
In questo contesto il canto ci fornisce anche la composizione dei gruppi sociali: da una parte i galantuomini e dall’altra i cafoni.
Sti quàttë ģalandòmïnï cë sònnë rumástë” ci indica che siamo in un momento storico in cui non ci sono più i principi ed anche i galantuomini stanno per sparire per essere sostituiti dalla piccola borghesia, probabilmente, quindi, dopo il 1860. Li cafune, ossia i contadini e i pastori, i vinti vivono in stato di indigenza, ai margini della società classista, condannati a un ineluttabile destino di asservimento, non possono votare e piegati dalla fatica non possono partecipare alla lotta per la conquista del potere, ma solo assistere a quella feroce per la sopravvivenza dei galantuomini. Una lotta che per sua natura non ha nulla a che fare con una reale lotta politica, ma come in tutto il meridione, è solo lotta per arraffare il potere e assicurarsi i posti di comando e le professioni remunerate per se o i loro parenti o i loro compari e cosi alternativamente continuare a dominare sui cafoni che tentano di stare uniti ad altri alla pari solo per difendersi e non per ribellarsi, ad esempio immaginando di formare bande di briganti, ma al massimo per prendersi piccole e rapide vendette di sangue dettate dall’emotività: compagni miei stiamoci uniti altrimenti ce lo mettono d’indrë lu varcàturë e renë.

Il sonetto, del repertorio di Rocco Antonio Sacco, è contenuto in “Canti e suoni della tradizione di Carpino“.

Quartiere la Ripa, 1961.

«Vedi», gli disse «in città succedono molti fatti. In città, ogni giorno succede almeno un fatto. Ogni giorno, dicono, esce un giornale e racconta almeno un fatto. In capo all’anno, quanti fatti sono? Centinaia e centinaia. E in capo a vari anni? Migliaia e migliaia. Immagina. Come può un cafone, un povero cafone, un povero verme della terra conoscere tutti questi fatti? Non può. Ma una cosa sono i fatti, un’altra è chi comanda. I fatti cambiano ogni giorno, chi comanda è sempre quello. L’autorità è sempre quella.»
«E le gerarchie?» chiese il forestiero. Ma allora noi ancora non sapevamo che cosa significasse la strana parola. Il cittadino dovette ripetercela varie volte e con altri termini. E Michele pazientemente gli spiegò la nostra idea:
«In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch’è finito.»
Fontamara, Ignazio Silone, 1933

LA MUSICA È CAMBIATA di Antonella Cignarale

A seguito dei gravi incidenti di Piazza San Carlo a Torino sono state imposte direttive e procedure mirate a garantire alti livelli di sicurezza per la tutela dei partecipanti alle manifestazioni pubbliche in luoghi aperti. Per gli organizzatori di concerti, sagre e feste popolari la musica è cambiata. Costi e responsabilità per mitigare i possibili rischi di un evento sono aumentati a tal punto che c’è chi ha dovuto rinunciare a confermare un festival che si teneva da 20 anni. E quando l’applicazione delle misure di safety si va a scontrare con le più antiche tradizioni di una festa patronale qual è il rischio?
Lunedì 4 novembre se ne occupato Report Rai3 e il nostro Domenico Antonacci è stato intervistato per conto del Carpino Folk Festival.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Dopo la tragedia avvenuta durante la visione della finale di Champions League in piazza San Carlo a Torino, sono state introdotte nuove misure di sicurezza per le manifestazioni all’aperto.
PIERO MARRESE – SINDACO DI MONTALBANO JONICO (MT)
C’è stata sicuramente una rivoluzione.
SANDRA MEO – PRIMO DIRIGENTE POLIZIA DI STATO LECCE
Quello che si mette in campo è sempre in rapporto all’entità del rischio che la manifestazione comporta.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Per ottenere l’autorizzazione ad un evento vanno garantite vie di accesso e di deflusso per il pubblico, aree dedicate al soccorso, un operatore di sicurezza ogni 250 partecipanti e un piano di evacuazione. Tutto va coordinato con il comune e le commissioni di vigilanza di pubblico spettacolo tra cui vigili del fuoco, dirigenti medici e forze di polizia. Se il rischio è elevato entra in gioco anche la prefettura. Per chi organizza un festival, aumentano responsabilità e costi, fino al 30%.
GIORDANO SANGIORGI – PRESIDENTE RETE DEI FESTIVAL
Trattandosi di iniziative senza ingressi e senza sponsor, ma solo per promuovere la nuova musica giovanile emergente un 20 per cento circa di operatori sono stati costretti ad annullare gli eventi.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Come hanno inciso le direttive per l’incolumità e la sicurezza pubblica su concerti, festival e feste popolari?
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
Buonasera è il 3 giugno 2017, in piazza San Carlo a Torino si sta proiettando su un gigantesco schermo la finale di Champions League Juventus – Real Madrid; quattro
delinquenti dopo aver rubato oggetti di valore si fanno largo tra la folla spruzzando uno spray urticante. La conta è tremenda. Due morti, 1500 feriti. Ma quella sera emerge che c’è stato un mancato coordinamento tra le forze di pubblica sicurezza e i
soccorritori. Emergono anche delle criticità e delle carenze tra chi ha organizzato l’evento. Il ministero dell’Interno emette delle direttive in tema di sicurezza e vediamo
quanto questo gesto scriteriato di quattro delinquenti ha condizionato e messo in crisi le casse dei comuni, la storia, le tradizioni di un intero Paese. La nostra Antonella Cignarale.
ANTONELLA CIGNARALE
È proprio la zona rossa questa!
ELIO DI GIUSEPPE – LIDO SABBIA D’ORO – MONTESILVANO (PE)
Si è la zona rossa, è il cuore del concerto.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Il tour di Jovanotti è stato valutato un evento ad alto rischio, sia per il numero di partecipanti, circa 33mila, che per la location: la spiaggia. La sicurezza è la principale voce di spesa.
MAURIZIO SALVADORI – TRIDENT MUSIC – PRODUTTORE JOVA BEACH PARTY
Il 40, il 50 per cento che è dedicato alla sicurezza; nell’ambito del tour parliamo di milioni di euro.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
È stato predisposto un piano di sicurezza balneare: l’area A, nei primi 60 metri dalla riva, è vigilata da trenta bagnini. Dopo i 60 metri c’è l’area B.
NICOLA ATTANASIO – CAPO REPARTO OPERATIVO GUARDIA COSTIERA MONTESILVANO (PE)
L’area B è dedicata ai mezzi di soccorso e ai mezzi dedicati alla sicurezza della manifestazione.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Chilometri di reti di acciaio e transenne per delimitare la manifestazione. L’area pubblico deve essere divisa in tre settori lasciando al centro un corridoio di emergenza
destinato al soccorso. I palloni verdi indicano le vie di fuga e ai varchi di ingresso i controlli sono come in aeroporto: vengono vietate anche creme solari e l’antizanzara.
ANTONELLA CIGNARALE
Ti hanno detto che lo devi buttare perché?
DONNA
Perché è infiammabile.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
E un concerto è saltato a Vasto, il comitato provinciale per l’ordine e la sicurrezza pubblica ha rilevato “carenze nelle misure di security e safety” e ha dato parere negativo allo svolgimento dell’evento. Un rischio era il deflusso del pubblico e il traffico sulla strada statale.
MAURIZIO SALVADORI – TRIDENT MUSIC – PRODUTTORE JOVA BEACH PARTY
L’annullamento in relazione alla sicurezza non c’entra proprio nulla. Abbiamo presentato tre progetti: uno con la statale aperta, uno con la statale chiusa e uno semiaperta. Ci è stato detto tutto e il contrario di tutto.
ANTONELLA CIGNARALE
Da provincia a provincia voi avete avuto prescrizioni differenti per il tour sulle spiagge?
MAURIZIO SALVADORI – TRIDENT MUSIC – PRODUTTORE JOVA BEACH PARTY
Sì e la applicazione delle regole è abbastanza soggettiva.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
E non dappertutto le indicazioni sono uguali. Lo sportello del pubblico spettacolo di Roma fornisce una tabella per calcolare il rischio dell’evento: se è religioso o un concerto rock, o se i partecipanti sono 1000 o 1001 il punteggio aumenta e anche le misure da adottare per mettere in sicurezza la manifestazione. A Bologna invece, non va compilata perché non è prevista dall’ultima direttiva ministeriale.
ANTONELLA CIGNARALE
Per cui voi qui a Bologna non chiedete di compilare quella tabella?
MONACO FELICE – PRES. SPETTACOLO BOLOGNA
Io non la chiedo.
ANTONELLA CIGNARALE
È una valutazione soggettiva?
MONACO FELICE – PRESIDENTE COMMISSIONE DI VIGILANZA DI PUBBLICO SPETTACOLO BOLOGNA
Tutte le valutazioni del rischio sono soggettive.
GIUSEPPE BENNARDO – COMANDANTE PROVINCIALE VIGILI DEL FUOCO LECCE
Queste misure qua si applicano in tutte le manifestazioni, ovviamente graduando l’applicazione in maniera flessibile.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
E per farlo ci vuole un ingegnere che redige il piano di emergenza. Nel borgo medioevale di Novi Velia, in Cilento, il Festival Antichi Suoni si svolge lungo tutto il centro storico e tra le vie di fuga individuate ci sono vicoli, scalinate e anche il retro di
una corte con i tavoli apparecchiati.
ANTONELLA CIGNARALE
Questa è una via di fuga?
PASQUALE CROCAMO – ING. PIANO SICUREZZA FESTIVAL ANTICHI SUONI NOVI VELIA (SA)
Non sembra, ma è una via di fuga. La difficoltà maggiore è quella di applicare una norma a un centro storico, cioè ci vorrebbero delle deroghe a queste situazioni.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Cambiare la normativa anche per le manifestazioni con poco più di 200 spettatori ha comportato l’annullamento di feste e sagre nei piccoli centri.
LUIGI PASOTTO – VOLONTARIO FESTA RIVE GAUCHE – CASALMAGGIORE (CR)
Nonostante nella circolare venga specificato che si cerca di salvaguardare quello che è
il patrimonio di sagre e di tradizioni, questa richiesta di sicurezza rischia e rischierà di strozzarci.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Per evitare il rischio affollamento nell’area della manifestazione, la capienza massima è due persone a metro quadro. C’è chi sceglie di limitare il numero di ingressi con il conta persone elettronico e chi di annullare il festival dopo 23 anni, perché un’alternativa all’unica piazza del paese non c’è.
ANTONELLA CIGNARALE
Secondo la normativa sulla sicurezza in questa piazza quante persone ci possono stare durante il Festival?
DOMENICO ANTONACCI – VOLONTARIO ASS. CARPINO FOLK FESTIVAL – CARPINO (FG)
Circa 800.
ANTONELLA CIGNARALE
E invece quante persone arrivano al festival?
DOMENICO ANTONACCI – VOLONTARIO ASS. CARPINO FOLK FESTIVAL – CARPINO (FG)
Circa dalle 4000 alle 5000.
ANTONELLA CIGNARALE
Quindi praticamente è impossibile secondo la direttiva fare il festival qua.
DOMENICO ANTONACCI – VOLONTARIO ASS. CARPINO FOLK FESTIVAL – CARPINO (FG)
Sostanzialmente sì. Se questa passione viene intaccata da aspetti burocratici che a noi non competono direttamente, il fuoco che abbiamo dentro va a spegnersi.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
E quando il fuoco è il centro di una tradizione che si tramanda di generazione in generazione da duecento anni, spegnerlo è un problema. A San Severo in provincia di Foggia in occasione della festa patronale della Madonna del Soccorso, la città viene addobbata con le cosiddette batterie, sequenze di fuochi sparati in omaggio alla Madonna.
DONNA
La Madonna, la Madonna del Soccorso lei è contenta quando fanno i fuochi. Arriva la Madonna e sparano!
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
E quando sparano la tradizione è fuggire dal fuoco.
ANTONELLA CIGNARALE
Ogni volta che corri torni a casa con qualche bruciatura o no?
RAGAZZO
Sì, sul braccio, sulla gamba anche. Torni a casa con i vestiti che non si riconoscono più.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Qui applicare le direttive di safety è stata un’impresa. Se il rischio da mitigare è quello dei fuochi, a San Severo è un rischio anche non sparare le batterie il giorno della
festa.
MICHELE DEL SORDO – CONSIGLIERE COMUNALE SAN SEVERO (FG)
A un sanseverese se gli tocchi un bene non ti dicono niente, se gli tocchi le batterie creano problemi.
ANTONELLA CIGNARALE
La gente qua si arrabbia?
MICHELE ALTRUI – PIROTECNICO PIRODAUNIA SAN SEVERO (FG)
Parecchio.
UMBERTO PRESUTTO – PIROTECNICA SANPIO- SAN SEVERO (FG)
Soprattutto.
MATTERO CALVANO – ARCICONFRATERNITA SAN SEVERO (FG)
È stato un grosso pericolo per i festeggiamenti. Spari, batterie, fuochi, processioni, opere di carità: è un unicum.
DONNA
Ci vogliono i fuochi! Io mi ribello!
ANTONELLA CIGNARALE
Questa è la batteria che a San Severo non si può sparare più?
UMBERTO PRESUTTO – PIROTECNICA SAN PIO – SAN SEVERO (FG)
Non si può sparare più.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Per consentire i festeggiamenti la quantità di polvere da sparo è stata ridotta.
UMBERTO PRESUTTO – PIROTECNICA SAN PIO – SAN SEVERO (FG)
Prima si utilizzava una polvere di circa 5 grammi, attualmente viene inserito una grammatura di 0,30 grammi.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
Quest’anno è stata appesa solo una fila al centro delle strade più larghe per lasciare una distanza di sicurezza ai lati dei fuochi. Ma cosa sarebbe successo se fosse stato impedito ai sanseveresi di avvinarsi alle batterie?
PAOLO LACCI – ING. PIANO SAFETY MANIFESTAZIONE PIROTECNICA SAN
SEVERO (FG)
Ci sarebbe voluto l’esercito per impedire questo.
ANTONELLA CIGNARALE
Il problema principale era proprio la gente che correva sotto le batterie?
ROBERTO DEL SORDO – ASSOCIAZIONE FUJENTI – SAN SEVERO (FG)
Sì, noi fujenti! Siamo stati il problema e la risoluzione.
ANDREA GIAMMETTA – ASSOCIAZIONE FUJENTI – SAN SEVERO (FG)
Eravamo i gilet gialli di San severo
FUORICAMPO
I fujenti, coloro che fuggono dal fuoco, pur di mantenere la tradizione, la norma l’hanno un po’ rivisitata: indossando il gilet giallo, hanno creato a modo loro un servizio di sicurezza in corsa sotto le batterie, volante, tutelando i partecipanti.
ROBERTO DEL SORDO – ASSOCIAZIONE FUJENTI – SAN SEVERO (FG)
La parte più problematica è stata dopo calmare gli animi di molti sanseveresi.
ANTONELLA CIGNARALE FUORI CAMPO
A cui le batterie non sono piaciute.
DONNA
La Madonna stava triste.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
Certo che a San Severo non scherzano, ma non bisogna farlo neppure sulla sicurezza.
É vero anche che le feste popolari sono un’attrattiva soprattutto per le modalità spettacolari con cui si svolgono; sono anche un indotto per le casse di quei comuni
che rischiano di sparire. Ci vorrebbe il buon senso, come è sacra la festa del patrono, è sacra anche la sicurezza e allora bisognerebbe finanziarla per evitare che certe manifestazioni spariscano. Il finanziamento farebbe bene anche alle casse di quei ppcomuni, in previsione della richiesta di autonomia da parte delle regioni del Nord.
Servirebbe a contrasterebbe la disoccupazione, disoccupazione che è fonte della disperazione e a cui attinge la criminalità organizzata.

Il mondo diviso in «Luigini e Contadini»

Don Luigino, il maestro di scuola, segretario del fascio e podestà di Gagliano (Aliano) divenne per Carlo Levi l’emblema delle « ameboidi piccole borghesie » di ogni tempo, con tutte le sue miserie e i suoi complessi di inferiorità. Da quel momento Levi divise il mondo in due categorie: «Luigini e Contadini», che è anche il titolo di un suo libro postumo (Basilicata Editrice, Roma –Matera, 1975). Nella dolorosa esperienza della malattia e della cecità, in Levi si fa strada, con l’uso preferito della metafora, la convinzione che la storia del mondo è iscritta nella malattia assai più che nella storia delle idee e delle istituzioni. In uno dei testi più belli e innovativi del dopoguerra, « L’Orologio » Levi fa spiegare a un compagno del protagonista che cosa volesse intendere questa distinzione del mondo tra Contadini e Luigini.

“[…] Ebbene: chi sono i Contadini? Sono prima di tutto i contadini: quelli del Sud, e anche quelli del Nord: quasi tutti; con la loro civiltà fuori del tempo e della storia, con la loro aderenza alle cose, con la loro vicinanza agli animali, alle forze della natura e della terra, con i loro dèi e i loro santi, pagani e pre-pagani, con la loro pazienza e la loro ira. […] Ma non sono soltanto i contadini. Sono anche, naturalmente i baroni […], quelli veri, con il castello in cima al monte: i baroni contadini. […] E poi ci sono gli industriali, gli imprenditori, i tecnici: soprattutto quelli della piccola e media industria, e anche qualcuno della grande: non quelli che vivono di protezioni, di sussidi, di colpi di borsa, di mance governative, di furti, di favoritismi, di tariffe doganali, di contingenti, di diritti di importazione, di privilegi corporativi. Gli altri, quelli che sanno creare una fabbrica, quel poco di borghesia attiva e moderna che, malgrado tutto, c’è ancora nel nostro paese, per quanto possa sembrare un anacronismo. E anche gli agrari, magari i grossi proprietari di terre, ma quelli che sanno dirigere una bonifica, ridare una faccia alla terra abbandonata e degenerata. […]
E gli operai, […] la grande massa operaia abituata all’ordine creativo della fabbrica, alla disciplina volontaria, al valore che sta nelle cose. Non importa come la pensino, in quale partito siano organizzati: sono Contadini anche loro, e non solo perché vengono dalla campagna; ma perché, su un altro piano, hanno la stessa sostanza: la natura per loro non è più la terra, ma sono torni, frese, magli, presse, trapani, forni, macchine; con questa natura di ferro, sono a contatto diretto, e ne fanno nascere le cose, e la speranza e la disperazione, e una visione mitologica del mondo. Sono Contadini tutti quelli che fanno le cose, che le creano, che le amano, che se ne contentano. Sono Contadini anche gli artigiani, i medici, i matematici, i pittori, le donne, quelle vere non quelle finte. Infine, siamo Contadini noi: […] quelli che si usano chiamare, con una parola odiosa, gli “intellettuali“[…]. […] quelli che io definisco Contadini sarebbero i produttori: e se vi piace, usate pure questo termine”.

“E i Luigini, chi sono? Sono gli altri. La grande maggioranza della sterminata, informe, ameboide piccola borghesia, con tutte le sue specie, sottospecie e varianti, con tutte le sue miserie, i suoi complessi d’inferiorità, i suoi moralismi e immoralismi, e ambizioni sbagliate, e idolatriche paure. Sono quelli che dipendono e comandano; e amano e odiano le gerarchie, e servono e imperano. Sono la folla dei burocrati, degli statali, dei bancari, degli impiegati di concetto, dei militari, dei magistrati, degli avvocati, dei poliziotti, dei laureati, dei procaccianti, degli studenti, dei parassiti. Ecco i Luigini. Anche i preti, naturalmente, per quanto ne conosca molti che credono a quello che dicono […]. E anche gli industriali e commercianti che si reggono sui miliardi dello Stato, e anche gli operai che stanno con loro, e anche gli agrari e i contadini della stessa specie. […] Poi ci sono i politicanti, gli organizzatori di tutte le tendenze e qualità […]. Ce li metto tutti: comunisti, socialisti, repubblicani, democristiani, azionisti, liberali, qualunquisti, neofascisti, di destra e di sinistra, rivoluzionari o conservatori o reazionari che siano o pretendano di essere. E aggiungete infine, per completare il quadro, i letterati, gli eterni letterati dell’eterna Arcadia […]. […] i Luigini sono la maggioranza. […] Sono di più, ma non molto, per ragioni evidenti. […] perché ogni Luigino ha bisogno di un Contadino per vivere, per succhiarlo e nutrirsene, e perciò non può permettere che la stirpe contadina si assottigli troppo. […] I Luigini hanno il numero, hanno lo Stato, la Chiesa, i Partiti, il linguaggio politico, l’esercito, la Giustizia e le parole. I Contadini non hanno niente di tutto questo: non sanno neppure di esistere, di avere degli interessi comuni. Sono una grande forza che non si esprime, che non parla. Il problema è tutto qui”.
L’orologio, Carlo Levi, Einaudi, 1989

…INFINE VENNE AGOSTO AMARO

“Piuttosto che niente è meglio piuttosto” dice un detto consolatorio ripetuto più volte negli ultimi periodi, ma il punto però è che non si è partito dal niente, ma piuttosto che sostenere nell’innovazione il Carpino Folk Festival, magari spronandolo a condividere le sue buone pratiche con il resto della comunità, si è deciso di mortificare i temperamenti costruttivi, di dividere e contrapporre gli interessi in gioco e far vincere le dinamiche scoraggianti di paese. Ma chi ne ha pagato le conseguenze se non proprio quelli che si diceva di voler tutelare?

Fate pure un breve sondaggio tra i commercianti e se vi rispondono di pancia e non da militanti vedrete se vi diranno che è meglio adesso, con il paese vuoto e i consumi sottoterra.
Prendiamo la munezza come indicatore dei consumi, questa è la situazione della raccolta dei rifiuti degli ultimi mesi di agosto:
193.860 kg 2019
219.780 kg 2018
212.030 kg 2017
215.770 kg 2016
212.869 kg 2015
213.370 kg 2014

Non c’è niente da ridere.
SENZA CARPINO FOLK FESTIVAL IN PAESE SI PRODUCONO MENO RIFIUTI PERCHÉ SI VA A CONSUMARE ALTROVE.
Cazzi loro, direte. No, cazzi amari perchè il calo dei consumi è solo l’effetto piu evidente. Il danno economico è ingente, ma ancora più grave è la perdita delle aspettative sentimentali, aver detto ai giovani fuori dal circo magico che è inutile coltivare sogni, speranze, fiducia in se stessi, è inutile coltivare il conflitto e attivarsi per la creazione di valori e di cultura necessari per cambiare passo e far uscire dall’abitudinario il nostro paese, meglio stare buoni, zitti, con le mani in mano perché poi, colpendo le avanguardie, sminuendo chi brilla di valore proprio, alla lunga vince sempre l’eroe locale che si adopera per demolire qualunque iniziativa altrui.

Aggiornamento. Per un caso di studio sull’impatto economico che un festival può avere sul proprio territorio, nel 2020/2021, nel mese in cui si svolgeva il festival, si registra un calo di rifiuti raccolti a 162.232 kg nel 2020 e 163.600 kg nel 2021 (nel 2022 raccolti 160.910 kg – estate Jova Beach Party senza restrizioni covid e nel 2023 raccolti 166.400 kg) e quindi di consumi effettuati. In un contesto di sostanziale tenuta dei dati turistici in Puglia, nonostante il covid e con un incremento forte nel 2021, la piccola economia paesana è invece caduta rovinosamente perché da Carpino se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto. Si perché questi dati purtroppo confermano che se non si attiva il capitale sociale locale riprende vigorosamente la tendenza depressiva delle aree interne che nel suo territorio il Carpino Folk Festival per 20 anni aveva tentato di rallentare, senza festival si torna ad andare altrove e lo spopolamento negli ultimi due anni è più che raddoppiato rispetto alla media ventennale (dati Istat).
È questo un problema? Neanche per sogno. Lo spopolamento, il recupero e la valorizzazione delle tradizioni, la cultura, il senso d’identità del paese, io la fiducia degli abitanti non sono affatto un problema. Il problema è la perdita di un presunto primato locale di città degli eventi. Facciamo qualcosa, esattamente come quando un locale mette musica ad alto volume per attrarre i clienti e se un concorrente la mette pure lui allora si alza il volume più forte. È cosi si mette su un’operazione artificiosa, di parte, neanche minimamente mascherata che la gente capisce bene.
La bellezza si frantuma di fronte all’ignoranza dei nostri amministratori perchè ogni volta che alzeranno il volume dell’evento adibas per la legge del contrappasso non faranno altro che invocare l’autentico e vero Carpino Folk Festival e il rammarico per quello che poteva essere e non è stato ogni volta sarà maggiore. Buon lavoro, fateci vedere ancora cosa siete capaci.

Finalmente anche i piccoli comuni potranno avere la loro offerta culturale pubblica

Posso dirla una cosa pure io? Se ciò che luccica è oro siamo in presenza di una svolta, una #bestpractice da replicare all’infinito a partire da tutti i paesi del Gargano
I soldi a Carpino servivano sempre per fare altre cose, ricordo ancora la folla che chiedeva da mangiare dietro la porta del sindaco della vecchia amministrazione, ma da quest’anno si scopre che non solo la crisi è finita, ma, addirittura, ci sono i soldi che finalmente possono essere investiti per un’offerta culturale pubblica? Benissimo. Ora è il Comune che organizza direttamente, oltre alle feste patronali e alle sagre, anche in folk. Per me è un sogno che si avvera proprio nel mio paese e sono certo che lo auspicava anche il compagno Rocco Draicchio 24 anni fa. Nel nostro paese, quindi, si può fare a meno di operatori artistici, culturali, turistici, sportivi ed ambientali e si può fare a meno anche di tenere aperte certe strutture organizzative che sono delle vere e proprie centrali dell’autosfruttamento, perchè non c’è nessuna mancanza del sistema pubblico a cui bisogna sopperire. E’ questa la vera rivoluzione. Non aggiungere, ma sostituire è la parola d’ordine. Ad esempio non c’è più bisogno di competenze per cercare fondi e scrivere progetti per rispondere a bandi, non c’è più bisogno di correre rischi pazzeschi e di affrontare rendicontazioni molto complesse. Ci pensa il sistema pubblico locale. Non è eccezionale? Io sono felicissimo. Le sponsorizzazioni? Adesso fioccheranno e nessuno potrà dire di no.

Se si vuole, si può fare ed in pochi giorni. Cari Sindaci degli altri Comuni del Gargano, quindi, non avete più scuse, anche per questa estate avete tempo e non potete più negare almeno un festival ai vostri cittadini. Scegliete la vostra peculiarità e organizzate e finanziate il festival che più vi rappresenta perchè diciamocele tutte le cose: senza un festival, nella vostra piazza centrale (ziamaje a distanza di cento metri in linea d’aria) tutto il vostro mondo produttivo si inaridisce. Gli auditorium, gli anfiteatri, le arene, i palazzetti o i parchi? Non servono a nulla.

Che dire allora? Buon lavoro a tutto lo staff.

Stessa vetrina, stessi contenuti, stessa spiaggia, stesso mare. Non potevo augurarmi di meglio, quindi per quanto mi riguarda in agosto ci vediamo a Lido del Sole e nelle altre spiagge del nostro meraviglioso Gargano e a seguire, quando il sole scende e muore, in piazza del Popolo.
Non venite mangiati! È tutto gratisse.

**CARPINO FOLK FESTIVAL, GLI ANNI PIU’ PASSIONALI DELLA MIA VITA**

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Quando entrai da volontario nell’organizzazione del Carpino Folk Festival erano già state fatte cose straordinarie in situazioni finanziarie precarie, senza certezza del domani, ma con tante idee e tante speranze per il futuro. Il bilancio del festival quell’anno aveva 36 mila euro di finanziamenti (5mila il comune, 8mila la comunità montana, 8mila il parco e 15mila la provincia), il gruppo più famoso coinvolto fu “Il parto delle nuvole pesanti”. L’anno dopo, diedi sistematicità alle cose già fatte e fattibilità alle idee di Luciano, a quei finanziamenti si aggiunsero 25mila della Regione Ass. Cultura + 15mila contributo integrativo Ministero Cultura + 30 Regione Ass. Turismo e cosi via negli anni successivi. L’Associazione conquistò la propria indipendenza economica, culturale e artistica, i finanziamenti si consolidarono nel bene e nel male, il gruppo si solidifico diventando una perfetta macchina da guerra, ciascuno nel proprio ruolo e con le proprie competenze, Antonio, Alessandro, Domenico, Sara e tutti gli altri inseriti, con i tempi giusti al momento giusto e tutti consapevoli che dopo il dire il festival occorreva farlo.

Le ambizioni? Dipesero dalle relazioni che trovammo e perdemmo per strada: grandi persone, pecorelle ed anche complete inutilità e perdi tempo.

Col passare degli anni il festival porta il paese a sognare, ad essere sotto le luci della ribalta, a riconoscersi e ad essere riconosciuto.

Alessandro Leogrande sul Corriere della Sera nel 2013 scrive “Da Otranto ad Acaya a Melpignano a Carpino, così come da Conversano a Polignano a Mare, la Puglia è attraversata da intelligenti festival culturali, che non si limitano unicamente alla rilettura del proprio passato. Al contrario, hanno svolto e svolgono una costante opera di collegamento tra la Puglia e il resto d’Italia, la Puglia e l’Europa, la Puglia e l’altra sponda dell’Adriatico, molto più che nei decenni precedenti. Il riscatto pugliese è nato anche da qui”.

L’evento diventa un elemento valorizzatore del territorio, in grado di determinare, con il proprio attuarsi, modificazioni più o meno sostanziali e di natura profondamente differente sul territorio in cui si realizza.

Carpino diventa citta dell’olio e paese della tarantella, delle tradizioni e della transumanza, si sviluppano le attivita legate ai prodotti tipici e genuini del territorio. La fava di Carpino vola nello spazio. Aziende agricole, pastori, artigiani e gli operatori delle filiere diventano protagonisti. Migliorano le aspettative di vità, le ragioni e motivazioni per restare e, infatti, rallenta la dinamica dello spopolamento. Il festival, i suoi cantori e la tarantella del Gargano diventano un attrattore, il paese piccolo e caro, in cui si parla la lingua delle madri, si sgancia dai sentimenti di vergogna, si apre alla complessità del mondo e diventa una destinazione turistica.

Antonio Maccarone dei Cantori di Carpino in una delle sue ultime apparizioni al festival dal palco urla “Ci siamo ancora, abbiamo nobilitato Carpino, una volta ci dicevano: questi cafoni non vanno a dormire la notte?” Era questo il modo degli anziani di mostrare di aver definitivamente preso coscienza della loro soggettività culturale, direi politica, e del valore dei saperi e delle pratiche del loro mondo.

Io conosco mia moglie Teresa e riempio la mia vita con due bambini, Giulia e Matteo.

Il festival più bello, quello del 2010, quello più costoso quello con Pasquale Di Viesti del 2017. Quello con più spettacoli, quello del 2018 con 18 spettacoli in 6 giorni. Quello più brutto, quello del 2011 perché me lo sono perso. La qualità, in tutti.
In tanti anni il festival ha hatto venire a Carpino una marea di artisti, tutti i più grandi nell’ambito della musica popolare italiana e tra i più bravi cantautori della scena nazionale come Capossela, Mannarino, De Andrè, Sparagna, Parodi, Branduardi, Sepe, artisti di vari livelli e varie competenze come Sergio Rubini, Gianluigi Trovesi, Enzo Gragnaniello, Enzo Avitabile, David Riondino, Lina Sastri, artisti stranieri del calibro di Al di Meola e di Youssou n’dour, Asian Dub Foundation, Capleton (sotto trovate l’elenco completo). Il nostro successo? Un equilibrato mix fra tradizione e innovazione nella programmazione annuale pensata e diretta con gli occhi dei carpinesi. L’obiettivo? Far ascoltare i brani e i cantori della tradizione ad un pubblico che non li apprezzava perché li ignorava o addiritura se ne vergognava e far diventare il festival, il repertorio delle tradizioni del Gargano e i suoi principali interpreti, i Cantori di Carpino, un tutt’uno che potesse vivere da se e proiettarsi nel futuro. Un ciclo virtuoso di miglioramento continuo.

Lascio un festival che, percorrendo le strade ordinarie, negli anni ha avuto riconoscimenti internazionali (Ong Unesco) e certamente ha una rilevanza nazionale nel suo settore. Un festival che ha portato la cultura non ufficiale del nostro territorio nel tempio della musica italiana (Auditorium Santa Cecilia). Un festival che è perfettamente inserito in termini di credibilità e affidabilità nella regione Puglia. Uno dei festival più longevi d’Italia e, sicuramente, quello con la maggiore esperienza e storia nel territorio dell’intera provincia di Foggia. Un festival cresciuto in un piccolo paese del sud ma considerato da studiosi e artisti, uno dei centri più importanti della musica popolare italiana, di cui, però, i carpinesi stessi non ne hanno del tutto consapevolezza. Un festival che è tra gli aderenti al distretto della creatività della regione Puglia ed è socio fondatore del nuovo Gal Gargano.
Faccio venire meno il mio apporto ad un festival, che se avesse dovuto chiudere ieri avrebbe avuto bisogno di recuperare 13/14mila euro (aggiornato al 03/07/2019). Quando si opera per la cultura e il territorio il business non è importante, ma non è questo il caso e non lo è mai stato dal momento che anche se non si faceva quest’anno la XXIV edizione non significava che chiudeva l’Associazione di cui ricordo resto comunque socio. Ma doverosamente è meglio precisare che, cosi come sa chi conosce i meccanismi delle imprese, è inevitabile in organizzazioni che sono senza capitale iniziale e che hanno l’ambizione di crescere e non solo di sopravvivere, far ricorso al debito per alternare anni di contenimento ad anni di investimento e rilancio. E’ cosi che abbiamo raggiunto 23 edizioni.
Certo avremmo voluto azzerare anche questa situazione e lo avremmo fatto lo scorso anno, con un’edizione pilota che apriva al merchandising per avere cosi entrate proprie che permettessero di mettere da parte qualcosa per chiudere quest’anno un grande triennio. Ma la pianificazione ancora una volta ha dovuto fare i conti con la realtà, la location che ci era stata promessa ci viene negata a pochi giorni dal festival. In due giorni non si poteva riprogrammare, non si poteva, però, neanche tornare indietro. Il Carpino Folk Festival è un atto d’amore, quindi un atto rivoluzionario, una guerra da combattere giorno dopo giorno. Devi averci voglia. Invece lo sforzo contro natura, le cose fatte che non avevi voglia di fare …e li che è morta definitivamente la mia spinta motivazionale. Un anno a chiedermi come fare a mandare avanti le cose di cui mi occupavo, giorni interi a pensare come cambiare me stesso, come rigenerarmi e ritornare quello di prima. Ma non si può tornare indietro, col tempo mi ero distaccato dalla passione e dall’euforia che mi avevano accompagnavano per oltre un decennio e che erano parte integrante del ruolo che mi ero ritagliato nel festival senza aver mai avuto cariche e in modo assolutamente gratuito. Compresi allora che le vicende che ci avevano coinvolto mi avevano segnato profondamente ed allontanato da quel mondo. Le illazioni false, i pettegolezzi maliziosi, il mobbing fondato su presunte inadempienze, ma soprattutto i cambiamenti di cui dicevo sopra non erano solo culturali, di immagine ed economici, ma anche cambiamenti urbanistici, infrastrutturali e quindi politici istituzionali. Ne avevamo avuto sentore con il ns progetto dell’Auditorium della musica popolare. Con l’arrivo dei finanziamenti pubblici per le strutture di sostegno al festival, per le riqualificazioni urbanistiche e per le infrastrutture legate alla nuova vocazione turistica del paese, il festival che nella logica delle cose doveva fare da traino ed essere coinvolto, invece non tocca palla e diventa un affare per gli altri, un corpo estraneo da escludere, un ostacolo, un “nemico politico” da estirpare, anche per coloro che tutti sostenevano essere dalla ns parte e che invece hanno proseguito il lavorio iniziato da chi li ha preceduti con una determinazione da veri serial killer, facendo credere ai buontemponi e ai seguaci di riproporre lo stesso modello in continuità ma, facendo leva sul parassitismo e passatismo nostalgico, in realtà puntare direttamente all’involuzione e al ripristino della marginalità del ns paese. (Il tutto con una manovra di potere che ha portato nel dicembre 2020 alla creazione, sempre per il bene del paese …e per fare fuori il Carpino Folk Festival, di una compagine associativa che pare più un locale laboratorio politico unitario composto dai fedelissimi del Sindaco, Partito Democratico, capitanati niente po po di meno che dal segretario cittadino della Lega di Salvini nel ruolo di Presidente). La mia vita e la mia famiglia sono diventate ben più importanti della continuità di un festival e della valorizzazione di un territorio che non vuole essere più di tanto rinnovato. E’ finito cosi per me il festival.

Lascio, fatemelo dire solo per chiarezza, un festival che, per il lavoro da me svolto, lo scorso mese di aprile ha firmato con la Regione Puglia la Convenzione per il finanziamento delle attività 2019 per 70mila euro. Un festival a cui il Presidente del Parco Nazionale del Gargano ha garantito non più tardi di dieci giorni fa il massimo dello sforzo dell’Ente per far sì che il Folk continui a vivere e che in un primo incontro istituzionale tenutosi la settimana scorsa con Pasquale Di Viesti, è stata promessa la cifra di 20mila euro. Un festival che potrà sicuramente fare affidamento sul budget del Comune di Carpino e dei Comuni che verranno scelti come location per le serate dedicate agli attrattori culturale. Un festival che raccoglie sponsorizzazione varie, ma cito solo i 9mila euro già stanziati dell’azienda di trasporti più importante del Gargano. Un festival capace di raccogliere 8mila euro annuali di tesseramento e, quindi, un festival con un avviamento importante che garantisce la continuità per chi dovrà organizzarlo.
Lascio, insomma, un festival vivo in un campo santo di festival, e lo lascio cosi come quando sono entrato: senza chiedere nulla!

Lascio il festival e faccio i miei complimenti sinceri al nuovo direttivo che si è candidato per la responsabilità così forte che vuole assumere e auguri calorosi di buon lavoro a tutti i suoi membri. Il lavoro del Presidente dell’Associazione Culturale Carpino Folk Festival e del suo staff e quello della Direzione Artistica è un lavoro durissimo e di una complessità incredibile. In poco tempo occorre inventarsi professionalità inusuali, operosità e creatività e poi tenersi continuamente aperti al cambiamento. Spero darete vita ad un nuovo ciclo realizzando non solo la XXIV edizione ma molte altre ancora.
Non c’è nulla di male nel provare!
( Come non detto. Vincono ancora gli adattamenti regressivi. Il giorno dell’assemblea i candidati chiedono di aggiornare l’assemblea al giorno dopo, ma poi si presentano dimissionari. Non giudico, ma siccome questo gesto rappresenterà l’inizio di un percorso si sostituzione folle ci tengo a precisare che la mia delega vincolata non contemplava il voto contrario e che quanto poi accaduto è da considerarsi inaccettabile e spiegabile solo con la logica di appartenza ad un seducente circo magico insano. Si perchè mentre per parte mia mi adoperavo per preservare l’integrità dell’Associazione e al tempo stesso favorirne l’evoluzione attraverso una staffetta che mettesse insieme l’esperienza e la competenza con l’entusiasmo, il Sindaco, a cui fanno capo alcuni di coloro che avrebbero fatto parte del nuovo direttivo, per parte sua, invece, si era già attivato ed aveva avuto rassicurazioni in Regione per ottenere finanziamenti fuori gara, tramite le agenzie di promozione, e per realizzare un evento in continuità col Carpino Folk Festival ma che fosse sotto la sua diretta, esclusiva e dominante influenza.
Perchè continuare a dare un ruolo a chi per XXIII anni si era fatto il culo per il paese? Si decide, quindi, di far morire la vecchia esperienza e di appropriarsi dell’avviamento, della collocazione temporale, della struttura artistica, del lavoro svolto affinchè la rassegna sia fra le più accreditate all’interno dei grandi eventi della Puglia e delle risorse che non possono essere negate per quanto si è realizzato a Carpino nell’interesse di tutto il movimento pugliese, e si fa nascere un evento farlocco, che qualcuno chiamerà “adibas”, a tutti gli effetti un gioco del sindaco e della politica paesana, esattamente ciò che per tanti anni veniva accusato di essere il CFF e non era assolutamente vero. Almeno questo adesso dovrebbe essere chiaro a tutti.
La prima edizione di adibas si rivelerà un flop annunicato giustificato col detto “meglio di niente”. Piazza e vie vuote, nonostante una spesa complessiva superiore al festival vero del 2018. Ma ormai è guerra e in guerra si sa si fa terra bruciata intorno al nemico e si costruisce una narrazione che tutti sanno che è falsa ma che nessuno lo dice esplicitamente pensando di prendersene una parte o quantomeno di non prendersi la peggio parte. Si annuncia, quindi, in fretta e furia nei primi giorni di giugno 2020 quando non ci sono ancora i protocolli sanitari del covid la seconda edizione per evitare che quelli sbagliati possano avere strane idee e senza considerare le nuove condizioni imposte dal virus pubblicano un programma di spettacoli da farsi dicono in estrema sicurezza, infatti solo dopo 15 giorni anche su intervento del Prefetto di Foggia con una operazione di propaganda contraria fanno marcia indietro facendo credere di temere che i contagi turbino Carpino e il primato covid free del sindaco. Quindi “Niente di niente”, col primato che purtroppo e per ironia della sorte cade nel mese di ottobre 2020 quando nel paese ci sono solo i nativi che ancora non emigrano altrove. “Ancora” certo, infatti proprio sul tema dell’emigrazione e dello spopolamento nuova persecuzione. A settembre dello stesso anno il sindaco procede alla sostituzione del Carpino Folk Festival nella Strategia dell’Area Interna come evento più rilevante del territorio per lo sviluppo della strategia d’integrazione dell’offerta turistica sostenibile ed esperenziale, non curante del fatto che proprio dal 2018 lo spopolamento di Carpino riprende vigore e procede a velocità doppia rispetto al recente passato. Nel biennio 2019/2020 spariscono 193 residenti su 370 degli ultimi 10 anni, ossia oltre il 50% in solo due anni. Quando si vuole vincere il proprio scopo, si vuole occupare tutto e si vuole favorire la propria cerchia si finisce per sragionare anche a scapito degli interessi generali del nostro paese di fronte al rischio reale dell’abbandono e del rimorso. Ma questa è un’altra storia.

Vedi caro, non lo facevamo per denaro, per qualcosa dentro che urlava per uscire ed in nome di una passione che ci appagava già.
Tu dovevi solo assecondare e facilitare la speranza nutrita di realtà che consapevole del proprio ruolo si sbatteva già.
Ora ti sembra di vincere col tuo gioco, ma superbo non capisci che avevamo già smesso di lottare rassegnati dalla distanza tra i nostri pensieri e i tuoi.
Vedi caro, è difficile spiegare. È difficile capire se non hai capito già).
Qualche parola infine per i miei amici che rappresentano conoscenza, capacità organizzative e creazione di valore. Loro non avrebbero voluto, ma sentendosi di troppo mettono d’avanti il festival. Un’assurdità! Bisognerebbe non disperdere il sapere e i modi di operare e contrastare i particolarismi.
Domenico, tu sei cresciuto in mezzo a noi e ti sei impregnato e strutturato con le nostre megalomanie. Tuttavia, col know how incorporato sei riuscito a fare della nostra passione e dei valori della bellezza e dello sviluppo sostenibile un vero e proprio mestiere. Ti chiedo solo di non farti imbrigliare dallo stereotipo e dal Sud. Se funziona vai avanti, altrimenti vai via perché risorse come te sono preziosissime e non bisogna sprecarle.
Pasquale, amico mio, tranquillo! Lasciamo con dignità e col vanto di aver compiuto un cammino importante insieme, sempre fieri e con la schiena dritta. Senza aver mai mendicato nulla, ma chiedendo sempre quello che ci spettava e che spettava al nostro territorio. Non c’è stato altro Presidente ad aver fatto tutti i km che hai fatto tu con generosità.
Lasciamo perché come mi ha scritto un’amica in privato “quelli come voi, che hanno fatto una rivoluzione in un paesino del sud Italia, tracciano una linea di demarcazione e ad un certo punto si fermano, dicono basta. Non perché si sono arresi, ma perché ogni cosa ha una fine è, forse, perché ci credete talmente tanto che avete preferito fare un passo indietro piuttosto che far diventare patetico qualcosa che invece è stato, è e sarà sempre straordinario!“.
Sei stato il primo fan del festival ad essere diventato Presidente e con coraggio, ostinazione, disponibilità all’ascolto (si da non credere) e tanto impegno sei stato anche quello più giusto nella fase del “festival a distanza”.
Castelluccia ti ringrazio a nome di tutti i carpinesi intellettualmente onesti per il lavoro che hai fatto, è stato rivoluzionario. Per te parlano i fatti. Se Rocco è l’ideatore, tu sei il Carpino Folk Festival. Il sentimento che ci lega è quello di profonda amicizia e affetto. Tu hai dato bellezza e portato talento e luce sana a Carpino, hai rafforzato il senso di appartenenza alla nostra comunità, hai fatto diventare il Gargano un attrattore culturale, ci hai reso orgogliosi delle nostre origini e per questo ti chiedo, dopo un meritato riposo, di continuare ad essere presente nella nostra vita. Luciano ti chiedo anche scusa, ma credimi non ce la facevo proprio più.

Sono stati, insomma, assolutamente gli anni più felici della mia vita, ma ho trascorso anche periodi durissimi dal punto di vista psicologico. Mi prenderò tutto il tempo necessario per prendermi cura del mio stato di salute e spero di tornare quello di prima recuperando la passione e l’euforia perduta. Grazie a tutti.
AB
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Sul palco del festival che lascio si sono esibiti i più grandi Cantori e Suonatori della Tradizione e i più grandi Artisti italiani della riproposta: Abbes Boufrioua – Al Darawish – Alfio Antico – Ambrogio Sparagna – Andrea Parodi – Angelo Branduardi – Angelo Pantaleo – Anna Cinzia Villani – Annamaria Bagorda – BandAdriatica – Antitodum Tarantulae – Antonello Paliotti – Antonio O’lione – Aretuska – Argento Vivo – Ariacorte – Assurd – Augusto Enriquez – Bag Ensemble – Bala Perdita – Balkanija – Bandabardo’ – Banditaliana – Beppe Barra – Bosio Big Band – Cantaiatra – Cantatrici Di Ischitella – Cantodiscanto – Cantori Di Carpino – Canzoniere Grecanico Salentino – Carlo D’angio – Carlo Faiello – Chilli Band – Collettivo Musicale Carpinese – Canzoniere Grecanico Salentino – Confraternita’ Delle Voci Di Vico del Gargano – Daniele Sepe – Davide Conte – Dodi Ei I Monodi – Elena Ledda – Ensamble Of Soccavo – Ensemble Barocco Pugliese – Ensemble Popolare Della Notte Della Taranta – Marta dell’Anno – Ensemble Tradizionale Siciliano – Enzo Avitabile – Enzo Del Re – Enzo Gragnaniello – Eugenio Bennato – Faisal Taher – Fanfara Tirana – Faraualla – Flamenco Vivo – Folkabbestia – Gabin E Paul Dabiree – Gianluigi Trovesi – Gianni Amati – Gianni Coscia – Gianni Perilli – Ginevra Di Marco – Giuseppe Spedino Moffa – Gruppo Polivalente Di Mattinata – Gruppo Popolare Di San Giovanni Rotondo – I Cantori Di Carpino – I Suonatori di Ruoti e Avigliano – I Suonatori e Cantatori di Caggiano – Michele Rinaldi – Antonio Steduto – Matteo Scanzuso – E ZèZi Gruppo operaio – Carlo Trombetta – Mike Maccarone – i Suonatori e Cantatori di Colliano – I Suonatori tradizionali della Calabria – Il Parto Delle Nuvole Pesanti – Indaco – James Senese – Kebana – Kocani Orkestar – La Banda Improvvisa – La Bella Cumpagnia – La Compagnia Dei Musicanti – Largo Criminale – Li Santandunjree – Lino Cannavacciuolo – Lou Dalfin – Luca De Nuzzo – Lucilla Galeazzi – Nicola Scagliozzi – Malicanti – Massimo Ferrante – Matteo Salvatore – Maurizio Cuzzocrea – Medit.Azione – Municipale Balcanica – Musica Nova – Musicisti Di Montemarano – Nando Citarella – Nico Berardi – Novue’ – Nuova Compagnia Di Canto Popolare – Cesare Dell’Anna – Officina Zoe – Opa Cupa – Adriano Castigliego – Orchestra Tzigana Di Budapest – Otello Profazio – Paco Suarez – Phaleg – Pino De Costanzo – Pino De Vittorio – Pneumatica Emiliano Romagnola – Popularia Cilentana – Radicanto – Raffaele Inserra – Raiz – Piero Caputo – Riccardo Tesi – Rosapaeda – Roy Pace – Salvatore Russo – Sergent Garcia – Spaccanapoli – Stefano Zuffi – Stephane Delicq – Suoni del Pollino – Tabule’ – Tamburi Del Vesuvio – Tarantolati Di Tricarico – Tarantula Garganica – Tarantula Rubra Ensemble – Teresa De Sio – Terza Moresca – Cisco – Tonino Zurlo – Tradere – Uaragnaun – Uccio Aloisi – Roberto Menonna – Marco e Giuseppe di Mauro – Enrico Noviello – Pio Gravina – Angela Castelluccia – Nicola Sansone – Progetto Cala la Sera – Saraabà – i Rareca Antica – Petriò mmia – Massimiliano Morabito – Davide Conte – Alexina – Mauro Semeraro – Simone Cristicchi e Il Coro dei minatori di Santa Fiora – Mimmo Epifani – Guglielmo Pagnozzi – Teo Ciavarella – David Riondino – la Corale del Conservatorio Statale di Musica “Umberto Giordano” di Rodi Garganico – Rita Botto – Giovanni Mauriello – GirodiBanda – Al Di Meola – Vinicio Capossela – Alessandro Mannarino – Youssou N’Dour – Almamegreta – Puglia Bite – Ettore Castagna – Amarimai – Calatia Ensemble – Pino Pontuali e Andrea delle Monache – Luca Bassanese – Patrizia Laquidara – Carlos Nunez – Zibba e Almalibre – Mau Mau – Progetto suonidisotto – Giovanni Rinaldi – Elena Ruzza – Antonio di Cataldo – Claudio Pelusi – Rione Junno – Faisel Taher – Pino Pecorelli – Mastri Cantori di Villa Castelli – Mascarimirì – Skatalites, Crifiu, Donpasta, Le Mulieres Garganiche, Taranterre, Salvatore Luca Tota, Michele Sciarra, Matteo Marolla, Sergio Rubini, Umberto Sangiovanni e Daunia Orchestra, Aiarule, Etnomusicantes, I Cantori di Mattinata, Ska Cubano, Insintesi, Asian Dub Foundation, Banda Borbonica, Il Tesoro di San Gennaro, Valentina Latiano, Alfabeto Runico, Beppe Lopez, Kore Ensemble, Peppe Leone, Lina Sastri, Cantori di Monte Sant Angelo, Cantori di San Giovanni Rotondo. Le Indie di Quaggiù, Peppa Marriti Band, Flo, Slivovitz, Tricky, Mop Mop, Riserva Moac, Bukurosh Balkan Orkestra, Capleton.

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