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Carpino, il rosolio, il portale della chiesa, il vespasiano e una troupe

Usi e costumi del Gargano degli anni ’50 del secolo scorso nella cronaca di un film, “La Legge” di Jule Dassin.
Nel giugno 1956, uno scrittore in piena crisi ideologica trascorreva le sue vacanze nel Gargano, cercando la solitudine e la pace; nel giugno 1957, un romanzo di ambiente italiano “La Loi” compariva nelle librerie parigine; nel giugno 1958, Jule Dassin dava il primo giro di manovella al film che era stato tratto dal film. Interpreti del film sono Gina Lollobrigida, Pierre Brasseur, Marcello Mastroianni, Melina Mercouri, Yves Montand e Paolo Stoppa. Il luogo principale in cui viene girato il il film è Piazza del Popolo di Carpino. Un paese a disposizione della troupe. Ecco la cronaca di quei giorni a cura di Luciano Perugia riportato da Cecilia Mangini in “La legge / di Jules Dassin – Dal soggetto al film” che a sua volta cosi descrive il suo arrivo a Carpino.

Estate 1958: a Carpino ho avuto il mio primo, vero incontro con il cinema nel suo farsi, ero lì per Jules Dassin che girava “La legge” ed io dovevo scrivere un libro per Cappelli editore, per la collana “Dal soggetto al film” diretta da Renzo Renzi. Dassin era la passione di tutti i miei coetanei per il realismo del suo “La città nuda” ma sopratutto per essere stato espulso come uno sputacchio dal cinema USA allora in fase di autolesionismo maccartista. Approdare a Carpino era una conquista: fino a Rodi Garganico ci si arrivava da Foggia con una ferrovia privata a scartamento ridotto, vagoni tarlati 1910, la locomotiva era a carbone. Poi ci si affidava a un’asmatica corriera, viaggiando insieme a polli, tacchini e mamme assediate da decine di bambini a piedi nudi. C’era un libro da scrivere, e va bene, ci tenevo perché a Renzi l’avevo proposto io, fotografare non era previsto dal contratto, figuriamoci chi poteva riuscire a trattenermi, lo facevo per me stessa, anche perché la Titanus che produceva il film mi inondava di fotografie di scena, ma io scattavo a testa mia, Dassin come eroe del cinema creativo, chiuso in una concentrazione solitaria, aperto alla comunicazione totale con Otello Martelli il direttore della fotografia, con Arturo Zavattini il suo assistente, con la masnada dei suoi attori Marcello Mastroianni, Melina Mercouri, Yves Montand, Paolo Stoppa, Pierre Brasseur, Gina Lollobrigida, e soprattutto con le comparse neorealisticamente arruolate sul campo e ipnotizzate come per sortilegio. Il momento grande che sempre ci si aspetta ma capita così di rado è stato al termine di una settimana di esterno notte, quando da Carpino tutti ci siamo precipitati a San Menaio dove era il nostro albergo, gli stanchi morti a letto, gli stanchi vivi Dassin e pochi altri di corsa siamo andati in riva al mare e poi dentro l’Adriatico che con buona pace di D’Annunzio non era “verde come i pascoli dei monti” ma per il sole radente dell’aurora di un azzurrino dolce e chiaro chiaro. Per fotografare, mi sono fermata con l’acqua fino a mezza gamba“.

É strano, ma le fatiche dell’organizzazione, a film finito, assumono, nella retrospettiva del ricordo, un tono clairiano, come se quell’entità composita e pittoresca che è la troupe si muovesse al ritmo accelerato di 16 fotogrammi al secondo. Gli esterni nel Gargano, per esempio. Arrivammo a Carpino per caso, Dassin ed io, durante il primo sopralluogo in Puglia: la piazza, movimentata e un po’ squallida, senza nessuna civetteria, era piaciuta a Dassin. Per lo più, la disponibilità delle case e la loro abitabilità da parte dei personaggi corrispondeva alle esigenze del copione, anche se alcuni ritocchi architettonici erano necessari. Tutto perfetto, tutto a posto. A questo punto, invece, la produzione si trova ad una specie di anno zero.
Complesso abitazione del giudice, del commissario, commissariato e prigioni : occorreva parlamentare con gli inquilini di tutto lo stabile, soprattutto con quelli del primo piano, che dovevano prestarci una camera e permettere che le bocche di lupo della prigione levassero ogni luce al resto dell’appartamento. Si trattava di due vecchie signorine, che da quindici anni non erano più uscite di casa. Non avevano mai visto un film, ed il loro drastico isolamento dal mondo era interrotto soltanto dalle visite del parroco. Come io sia riuscito a convincerle non so ancora. Ricordo il loro salotto buono, invaso da pizzi e fiori finti, consolle e abatjours, cuscini 1926 dipinti a Pierrot inespressivi, falsi arazzi con le vedute del Vesuvio, un rosolio densissimo e sciropposo, ed io, che continuavo a parlare, sicuro che le due figurette nero-vestite e silenti non comprendessero neppure una parole. Non dissero niente. Avevano capito? Potenza del cinema : avevano capito.
Mi mandarono il parocco: rifiutavano i compensi, ma volevano che il cinematografo – eravamo noi – si adoperasse “per il bene della chiesa”. In breve, che ne restaurassimo il portale. Oggi il portale della cattedrale di Carpino ha ritrovato l’eleganza delle sue decorazioni barocco minore, opera paziente degli operai della troupe. Si rimetteva a nuovo il portale, e si costruivano le bocche di lupo e l’ascensore per il primo carrello de La legge. Non potevo attraversare la piazza senza che le due vecchiette, ormai con la coscienza esultante, non mi mandassero a chiamare per offrirmi il rosolio. Occorrevano due caffe e un sigaro toscano per togliermene il gusto dolciastro dalla bocca: ma loro erano convinte di aver trovato un intenditore.
Arrivo uno degli architetti, Pasquale Romano. Ignaro, si recò subito dalle due anziane signorine. E queste, impacciate, lo ricevettero nell’unico cerimoniale che conoscevano : ossequiosi baciamani segni di croce e rosolio a volontà. Romano, allibito, fortunatamente tacque. Ma il peggio doveva ancora venire. Si doveva arredare il commissariato : – “questa è la stanza – gli dissero le due vecchiette – faccia tutto quello che vuole. Ma il letto dove è morta nostra madre, quello non si può ne toccare ne spostare”. Il letto in questione – una specie di Moby Dick dei letti matrimoniali dell’ottocento in ferro battuto – era piazzato esattamente davanti alla finestra, e nessuna angolazione avrebbe potuto evitarlo. Un letto dentro un commissariato ! Romano tacque anche di fronte a questa angelica imposizione. Il solido archivio che occupa buona parte del commissariato non induca gli spettatori a pensare ad una iper-attività criminosa delle genti del luogo : fu l’unica – e aggiungo anche, ottima soluzione per coprire il letto tabù, intoccabile come un apria indiano.
Quindici anni di segregazione sono molti, anche se dedicati ad un intensa fabbricazione di rosolio. Non passarono de mesi, e le due anziane signorine persero l’abitudine al silenzio e all’isolamento : operai sempre per casa, rumore, confusione, due finestre tappate per mesi, tutto questo giovò loro in maniera inaspettata. Una sera – ma già erano iniziate le riprese – le incontrai in piazza, tutte allegre e alle prese con due coni di gelati.
La gente ha una strana idea del cinema e del suo miracolismo economico. Oltre tutto la storia del portale fece colpo, e si diffuse ai quattro venti. Un giorno mi si pararono davanti tra assessori di un comune che non nominerò. Il termometro segnava i 40° gradi all’ombra, ma i tre erano correttamente vestiti di scurissimi e pesantissimi panni di circostanza. Motivo della visita : il bilancio del loro comune era in deficit, quindi eravamo invitati a risanarlo. Tanto per noi, a sentir loro, cinque milioni erano una bazzecola. Se ne andarono via offesi. Fenomeno di ingenuità, non lo nego.
Ma il caso si ripetè quasi identico per la faccenda del vespasiano.
Chi ha pratica dei piccoli centri di provincia, sa cosa conti l’orgogliosa esibizione di un semaforo. Inutile, puramente decorativo, il semaforo sta ad indicare una specie di maggiorità cittadina. Nel Gargano, come ebbi a scoprire, i semafori erano sostituiti in questa funzione simbolica dai vespasiani. E Carpino non ne aveva neppure uno. Da anni gli abitanti si rodevano il fegato, pensando a quelli di Rodi, o di Sannicandro o di San Severo. Lo spirito di campanile suggerì loro una grande trovata. Vennero da noi, seri, computi, cerimoniosi. Avevano preparato tutto : preventivi, disegni, progetti : per un impianto a quattro post – il loro ideale -, a tre, e, alla peggio, anche a due. Noi dovevamo sovvenzionare l’iniziativa; loro in cambio avrebbero aggiunto una enorme lapide, a grandezza di monumento, con gli imperituri grazie della popolazione a Dassin, a Brasseur, a Mastroianni, a Montand, a Stoppa ed a mi. I nomi femminili erano stati esclusi per un comprensivo delicatissimo senso del pudore.
Ho accennato a questi episodi tra i tanti, perché mi sembra rivelino il clima che circonda il nostro lavoro : un clima mitico, che non facilitava certo le cose. E le difficoltà erano molte, ma accresciute e sensibilizzate da mille ostacoli, piccoli e grandi.
Era come se non girassimo a 400 km da Roma ma a 4000 km, urtando di continuo contro la mentalità chiusa e diffidente, ed usi e costumi di mezzo secolo prima. Per la sequenza del ballo, ci rivolgemmo alle ragazze che, immobili, restavano per ore ad osservare con sconfinata ammirazione Gina Lollobrigida. Eravamo sicuri di chiamarle a nozze. Rifiutarono : si sarebbero compromesse a ballare in pubblico con sconosciuti. Una di loro, la più vivace, ci offrì il destro per aggirare il problema : “vengo se il ballerino è mio fratello”. Fratelli, cugini, zii e perfino genitori funsero quella sera da cavalieri. Per la stessa sequenza, ci rivolgemmo ai notabili del luogo. Ci risposero con un no collettivo. Non si sarebbero mescolati con la plebe. Più tardi, attraverso messi di fiducia, ci mandarono ad avvertire che avrebbero acconsentito ma ad un patto : paga doppia, e che la cosa fosse risaputa. Insomma, volevano mantenere le distanze : e come far capire a certa gente che i generici sono generici, e le comparse sono comparse, ai fini della ricompensa? Ne andava del loro onore. Alla fine, partendo da Carpino, andai a salutare le due vecchie signorine, e mi rassegnai all’ultimo rosolio. Mi parve che se lo meritassero, perché, in fondo avevano rivelato uno spirito di collaborazione esemplare.

Associazione Culturale
Carpino Folk Festival
Ufficio Stampa: antonio basile

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