//
archives

rassegna stampa

Questo tag è associato a 53 articoli.

L’adrenalina a 1000 del Carpino Folk Festival

Dal 2 al 9 agosto la manifestazione di musica popolare più conosciuta nel paese della farfalla adagiata sulle Coppe del Gargano


Piero Giannini direttore della testata giornalistica “New Punto di stella” e corrispondente dal Gargano di "Puglia"

Musica & immagini «Carpino Folk Festival» per le foto vince Esposito


L’Associazione Culturale Carpino Folk Festival ha bandito un concorso fotografico finalizzato a elaborare proposte e idee per qualificare il patrimonio immateriale del Gargano.
Le 6 proposte presentate sono satte quelle dei seguenti fotografi: Antonio Soimero «Volti, sguardi e frammenti di Carpino Folk Festival 2008»; Martucci Marco «Esterno notte Carpino»; Nazario Cruciano «Dai miei occhi ai vostri occhi. Il Festival visto con gli occhi di uno spettatore»; Tony Esposito «Il Cerchio della Musica»; Laura Marinaccio «L’antica tradizione narrata dai gesti di oggi»; Rocco Miucci «Tradizioni del territorio garganico, con particolare risalto ai diversi aspetti e colori che caratterizzano il Festival della musica popolare e delle sue contaminazioni».
Il vincitore è risultato Tony Esposito, secondo classificato Antonio Soimero.
«Preme sottolineare – dicono gli organizzatori – che tale scelta è stata compiuta dalla commissione esaminatrice in coerenza con il tema del concorso e in base al criterio dell’originalità».

Carpino degli anni sessanta raccontato da Francesco Rosso

GARGANO MAGICO

Quando, finita la sconvolta discesa di Cagnano, si aggredisce il rettilineo lanciato attraverso la vasta pianura, l’occhio è attento solo all’asfalto che sfila sotto le ruote e, ingannato dall’uniforme piattezza che nasconde persino il lago, trascura Carpino, alto sul pinnacolo di una collina, mezzo nascosto dal movimentato scenario della stretta valle tagliata come una ferita nelle pietrose profondità garganiche.

Carpino è la risultante di una gara tra fantasie anarchiche, un gioco urbanistico realizzato senza regole che alla fine, benché ciò non rientrasse nelle previsioni, ha trovato una perfetta, compiutissima unità. Veduto dalla strada statale, sembra una bizzarra costruzione cubista eretta da bambini fantasiosi con dadi variamente colorati. Si potrebbe pensare ad un villaggio di nani, costruito sulla loro misura; eppure gli uomini che lavorano nei campi sono di taglia atletica, nerboruti, bisognosi di spazio anche quando crollano per il riposo.

Infatti, di mano in mano che si sale il colle in cima al quale è arroccato il paese, le prospettive di Carpino si definiscono. Il cilindro giallo che si vedeva in lontananza è il breve torrione di un castello ora trasformato in caravanserraglio per non so quanti nuclei familiari, i cubi azzurri, gialli, bianchi sono case tutte quadrate e uguali, con terrazze, balconi, altane a livelli diseguali che si rincorrono in aeree scalinate verso il cielo.

Le strette viuzze sembrano fenditure d’ombra nella gaiezza policroma delle abitazioni e ci si arrampica con le capre camminando sotto cascate di gerani che traboccano dalle terrazze, dai davanzali di aeree finestre raggentilite da cornici di lineare eleganza, da panciuti, spagnoleschi balconi in ferro battuto. Quale immaginoso architetto ha elaborato le improvvise scenografie delle ardite scalinate, le quinte policrome di case disposte con capricciosa asimmetria per limitare la vastità del paesaggio spalancato sulla valle, chiudere nel cerchio di raccolta intimità il villaggio battuto dai venti garganici?

Contadini analfabeti, e muratori altrettanto analfabeti furono gli ignari artefici del miracolo urbanistico; le cornici essenziali che chiudono le finestre, le porte ad arco sulle facciate disadorne, l’aggetto dei terrazzi su povere case, rivelano una civiltà del gusto certo non imparata a scuola, ma dall’armonia del paesaggio in cui questa gente vive, svariante fra montagna, pianura, lago e mare. E sono ancora contadini analfabeti ad ornare con festose ghirlande di gialle pannocchie, di peperoni scarlatti, disposte con inconscio gusto della decorazione, le facciate delle case esposte al sole, a chiudere con dorati fondali di granturco i vani terminali di stradette aperte sulla vallata.

Carpino gode immeritata fama di paese insicuro. Gliela procurò un libro, tradotto in film, che ha denigrato l’intero Gargano. Il signor Roger Vailland, quando, venne in vacanza da queste parti, raccolse come autentiche ed attualissime antiche vicende sepolte da secoli. Gli uomini che siedono al rezzo sulla quadrata piazzetta dominata dalla chiesa, limitata e definita come un palcoscenico su cui la domenica sì recita la piccola sagra delle modeste vanità locali, sono diversissimi da quelli che lo scrittore francese ha abbozzato nel romanzo « La legge », divulgato poi dal film omonimo.

Nelle ore che precedono il tramonto, quando l’aria estenuata dalla calura sfiora con le prime folate fresche i tetti delle case, i carpinesi si riuniscono in piazza, quelli che non lavorano, s’intende, perché gli altri tornano dai campi a notte piena. Il campionario è completo, tutte le classi sociali del paese sono rappresentate. C’è il ricco possidente, ma senza la iattanza del feudatario; c’è il professionista, ma senza la boria del colto fra gli analfabeti; c’è il maresciallo dei carabinieri, ma non la intimidatrice autorevolezza dell’autorità costituita; c’è il manovale povero e analfabeta, ma senza la falsa umiltà del debole angariato.

Formano una comunità ben definita, non afflitta da stridenti ingiustizie sociali. Anche il ricco, quando vi indicano le sue proprietà, risulta un ben povero nababbo; i suoi poderi sono distese di pietra su cui si affannano le capre in cerca di pascolo. Però, il signor Vailland era determinato a scrivere un romanzo ad effetto sull’Italia Meridionale, e poiché altri filoni erano già troppo sfruttati, si rivolse al Gargano, ancora poco noto alle platee avide di sensazioni forti.

Un vecchio feudatario sensuale, cinico, sterminatore di vergini, spietato sfruttatore di plebi sottomesse gli andava bene per un romanzo a tinte fosche impostato sulle differenze sociali nell’Italia Meridionale. Non si può negare che condizioni simili esistano nel Sud non nel Gargano, dove il ricco autentico non esiste. Sovente la ricchezza è più stracciona della povertà, per cui è difficile distinguere l’aristocratico dal manovale. Eppure, nel romanzo dello scrittore francese non c’è un personaggio pulito; prostitute, ruffiani, pervertiti, aguzzini si rincorrono in lubrico carosello nel perfetto scenario garganico ruotando attorno al tema di un vecchio gioco ormai in disuso, appunto « La legge ».

E’ un vecchio, abusato cliché cui ci ha abituati la letteratura sull’Italia Meridionale, ma il Gargano non può entrare nel gusto di scrittori criminal-folcloristici proprio perché nella sua storia non ci sono tradizione fosche. La gente è pacifica, di indole mite, forse un po’ pigra, aliena dalla violenza e dal delitto. Sono uomini di scorza ruvida, spinosi come i giganteschi fichi d’india che crescono nella pianura spalancata verso il lago, forse inclini a mettere le mani su piccole cose che non gli appartengono; capre, giumente, muli sorpresi liberi nel pascolo. Dopo averli conosciuti, si comprende che sarebbero generosi, ospitali, se lo potessero. Non potendo offrire altro, diventano amici di chi li avvicina, persino fastidiosi nelle manifestazioni di eccessiva cordialità non sempre disinteressata.

Bellissimo e scenografico, Carpino è forse il villaggio più povero del Gargano, con poca terra da coltivare, assai lontano, nella pianura sconfinante col lago di Varano, con greggi di capre sparse a brucare la scarsa erba sui petrosi pascoli della montagna. Se gli uomini fossero nati inclini alla violenza, nessuno se ne sarebbe stupito; l’ambiente e le condizioni in cui vivono li avrebbero giustificati.

Invece, come tutti i garganici, sono duri solo in apparenza, subito sciolti con coloro che cercano di comprenderli.

Giocano ancora alla « Legge »? Sì, giocano ancora, ma non nei modi con cui li ha descritti Roger Vailland. Si riuniscono in cinque o sei nell’osteria, ordinano alcune bottiglie di vino, o di birra, ed incominciano a puntare con le dita, chiusi in un cerchio di complicità impenetrabile. Si direbbe che congiurino, e giocano soltanto una specie di morra per eleggere il capo, colui che detterà legge. Egli ha il diritto insindacabile di far bere il vino, o la birra a chi vuole lui, mentre tutti gli altri pagano.

Una sola seduta mi convinse che « la legge » è un gioco noioso per chi, come me, non sa penetrare nell’atmosfera di mistero che i giocatori creano, senza comprendere che quel gioco può essere, per alcuni, l’occasione di bevute gargantuesche quasi gratuite. Inoltre, c’è il piacere della beffa, il sorriso agro degli esclusi, la gioia di risate irrefrenabili quando qualcuno si ribella alla « legge ». E’ un gioco molto diffuso nel Meridione, chiamato talvolta passatella, talvolta tocco, talvolta legge.

Un tempo, chi era eletto capo della piccola assemblea di bevitori, aveva il diritto di offrire il bicchiere a chi voleva, ma anche di processarlo dicendogli tutto ciò che pensava di lui, di sua moglie, dei suoi figli, delle sue sorelle, salvato dall’immunità che gli derivava dalla sua condizione di capo. Accuse di furto, adulterio, violenza carnale, pecoraggine erano pronunciate a mezza voce nel fumoso stanzone dell’osteria: cadevano come macigni sull’accusato cui il vino ricevuto dono si trasformava in fiele. Ma nessuno osava ribellarsi, quella era la legge.

Ciò accadeva un secolo addietro, anche i più anziani ne ricordano le movimentate notti invernali trascorse nel gioco della « legge », trasformatosi ora in modesto antagonismo bibitorio. Sempre più raramente, distratti da altri intere (il cinema, la televisione, una certa facilità di amoreggi con le ragazze), si seggono attorno al tavolo, eleggono il capo e attendono la designazione col pomo d’adamo che gli guizza sotto la pelle del collo, tutti in succhio nella speranza di bere quasi gratuitamente alcuni bicchieri di vino.

La sera quando gli uomini tornano dal lavoro nei campi, il palcoscenico della piazzetta si anima d’improvviso. Seduti sui bassi scranni, gli anziani che hanno trascorso le ore in silenzio, cacciando con pigre mani la molestia aggressiva delle mosche, si risvegliano dal letargo per commentare la vita di tutti coloro che sfilano sotto i loro occhi distratti, uomini di pelle scura, conciata e arrostita dal sole, gli sguardi allucinati dal lungo riverbero luminoso, la schiena stroncata dalla fatica della mietitura.

Nelle ore torride della canicola Carpino sembra un paese ubbriaco di luce, un paese stordito dalla vampa, reazioni con le viuzze deserte e la piazza devastata dal spietato. Sono le ore che preferisco in questo fantasioso villaggio, mi eccita il pensiero di camminare sul sonno della gente abbandonata alla siesta, fra le galline che chiocciolano razzolando fra la spazzatura della strada, fra gli asini legati al muro e con le frange inerti a sfiorare il suolo.

Tutto è immobile nella luce arroventata, il silenzio è profondissimo, il ronzìo delle mosche instancabili rimbomba con fragore. Da un’altana, dal terrazzo di uno scoglio, l’occhio ha tutto l’orizzonte per sé, domina la dilagante pianura gonfia di umori caldi. Dal torrioncino di pietra gialla del castello, su cui sventola l’afflitto pavese di povera biancheria intima stesa ad asciugare, il lago di Varano appare come sommerso dalla cateratta di luce che crolla dal cielo sterile.

L’acqua si stempera in tonalità grigio-azzurre, diversificandosi dall’Adriatico non per il sottile istmo di sabbia gialla ma per il variare dei colori; verde fondo il mare, grigio spento il lago.

Tra i campi gialli di stoppie, le cicale si eccitano stridendo con frenesia monotona, ubbriache di sole. Splendono i pomidoro come vampe nell’aria infuocata; sulle pale immense dei fichi d’india, un freddo metallico che non dà ristoro all’occhio abbacinato, gonfiano i frutti spinosi, grossi, polposi, dolcissimi.

Folgorato dal sole, Carpino attende il brivido delle prime ombre serali per ridestarsi; allora il «Caffè Vittoria» e la piazza incominciano a popolarsi per i quotidiani, pigri pettegolezzi, cui il cantilenante dialetto toglie ogni asprezza.

Dopo tanto sole, non si ha più l’energia necessaria alla cattiveria autentica; gli antagonismi, le avversioni, si esauriscono in placata maldicenza, tutti hanno coscienza di essere simili agli altri nei difetti e nelle qualità, di condividere un destino poco benevolo che tutti eguaglia.

Carpino è un paese bellissimo e malinconico. Qui nessuno canta, nemmeno le donne che al tramonto, strette nell’ombra avara delle case basse, rammendano panni lavati e rattoppati fino allo spasimo. L’esistenza non è gioconda per questi uomini, persino le cantilene per addormentare i bambini sembrano tramate di pianto; echeggiano la tristezza congenita di questa gente che ha come scenario il fantasioso villaggio arroccato sul pinnacolo di una collina battuta dal vento e folgorata dal sole.

Sono nenie che parlano di morte già vicino alla culla, una preparazione all’esistenza dura, quasi disumana, da incominciare subito; coloro che sono appena giunti devono abituarsi presto alla realtà della fatica tremenda cui, per sopravvivere, saranno dannati nel paesaggio di struggente seduzione, ma ostile all’uomo.

La pioggia non ferma il Folk Festival di Carpino. Bagnato ma fortunato: record superati

E’ di oggi un articolo del Quotidiano di Puglia di Piero Giannini
CARPINO – Il Festival di Carpino chiude sotto un temporale che ha rovinato un po’ il concerto di Teresa De Sio e la festa. “Rovinato”? E perché rovinato! Quando dopo otto giorni di semina ti arriva una scrosciata d’acqua, quanto hai deposto nel terreno di coltura ha tutte le probabilità di germogliare a tempo debito e fruttificare, meglio e di più. Mettiamola così, senza parlare di delusione, come ha fatto qualcuno, o aspettative finali mancate, come qualche altro avrà pensato. Personalmente siamo sempre della corrente di pensiero del “bicchiere mezzo pieno”, il mezzo vuoto non lo vediamo proprio. Teresa, e con lei il Carpino Folk
Festival, avranno tutto il tempo di rifarsi, la De Sio è donna sensibile e per niente “diva”, lo dimostrano le sue sporadiche apparizioni televisive.
E’ donna “fattizia”, si dice da queste parti, e non fa sorprese. E poi, perché rammaricarsi – se qualcuno sia caduto in questo errore – di due ore non andate come tutti si attendevano, quando ce ne sono state tantissime altre che hanno denunciato la vitalità di una manifestazione, l’essere e non solo l’apparire di una organizzazione, la pregnanza di un “raduno” che non ha avuto un attimo di sosta (ne siamo diretti testimoni, avendo piacevolmente dovuto star dietro a una valanga di comunicati-stampa e veline di ogni tipo!), il turgore vitale di una convention che quest’anno, a nostro modesto parere, ha dimostrato ‘in toto’ la capacità di rompere gli argini e tracimare nei cuori e nelle menti non solo degli aficionados.
Altro che bicchiere mezzo pieno… al bicchiere è mancato solamente il colletto!
Dilungarsi sulla distribuzione dei “bravo” a chi ha pensato a costruire un prototipo silenzioso ma già dirompente, sin dall’inizio, diventato col tempo e le edizioni una rombante “formulauno” da competizione, lo riteniamo riduttivo. Non ci sono “bravo” che tengano nei confronti di giovani uomini e anziani ragazzi, di pensatori e produttori d’idee, di geniali animatori e costruttori di formidabili “apripista” che non lasciano nulla al caso e si battono per giuste “battaglie” e campagne promozionali atte a non lasciar morire, anzi a rinverdire, ciò che definiscono patrimonio immateriale. Non ci sono complimenti e congratulazioni che bastino per una “tribù” che ha fatto della tenacia e dell’amore per la propria terra l’arma vincente di una guerra allargata e finalizzata al recupero vitale di “pietre fondanti” a dimostrare che il “futuro” si costruisce soltanto se esiste un “passato” al quale il “presente” faccia da trampolino di lancio.
Inutile pertanto ricordare i Basile, i Trezza, i Castelluccia, i Piccininno, i Maccarone, i loro ospiti e l’intera stratosferica “genìa” che costituisce il Festival. Ormai non sono più pezzi a se stanti, intercambiabili quanto si voglia, di una complessa struttura, ma la “struttura”stessa, non più i cingoli o le ruote dentate o la torretta
di un carro armato, ma il carro armato medesimo, che punta avanti deciso, non conoscendo ostacoli, superando pantani di freddezza e paludi d’indifferenza, gattopardesche “macchie” d’insensibilità e impotenti, alla lunga, freni e pseudoastuti quanto inutili dragaggi volti a sminuirne potenza e valore.
Morto un re se ne fa un altro, suol dirsi. Conclusa la 13.ma edizione si pensa già alla 14.ma. E deve essere così, dovrà sempre essere così. Le “cose belle” non hanno termine quando sono “veramente belle”. Altri, non sicuramente noi, parleranno della 140.ma edizione, e – forse – diranno le stesse cose che stiamo scrivendo o – forse – tratteranno del Folk Festival con toni più trionfalistici, perché – ce lo auguriamo – la manifestazione sarà diventata un evento europeo se non addirittura internazionale.
Il latino “ad majora” ci sta bene, a questo punto, ci va a fagiolo, in quanto il Cff non può che migliorare e migliorarsi. L’acqua a catinelle della chiusura solo il contadino sa quanto faccia bene!

Capossela, Raiz e Teresa de Sio star del Carpino Folk Festival

Il Cantore Piccininno e le sue Serenate

"Quando vedo una bella donna mi viene subito di dedicarle una serenata. I giovani d’oggi non hanno idea di cosa possa significare una dichiarazione d’amore in sonetti". Ha 92 anni ed è riconosciuto in tutto il mondo come l’ultimo cantore di Carpino dopo la scomparsa nel 2006 di Andrea Sacco (all’età di 94 anni), il custode di una storia popolare che non perde occasione per ricordare i tempi della sua gioventù e fare paragoni con quella odierna.

Chi non conosce Antonio Piccininno, classe 1916, potrebbe anche non sapere cosa vuol dire cantore di Carpino. E’ il canto popolare garganico più famosa ed incontaminato, originale ed inimitabile, fatto dalla improvvisazione e dall’amore dei suoi interpreti verso quello che è a tutti gli effetti un modo di comunicare, di raccontare, la terra rocciosa, fino ad un tempo impenetrabile, del Gargano. Antonio Piccininno è interprete della musica popolare, suonatore di nacchere, ma anche cabarettista e show man. Un trascinatore, capace di condurre lo spettatore fino al gran finale senza poter distogliere l’attenzione anche per un solo istante. E si, perchè dentro quella filastrocca c’è la vita quotidiana di quel popolo, le sue abitudini, usi e costumi che si possono rivedere solo in quei momenti, in cui dal 2 al 9 agosto, si dà vita al Carpino Folk Festival, una incredibile kermesse di interpreti, sostenitori o successori di quel filone così amato da personaggi come quel giovane ricercatore americano, Alan Lomax, che, accompagnato da Diego Carpitella, nel 1954 fece un viaggio alla scoperta dell’Italia sonora ponendo il primo mattone per la salvaguardia dei cantori di Carpino e della tarantella del Gargano. In pochi anni questo genere musicale riesce a scalare le vette più impenetrabili del panorama musicale italiano finendo anche al teatro lirico di Milano nel 1967. Da quel momento in poi sono stati tanti gli appassionati di quest’arte di raccontare la vita a non poter fare a meno di vivere il trasporto di quelle sonorità. Da Giovanna Marini a Francesco Nasuti, Teresa De Sio, Carlo d’Angiò, Robert Fix, Pino Gala, Salvatore Villani, Ettore de Carolis, Eugenio Bennato, Carlo d’Angiò e tanti altri ancora. Ma perchè queste sonorità sono diventate così famose in tutto il mondo e di un fascino straordinario. la spiegazione la si può trovare nella "serenata di Carpino", una composizione vocale-strumentale, a struttura semplice e carattere popolare, che secondo un’antica usanza veniva eseguita di sera o di notte sotto le finestre della propria bella per corteggiarla e per manifestarle i propri sentimenti o per rendere pubblico un rapporto di fidanzamento, che in una comunità maschile come quella carpinese dei decenni scorsi aveva anche l’ulteriore funzione di consentire il controllo sociale del rapporto da parte della comunità. "Ci sono stati tanti episodi in cui a Carpino nel dedicare una sereneta alla propria fidanzata (a volte non sapeva di esserlo già) -racconta Antonio Maccarone, il cantore di soli 88anni- si è corso il rischio di finire sotto le mazzate di padri poco sensibili e disponibili". A Carpino la composizione della serenata comprendeva oltre quattro sonetti che talvolta andavano anche oltre i dieci. Il tipico organico strumentale era costituito da chitarra battente, chitarra francese, castagnole e tamburello. Nello specifico il repertorio era frequentemente iniziato dal sunettë con cui si chiedeva licënzë a cantare e finiva con il sunettë della bonasërë.
Pochi sanno che la parte centrale della serenata di Carpino è costituita dalla Canzonë che nulla ha in comune con lo stile vocale e musicale dei sunettë, ossia con la mundanara, la rodianella e la vestesana. La Canzonë infatti è costituita da un brano lirico come testo e di stile vocale modale, con sillabe che corrispondono anche a parecchie note cantate, molto ornato, ritmicamente molto libero e con una emissione vocale spesso forzata e tesa nel registro dell’acuto. La sua esecuzione veniva musicata dalla sola chitarra battente che nell’occasione non viene battuta ma pizzicata. Ecco la struttura minima della serenata dei Carpinesi. "Sunettë della licënzë; Primë arruvatë e ti cerchë licënzë; se a qustu lochë ce pozze cantà; ji cë so’ vënutë pë la cunfidënzë; non la ‘ntënnitë na mala crijanzë;l’acquë corrë addovë c’è l’appënnenzë; ‘stu ninnë venë addò che tenë li spëranzë ". Ed ancora: "La Canzonë; Di primë amorë ti venë a salutà; di novë ammantë bellë stativ’ a sintirë; së c’ha lu piacerë ti vole sentirë; dalli nu ventë che po’ ‘ddà jì a navëgà; questa barchettë dall’portë avev’ascì; quannë p’nnantë a vui ven’a passà; falli nu segnë d’amorë mittëtë a rirë ".

Per il Giornale della Musica Carpino nei prossimi giorni diverrà una caput mundi

Partita la campagna promozionale di FFSS con l’uscita di Viaggi (la rivista allegata alla Repubblica) di questa settimana

Turismo Gargano, Vascello: una rondine non fa primavera, ma l’estate sarà boom

Su 26 strutture monitorate dall’Apt di Foggia sui territori di Vieste. Mattinata, Peschici e Monte Sant’Angelo, ben 17 hanno registrato l’overbooking (tutto esaurito), 4 avevano il 90% delle stanze occupate, 1 l’80%, 2 il 60% e 1 addirittura un + 20% rispetto alla stagione estiva 2007".

Snocciola con felicità i numeri record del ponte del 2 giugno sul Gargano, Nicola Vascello, neo assessore provinciale al turismo e commissario dell’Apt di Foggia. L’esamina dei numeri fa prendere corpo ad un boom turistico di gigantesche proporzioni. "Il bilancio è certamente ottimo – dichiara Vascello a l’Attacco – A dire la verità, e non per essere banale, io me l’aspettavo questo tsunami di positività sul Gargano.
Certo una rondine non fa primavera, ma l’esperienza insegna che da sempre i ponti del 1 maggio e del 2 giugno sono termometri e test attendibilissimi della stagione estiva". Gli operatori turistici ovviamente sono felici di tali risultati, e anche Vascello scaccia le ultime paure per una stagione da flop. "Credo proprio che ci attende una stagione ricca di soddisfazioni. La Puglia ormai è una regione che fa tendenza nel mondo del turismo, una moda per tutti coloro che si confrontano con il mercato delle vacanzesottolinea Vascello -. Finalmente raccogliamo i risultati di un alacre lavoro di promozione intrapreso dall’assessorato regionale al turismo, che ha risollevato le sorti di questo settore dopo anni bui e d’indolenza.
L’assessore Ostillio, assieme a tutti coloro che fanno parte del sistema turismo, ha fatto e sta facendo davvero un lavoro impeccabile- aggiunge- Ciò che davvero bisogna capire, è che il modo di viaggiare è cambiato rispetto al passato. Adesso non si prenota più la vacanza con largo anticipo, ma la fa da padrona il last minute per due ragioni: una è certamente la convenienza che si trova nelle offerte; l’altra è che il turista si orientato a fare proprie scelte anche in base alle condizioni meteo della meta da scegliere".
Ma questi buoni risultati non fermano l’azione di rilancio d’immagine del Gargano, anzi spinge gli attori principali del sistema turistico locale e provinciale ad intensificare gli sforzi. "In tal senso già siamo pronti a sfornare un paio d’iniziative- asserisce Vascello- Il 20 giugno ad Orsara di Puglia ci sarà la presentazione del FFSS (Five Festival Sud System), con un evento che vedrà protagonisti giornalisti e tour operator nazionali, ai quali oltre al calendario delle singole manifestazioni, saranno presentati i relativi pacchetti viaggi.

Altra iniziativa importante è la terza edizione di `Città aperte’, dove renderemo fruibili turisticamente diversi siti storici ed archeologici, difficilmente visitabili. L’Abbazia di San Leonardo in Lama Volara, l’Abbazia di Pulsano, la Grotta di San Michele Arcangelo, l’Abbazia di Santa Maria di Siponto, il centro storico di Pietra Montecorvino, la Necropoli della Salata di Vieste, la Chiesa di Sant’Elia a Peschici, sono alcune delle mete del vasto circuito che coinvolgeranno attivamente i visitatori".

La promozione turistica varcherà anche i confini locali. "Nel giro di qualche giorno -conferma l’assessore – partirà l’intensa campagna pubblicitaria pensata per il Gargano. Sul sito web dell’importante quotidiano Repubblica.it (con maggior rilievo nelle sezioni di Milano, Roma e Napoli) saranno ben visibili i pacchetti per soggiornare in Capitanata in occasione degli eventi di FFSS.

Inoltre una massiccia campagna di promozione a 360° del Gargano è già partita sulle riviste specializzate, e a breve sarà presente anche sull’ importante inserto `Il venerdì di Repubblica’(4 uscíte)- conclude.
Però prima dell’estate vorrei riunire di nuovo il forum del turismo di Capitanata, per dare il via a quell’azione di cabina di regia che tanto manca al nostro territorio.
La mia idea è quella di creare due brand: quello del Gargano e quello dei Monti Dauni, che avranno una propria identità ed indigenza, ma che avranno diversi punti di contatto, in quanto certamente il Promontorio può fare da traino".

Matteo PALUMBO – l’Attacco 

Decise le date del Carpino Folk Festival

Non c’è solo la Notte della taranta in Puglia a radunare folle oceaniche per la musica della nostra storia: il Carpino Folk Festival dedica da tredici annni il proprio cartellone alle musiche e ai balli tradizionali dell’area del Gargano, in odore di proclamazione di "patrimonio culturale immateriale dell’umanità". Il comitato direttivo ha stabilito le date della prossima edizione: si svolgerà nel paesino del foggiano dal 1 al 9 agosto; il programma è ancora in via di definizione.

Archivi

I tuoi cinquettii