Cari amici speleologi e non,
sabato 6 marzo alle 16,30 presso l'Auditorium di Palazzo Fioritto a San Nicandro Garganico, verrà presentato l'8° Corso di Speleologia della Scuola "Luigi Gualano" di San Marco in Lamis con il Gruppo Speleologico Montenero e con la collaborazione del Team Archeo-Speleologico ARGOD di San Nicandro Garganico. Sarà anche l'occasione per presentare la Scuola di San Marco in Lamis con la nuova intesazione dedicata all'amico "Luigi Gualano".
Interverranno i Presidenti dei gruppi coinvolti, i Direttori della Scuola e del Corso e il Coordinatore delle Scuole di Speleologia della Regione Puglia. Inoltre sarà presente l'Assessore al Turismo, Sport ed Associazionismo del omune di San Nicandro Garganico.
Sono invitati tutti i gruppi speleologici e la cittadinanza per avere la possibilità di scoprire un mondo tutto nuovo. Quindi vi aspettiamo a San Nicandro Garganico, Palazzo Fioritto nel Centro Storico alle 16,30, sabato 6 marzo. Dopo l'incontro inizierà il corso con le lezioni teoriche previste, dove si potrà anche assistere. Per chi fosse interessato c'è ancora qualche posto disponibile per iscriversi.
Cordiali saluti.
Una fetta significativa dei finanziamenti all’interno del progetto strategico di Capitanata 2020 è destinata al territorio garganico, e questo – spiega il commissario dell’ente parco, Giandiego Gatta – proprio al ruolo e allo spessore che l’area protetta riveste nell’ambito di tutta la Capitanata. Ben quindici i Comuni coinvolti nel progetto che beneficeranno dei finanziamenti, opere di notevole importanza che abbracciano una larga forbice di interventi di alta qualificazione. «Per cui – aggiunge Gatta – la recente approvazione da parte della giunta regionale del programma stralcio è manna dal cielo per l’intero territorio della Capitanata. Poter contare su una disponibilità di oltre 34 milioni di euro, di cui più di otto destinati ai comuni garganici, è un buon viatico per guardare al futuro con ottimismo». Nel dettaglio, gli interventi più significativi riguardano Rignano Garganico e Vieste. Per il primo Comune, le risorse per circa 400mila euro saranno finalizzate alla valorizzazione di Grotta Paglicci e delle sue preziose testimonianze che ne fanno un punto di riferimento, forse unico, per una “lettura” del nostro passato. Interventi che non riguarderanno soltanto l’insediamento paleolitico ma anche la realizzazione di un museo. Per Vieste sono oltre due milioni gli euro da destinare alla riqualificazione dell’area portuale. Un plafond di tre milioni di euro destinati alla rivitalizzazione di alcuni centri storici dei Comuni ricadenti nell’area protetta, già individuati dalla regione. Infine, poco meno di un milione di euro per energia alternativa degli edifici scolastici.
ondaradio.info
RIGNANO GARGANICO (Foggia) – Aveva la faccia scura come quella di un carbonaio, lo sguardo torvo e un’ idea fissa: il tesoro nascosto nella grotta. E per trovarlo aveva una mappa che indicava il luogo dove un brigante dell’ Ottocento aveva sepolto un baule pieno d’ oro. Gliela aveva data un compagno di cella mentre si trovava in galera e quando per lui era arrivata la fine della pena, l’ altro – che non sarebbe mai tornato libero – decise di rivelargli quel segreto che valeva davvero un tesoro. Dovevano essere gli anni Trenta del secolo scorso quando Leonardo Esposito uscì dal carcere con in tasca quel pezzo di carta e un pensiero solo: andare a Rignano Garganico, cercare la Grotta di Jalarde (Grotta Paglicci), trovare il punto preciso e scavare. A otto metri di profondità – gli aveva detto l’ ergastolano – c’ era il tesoro del brigante Briele Jalarde (Gabriele Galardi), che negli ultimi decenni dell’ Ottocento aveva scorazzato rapinando e uccidendo fino ad ammucchiare una vera ricchezza. Che nascose in quella grotta, dove andava a rifugiarsi con la sua banda. Poi erano arrivati i Piemontesi e come tanti briganti meridionali anche Jalarde era finito in galera. Anno dopo anno i sogni di libertà e di tesori da recuperare erano svaniti nel nulla e così il brigante decise di confidare il suo segreto a qualcun altro che anni dopo, sempre in galera, lo regalò a Esposito. Appena libero Esposito s’ arrampicò sui gradoni calcarei del Gargano sentendosi già ricco come un re. Nella sua mente brillavano monete, collane, calici, anelli, bracciali; tutti d’ oro naturalmente. Ma le cose si rivelarono più complicate del previsto. Scavò nel punto indicato dalla mappa, poi un po’ più in là, un po’ più a fondo. Niente. Riprese a scavare, sbriciolò a mazzate macigni da far paura, spostò mucchi di terra alti come montagne, scavò gallerie come una talpa. Niente. Per settimane e mesi, finché estati e inverni cominciarono a rincorrersi anno dopo anno. Niente. Esposito capì che a forza di braccia non ce l’ avrebbe mai fatta. Così ricorse alla dinamite e cercò di sbriciolare quella montagna di pietra con botti che facevano tremare mezzo Gargano. In quegli anni fu tutto un andare e venire da Sannicandro, dove abitava con la famiglia, per accumulare picconi, micce, polvere da sparo, corde, candele, dinamite, torce e mazze. Passavano gli anni e Esposito era sempre lì a frugare sottoterra, mentre pastori e contadini ridacchiavano di quell’ uomo nero come un diavolo che cercava un tesoro che forse non c’ era nemmeno. Ma altri dicevano che aveva trovato un Crocefisso, che nessuno aveva mai visto, ma era grande così e tutto d’ oro. «Nel 1960, quando arrivai alla Grotta Paglicci col collega Franco Mezzena – racconta Arturo Palma di Cesnola, archeologo dell’ università di Siena e specialista di preistoria – trovammo Esposito al lavoro. Ci disse che cercava asparagi, anche se dappertutto si vedevano i danni dei suoi scavi. Un anno dopo il professor Francesco Zorzi, direttore del museo di storia naturale di Verona, cominciò le ricerche all’ interno della grotta incontrando strati molto ricchi di materiale preistorico. Ma nessun tesoro». Era l’ inizio di una grande scoperta che in quasi mezzo secolo di ricerche ha fatto di Grotta Paglicci uno dei «santuari» della preistoria italiana. «I guai con Esposito cominciarono subito – continua Palma di Cesnola -. Lui era convinto che noi cercassimo il suo tesoro e per questo, appena possibile, distruggeva le nostre trincee di scavo. Non c’ era modo di fermarlo e allora Zorzi lo assunse come scavatore in modo che vedesse coi proprio occhi che noi cercavamo schegge di pietra, frammenti d’ ossa e non il tesoro del brigante. Ma l’ espediente non servì. Appena noi ce ne andavamo, lui riprendeva a scavare in proprio. Quando nel 1971 io assunsi la direzione degli scavi e i lavori ripresero, cominciò un braccio di ferro estenuante – ricorda Palma di Cesnola -. Esposito doveva avere più di sessant’ anni, ma era instancabile: lui distruggeva le nostre sezioni di scavo, io riempivo i cunicoli che lui scavava. Una lotta senza fine. Finché un giorno venne a farmi una proposta: "Tu hai i soldi e gli operai, io ho la mappa. Mettiamoci d’ accordo e facciamo a metà dal tesoro". Il mio rifiuto non lo scoraggiò affatto. Anzi, con tre compari fissati come lui, scavò un pozzo profondo otto metri e con la dinamite fece crollare il tetto della grotta. Era il 1972 e ricordo quell’ anno come quello di un disastro». A quel punto l’ archeologo chiese l’ intervento dei carabinieri che in un paio di occasioni misero Esposito in galera per «impiego non autorizzato di esplosivi». A ogni amnistia, però, usciva di galera e ricominciava. Ma con sempre meno lena perché a forza di comprare esplosivi e non fare altro che cercare il tesoro, aveva dovuto vendere un po’ di terra che aveva e s’ era ridotto sul lastrico. Oggi a Rignano qualcuno è pronto a giurare che il tesoro è ancora lì. E molti l’ hanno anche cercato. Un anziano signore ricorda qualcosa. «Sono passati più di cinquant’ anni – dice cercando tra i ricordi con qualche prudenza -. Tre compari di Rignano fecero venire un tale da Bari con un librone dove c’ era scritto il modo di far parlare i diavoli. L’ uomo disse che dovevano trovarsi davanti alla grotta portandoci anche una ragazzina "innocente". Per questo uno dei tre si presentò con una figliola, poco più che una bambina. L’ uomo la ipnotizzò e sparse nella grotta tanti foglietti numerati. A quel punto l’ "innocente" disse che vedeva una cassa piena d’ oro sotterrata proprio vicino al foglietto col 70. I tre compari e il mago entrarono nella grotta – prosegue il mio informatore – e accesero delle candele per mettersi a scavare, ma sentirono un lamento profondo e un soffio d’ aria spense i lumi. Tutti scapparono. Il mago si arrabbiò molto e disse che qualcuno di loro non aveva seguito le raccomandazioni che lui aveva fatto. Infatti si scoprì che uno dei tre paesani aveva all’ interno della coppola un’ immaginetta della Madonna col Bambino e questo aveva fatto arrabbiare il Maligno. Così il tesoro non venne trovato e il mago disse che per almeno una quindicina d’ anni sarebbe stato inutile riprovare». Carmine, un uomo che nelle vicinanze della grotta di Jalarde c’ è nato e ancora ci vive, ha qualcos’ altro da raccontare. «Il vecchio custode della Madre di Cristo – dice indicandomi una chiesina su uno sperone roccioso assediato dagli ulivi – mi disse che alla Grotta di Jalarde ci si arrivava anche passando dalla Grotta Nera, un buco nascosto tra pietre e cespugli vicino alla chiesa. Ma una volta ho visto strane cose laggiù ed è meglio stare alla larga». Insisto, anche se non serve, e Carmine continua a raccontare. «Successe una notte di una decina d’ anni fa. I cani si misero ad abbaiare e non smettevano più, mi guardai attorno e vidi una luce laggiù, vicino alla chiesa. Decisi di andare a vedere e mentre mi avvicinavo piano piano, sentii delle voci, come una cantilena. Mi affacciai da un muro e guardai nel cortile: c’ erano delle persone incappucciate che stavano in cerchio attorno a un fuoco e cantavano, pregavano. Ebbi paura e scappai. Chissà, forse facevano qualche rito per trovare il tesoro». Più difficile trovare notizie del brigante Jalarde perché solo i più vecchi possono raccontare quello che sentivano dire dai loro nonni e così, a forza di passaparola, i racconti arrivano come favole sbiadite. La signora Raffaela, ormai vicina all’ ottantina, ne racconta una proprio bella. «Quand’ era bambino, mio nonno abitava accanto alla
casa della moglie di Jalarde. Spesso la donna preparava un fagotto di vestiti puliti e li dava a mio nonno ragazzetto che senza farsi vedere da nessuno scendeva lungo i sentieri della montagna e li portava alla grotta dove il brigante e la sua banda si nascondevano coi loro cavalli. Un giorno, però, venne preso da uno dei briganti che non lo conosceva e che lo picchiò forte, dicendogli poi di non farsi più vedere da quelle parti. Proprio in quel momento arrivò Jalarde insieme ad altri briganti e visto quello che era successo, ordinò a uno dei suoi di sparare un colpo in testa all’ uomo che aveva picchiato mio nonno. Lo ammazzarono all’ istante – continua la signora Raffaela mettendosi le mani nei capelli – e mio nonno, spaventato, disse che non sarebbe più tornato a portare i vestiti puliti. Jalarde capì e per compensarlo di tutto quello che aveva fatto fino allora gli regalò un calice d’ oro che mio nonno portò a casa e suo padre nascose all’ interno di un muro. Io non so dove venne murato, ma in casa se ne parlava sempre. Poi sono passati tanti anni, i nonni sono morti, io sono diventata vecchia e la casa è stata venduta e rivenduta. La famiglia che ci vive ora non sa nulla di quel calice d’ oro, ma se dovessero trovarlo dovranno ridarcelo. Appartiene alla mia famiglia, ce lo regalò Jalarde, il brigante della grotta». Io alla Grotta Paglicci ci vado di giorno e accompagnato da due guide un po’ speciali, anche nei nomi: Paolo Gentile e Enzo Pazienza, fondatori delle due associazioni che per anni si sono combattute in nome della valorizzazione del patrimonio culturale di Paglicci. Ora hanno fatto fronte comune e inseguono lo stesso sogno: far conoscere la grotta e attirare visitatori. La strada per Paglicci è franata da mesi e così bisogna fare un giro largo con l’ auto, poi risalire a piedi il pendio sassoso tra gli ulivi e finalmente s’ arriva alla grotta. L’ ingresso è dietro grandi massi e cespugli fitti, una pesante porta di ferro sbarra l’ entrata. Nel pavimento dell’ atrio, accanto alla parete sinistra, si apre un pozzo quadrangolare profondo 13 metri. L’ hanno scavato gli archeologi in oltre quarant’ anni di ricerche ed è un vero pozzo del tempo. I primi strati di terreno, quelli a livello del pavimento, hanno restituito oggetti antichi di circa 11 mila anni, ma scendendo di strato in strato, di metro in metro, gli archeologi hanno trovato testimonianze di 20 mila anni, 50 mila, 100 mila, 250 mila anni fa, e sotto ci sono ancora livelli intatti che promettono storie ancora più antiche. Una sequenza stratigrafica imponente che racconta quando c’ erano altri uomini e altri climi, attraverso ossa di animali che non vivono più qui, utensili e armi di pietra, ossa incise con belle figure di animali, incisioni che fanno pensare a una forma di «scrittura» già oltre 15 mila anni fa. Ci sono anche due sepolture, una donna e un ragazzo, che raccontano riti funebri complessi e sepolture di corpi smembrati che evocano a rituali raccapriccianti. E, in fondo a tutto, nascosti nell’ ultima sala dove la luce non può arrivare, ci sono due cavallini rossi dipinti sulla parete e impronte di mani aperte che dicono «io sono stato qui», ventimila anni fa. Per tutto questo Paglicci è la vera grotta del tesoro ma, come quello del brigante, anche quello preistorico non si fa vedere perché in quasi mezzo secolo di ricerche nessuno è riuscito a fare in modo che il pubblico possa almeno affacciarsi in questo scrigno. Non per i sortilegi di Satana in questo caso, ma per quelli piccini piccini dei burocrati. vdomenici@corriere.it (5 – fine. Puntate precedenti: La ragazza dell’ harem, 3 agosto; Amore a fumetti, 11 agosto; La spada nella roccia, 15 agosto; Il paese delle streghe, 24 agosto). La mappa IL PAESE LA STRADA, IL LIBRO La Grotta Paglicci si trova a 8 chilometri da Rignano Garganico, 34 da Foggia. In paese, presso il Centro Studi Paglicci, è aperta una mostra con foto, oggetti originali e calchi. Informazioni: tel. 368/7505314, oppure Comitato Pro Grotta Paglicci: www.paglicci.com L’ unico libro divulgativo è «Paglicci», di A. Palma di Cesnola, distribuito gratis dalla Regione Puglia: 0882/832524
Domenici Viviano
(1 settembre 2003) – Corriere della Sera
SAN MARCO IN LAMIS. Le tappe della vicenda. 4 agosto 2009 Gli speleologi della ditta «Edilextreme» scendono nella grava di Zazzano per le operazioni di bonifica e per cominciare a rimuovere con la gru le carcasse delle auto. Sotto una «Fiat Punto» vedono resti umani, si fermano e avvertono i carabinieri. 10 agosto Recuperati i resti umani scoperti il 4 agosto: femori, parte di un piede e di una spalla, con brandelli di pantaloni di tuta e maglietta grigio-verde, le ossa sono legate con corda di nylon rossa, il che fa pensare ad un possibile incaprettamento (la vittima viene legata a piedi, polsi e collo in modo tale che muovendosi finisce per strangolarsi). Appartengono ad un uomo di circa trent’anni, morto tra il 2000 e il 2004.
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno
La cavità è un relitto di un ben più esteso sistema sotterraneo a cui presumibilmente apparteneva anche la vicina Grotta Paglicci. L’accesso naturale, costituito da un pozzo profondo 8 metri,è reso inagibile da una frana.
A 50 metri di distanza. verso est, esiste un altro ingresso che permette di accedere, tramite un pozzetto ed un angusto cunicolo, in un modesto ambiente di crollo scavato in buona parte nel conglomerato. Un ulteriore salto di scarsa profondità ed uno scivolo in accentuata pendenza, immettono in una superba caverna lunga circa 70 metri e scavata interamente nell’interstrato.
Quest’ambiente è caratterizzato dalla presenza di numerosi gruppi stalagmitici la cui suggestiva bellezza ha suggerito il nome della grotta. Non mancano inoltre grosse stalattiti, drappi, meduse e concrezioni eccentriche che conferiscono all’insieme una coreografia originalissima ed irripetibile.Purtroppo anche questa cavità a causa del suo facile accesso èstata ed è tutt’ora oggetto di continui atti di vandalismo. Innumerevoli scritte sulle pareti, concrezioni asportate o irrimediabilmente deturpate e persino profonde buche scavate alla ricerca di un fantomatico quanto improbabile tesoro, testimoniano lo stato di degrado in cui versa la grotta e l’impellente necessità di regolarne l’accesso tramite un robusto cancello.
Da Guida alla speleologia del Gargano di Carlo Fusilli e Paolo Giuliani.
Misterioso ritrovamento avvenuto di recente presso la chiesa della Madonna delle Grazie d’Ischitella (FG). Sulle fondamenta della chiesa eretta su una collinetta lungo la provinciale Ischitella-Foce Varano, sono affiorate numerose ossa umane. La causa di tutto è molto probabilmente l’erosione, dovuta alle prolungate piogge che questo inverno hanno interessato la nostra zona, che ha rimosso il terreno superfiaciale e messo in luce ciò che si trovava sotto. Aiutandoci un po’ con le notizie storiche, cerchiamo di capire a chi possano appartenere le ossa. La Chiesa, conosciuta omunemente come Madonne delle Grazie oppure dell’Uliveto, o anche della Madonna della Consolazione per l’antichissimo quadro che raffigurava questa Madonna trafugato da ignoti qualche decennio fa, documentata sin dal 1592. Anticamente essa era custodita da un’ eremita. Ogni anno Ischitella festeggia la Madonna l’8 settembre, portando in solenne processione una copia del quadro dipinto dal pittore Ischitellano Antonio Giuva. In un primo momento si era pensato perciò che le ossa rinvenute potessero essere del cimitero della chiesa stessa. Da una attenta consultazione dei registri parrocchiali dei morti, si evince che solo un morto, un eremita della stessa chiesa, fu sepolto in essa nel 1626. Sono plausibili pertanto varie ipotesi:
1) la chiesa suddetta è molto più antica di quanto si pensi?
2) sotto la chiesa, come solitamentavviene, è presente un’altra molto più antica?
3) ci troviamo in presenza di una vere propria necropoli?
Quest’ultima possbilità sarebbe avvalorata dal ritrovamento risalente a circa cinquanta sessant’anni fa nelle vicinanze, di numerose ossa umanche vennero alla luce durante gli scavi pela costruzione dell’Acquedotto Pugliese.Misteri che affascinano e che potrebbero essere chiariti solo con uno scavo archeologico. Ma le vuote casse comunali non lo consentono.
Giuseppe Laganella
La Puglia potrebbe avere presto uno strumento per la tutela di ciò che c’è nel sottosuolo. Ieri la quinta commissione (ambiente e urbanistica) ha infatti approvato un ddl che riguarda la tutela e la valorizzazione del patrimonio geologico e speleologico.
La nuova legge darà maggiore spazio agli Enti locali che contribuiranno alla segnalazione dei siti e presenteranno progetti di valorizzazione e fruizione.
Il voto di astensione delle opposizioni è stato spiegato dal consigliere della Puglia prima di tutto, Ignazio Zullo: «Condivido le finalità e l’impianto generale della legge, ma auspico che il testo approdi in aula migliorato nella parte che riguarda il controllo ordinario su questi siti che deve essere più severo e sollecito. Suggerisco, quindi, di confrontarsi con l’assessore Barbanente per rendere migliore il testo e rendere sempre meno «appetibili» le violazioni ambientali».
ondaradio.it