"E’ tanto tempo che non recantavo" è la seconda raccolta della collana "I Suoni del Lazio" nata dalla collaborazione fra la Regione Lazio-Assessorato Cultura, Spettacolo e Sport, la Discoteca di Stato e Finisterre (FTCD35). Contiene 35 canti e musiche tradizionali raccolte da Ettore De Carolis e ha come protagonisti alcune famiglie "storiche" di suonatori e cantori della provincia di Roma (citiamo ad esempio i Cecchetti di Marcellina, i Marsella di Velletri, i Passacantilli di Vicovaro ed altri ancora).
Questo album intende mettere in primo piano contadini e pastori, soliti accompagnare con il canto il proprio lavoro. Si pensi, ad esempio, al duro impegno della mietitura, che sembrava meno faticoso se accompagnato da canti che ne assecondavano il ritmo ("E mètete mètitori", "A la mètitora"…); oppure alle lunghe giornate trascorse dal pastore lontano da casa con la sola compagnia del suo gregge ("Gliu pecoraru revòta revòta"…); o ancora ai momenti di serenità trascorsi in compagnia, dove si dava corpo a sentimenti di ironia, di gioia o anche di nostalgia.
L’ascolto evidenzia il ruolo importante rivestito dalla zampogna; essa, ormai scomparsa dopo essere stata lo strumento musicale più importante di quella civiltà, accompagna molte delle tracce contenute nella raccolta ("Serenata a la zampogna", "Saltarello zampognaro", "E quanto soni bene", "Fiorin Fiorello", "A la pastora, a Fiano…..e a Jenne"), una delle quali consiste addirittura in una descrizione delle parti costitutive di questo strumento ("La zampogna di Passacantilli").
Scopo della raccolta non è solo quello di riflettere sul valore di una tradizione che sembra sul punto di scomparire, ma anche di salvaguardare e promuovere modi di espressione (ad es. il canto tradizionale accompagnato da uno strumento tipico come la zampogna) che possono ancora suscitare interesse nelle nuove generazioni, ovvero richiamare alla memoria sonorità relative ad attività lavorative ormai desuete ( "Nomi di bovi", "A la carrara", "E tutte le barrozze", "E so’ camminato", "Cavallaro in azione").
Anche grazie alla lettura delle schede informative curate da Ettore De Carolis che completano la raccolta, emerge infatti che gli interpreti, pur avendo abbandonato il mondo contadino per diverse esperienze lavorative, hanno tenuto a conservare la tradizione del canto, che considerano non solo un intrattenimento o un diletto ma una naturale inclinazione.
Si segnala, infine, dal punto di vista metrico, la presenza di due tracce in Ottava rima ("Contrasto tra nullafacente e lavoratore" e "Poeti in Ottava rima di Artena", quest’ultimo come video allegato), che testimonia la persistenza di una tradizione letteraria anche nel canto popolare.
Con un concerto dal vivo ad Arezzo registrato nel 2005 i Viulàn si ripresentano al pubblico del folk con un disco fortemente evocativo, ispirato, ricco di suggestioni come raramente capita di sentire.
Lele Chiodi, Carlo Pagliai e Lauro Bernardoni hanno fatto la storia del folk revival in Italia, da quando, era la prima metà degli anni settanta, cominciarono a fare ricerca nelle valli del Frignano, sull’Appennino tosco-emiliano, dove vivono da sempre.
Nel nuovo disco alcuni dei loro classici, tutti tradizionali, che raccontano meglio di un saggio di sociologia l’anima che serpeggiò tra le genti di quei luoghi soltanto qualche decennio fa: è l’antica arte dei cantastorie che torna, il dono inusitato del racconto dialettale che si esalta nella potenza espressiva della voce che si fa canto polifonico così intenso e concentrato da mettere i brividi.
E l’accompagnamento delicato e minimale dei talentuosi Silvio Trotta (Musicanti del Piccolo Borgo, Triotresca) – al mandolino, mandoloncello, chitarra battente e basso acustico – e Giorgio Albiani alla chitarra, suggerisce l’origine colta dei brani, un distillato di sacro e profano ricavato dalla tradizione medievale e rinascimentale della musica italiana.
(3 dicembre 2006, Luca Ferrari)
"Sole" sono i suoni, i ritmi, le danze che nelle notti d’estate si diffondono nel Salento. E’ la magia del ritmo che prende l’anima e il corpo e li conduce in un vorticoso viaggio musicale, cresciuto dalle tradizioni. Un graffiante percorso che scava nella memoria e riporta alla luce cose ormai lontane e, forse, volutamente dimenticate di un mondo segnato da sofferenza e fatica, da uno stato di sottomissione e violenza.
“Ho scelto Giuseppe Di Vittorio come testimone del mio nuovo lavoro discografico perché fu un bracciante, un sindacalista, un leader politico sempre a fianco delle classi lavoratrici, mai al di sopra. Un uomo straordinario, che è riuscito dove tanti hanno fallito, che ha saputo ascoltare le ragioni degli altri e scoprire i diritti di tutti. Un uomo nuovo, capace di lottare insieme al…
…popolo per rivendicare diritti che oggi giudichiamo inalienabili, che riuscì a dare dignità a un’intera classe di lavoratori”. È quanto espresso dal pianista e compositore foggiano Umberto Sangiovanni (nella foto d’apertura) in merito all’opera musicale “Calasole” , realizzata dallo stesso Sangiovanni con il supporto del progetto “Casa Di Vittorio” e prodotta da “Rai Trade” , opera dedicata a Di Vittorio e realizzata traendo spunto dalle poesie, dai canti e dalla tradizione bracciantile.
MATILDE POLITI non ha ancora un contratto discografico, ed è un’autentica bestemmia. È in circolazione da qualche mese solo una registrazione live autoprodotta (da un concerto a Palermo del 13 dicembre 2003) dal titolo “Cantami quantu voi, ca t’arrispunnu d’amuri, gilusia, spartenza e sdegnu” con dieci brani, tutti tradizionali. Palermitana, ha solo 30 anni, è ricercatrice e ‘cantatrice’, laureata alla Sapienza di Roma in Antropologia Culturale; incarna, cosa rara, la competenza dello studioso (che fa ricerca sul campo, raccoglie e studia materiali) e la sensibilità dell’interprete straordinaria. I pochi che ne scrivono la paragonano in genere a Rosa Balistreri…
“Interprete straordinaria” non suoni come un’iperbole: abbiamo avuto la fortuna, davvero casuale, di ascoltarla in concerto lo scorso luglio, nella Pieve di S. Clemente di Pelago (Firenze), dove ci trovavamo per partecipare a “On the road festival”, una delle più importanti rassegne di artisti di strada. Matilde Politi si accompagnava soltanto con la FISARMONICA.
Beh, si trattò di un’assoluta folgorazione, erano anni che non ci capitava di ascoltare una voce tanto potente, espressiva, commovente, capace di melismi dalle mani sporche e la terra in bocca, come uno sputo in faccia, una carezza e un cazzotto insieme. Una voce libera, dalla grana spessa, ruvida, versatile, che mette soggezione…
Luca Ferrari
Grazie ad Anima Mundi, etichetta-negozio di Otranto nata solo pochi anni fa (http://www.suonidalmondo.com), Ghetonìa approda alla seconda produzione ufficiale dopo alcuni, eccellenti album realizzati in edizioni di fortuna (allegati, autoproduzioni…).
Confermando i precedenti lavori – in particolare il bellissimo "Per Incantamento" del 2004 – che impongono il gruppo come uno dei migliori, più seri e originali della scena salentina, “Terra e sale” è un piccolo capolavoro di musica del nostro tempo, radicato fortemente nella tradizione grika (lingua ancora oggi parlata nell’area della Grecia salentina) e aperto all’incontro con le forme di un contemporaneo attraversato da suggestioni colte e tradizioni altre.
Tredici brani, quattro su musiche composte da Salvatore Cotardo (sax soprano e clarinetto del gruppo), il più di “anonimo popolare”, una sola caduta di stile ("Praison Jelonta", con il coro di alunni dell’Istituto Comprensivo di Martano e Carpignano Salentino) per un disco che non esitiamo a considerare tra i più riusciti degli ultimi anni per maestria esecutiva, varietà del repertorio, forza e autenticità espressiva.
La poetica dell’opera riassunta dalle parole del pittore Ruggero D’Autilia nelle note del booklet allegato:
da Luca Ferrari
“Viaggio in terza classe”, l’ultima produzione del Canzoniere Piceno Popularia, segna un’occasione di sintesi dopo trent’anni di attività di ricerca e proposizione di repertori di musiche medievali e popolari del centro Italia. Quindici brani, il più tradizionali su musiche di Angelo Polloni (voce, chitarra battente, ghironda, flauto di canna, ciaramella e buzouki), con alcune scelte eccentriche (“La Zolfara”, storico pezzo di Cantacronache, composto da Straniero e Amodei, e “Lu Rusciu de Lu Mare”…), legate dall’idea di rappresentare l’umanità dei “vinti della storia”, gente da “terza classe”, con il semplice obiettivo di non dimenticare, “affinché quei canti riemergano dall’oblio del tempo e restino nella memoria, riletti e reinterpretati da quello che ci ha suggerito la nostra storia musicale”.
da Luca Ferrari
Le sonorità dei NIURI TE SULE affondano le proprie radici nella penisola Salentina, quella terra in cui da secoli si insinua il mitico morso di una tarantola velenosa che solo certi ritmi musicali sono in grado di sfidare.
Per definizione le ballate del gruppo sono proprie di quella pizzica tarantata che un tempo gli antichi suonavano per curare dal morso del temuto ragno.
I testi delle canzoni infatti sono quasi interamente tradizionali e perciò cantati perlopiù nel dialetto salentino: sono melodie d’amore ma anche di lavoro, che rimandano ai tempi più lontani in cui le donne cantavano nei campi e gli uomini inventavano nenie e serenate.
La musica che avvolge questi testi e’ una musica energica, vitale al cui suono è impossibile restar fermi.
Registrato presso lo Studio Parsifal di Sesto Fiorentino nella primavera del 2003, completamente autoprodotto, rappresenta la prima impresa discografica dei Niuri Te Sule.
In questo CD il gruppo propone alcuni dei testi più conosciuti della tradizione pugliese, ed in particolare di quella salentina, arrangiati seguendo due direzioni distinte: l’interpretazione quanto più fedele possibile alla tradizione, nel tentativo di mantenere l’antica eleganza degli originali, e la completa o parziale rielaborazione musicale, alla ricerca di nuove melodie che caratterizzino lo stile del gruppo.
Non manca la Tarantella del Gargano.
Quella risultante che sgorga imprevista dall’incrocio tra le melodie popolari e gli arrangiamenti universali. Venerdì 15 settembre, il dj e produttore partenopeo Stefano Miele ha trasformato per una sera la libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri in un club in cui è stato garantito libero accesso a chiunque. L’occasione della speciale festa open era la presentazione del suo terzo album, “Glocalizm vol. 1 – Samples, Traditionals & Folk!” (MòGlocal – Animamundi). Un collage sorprendente di ritmi ancestrali e tradizionali – tammurriate e pizziche – reinterpretati in chiave dub, trance, psichedelica e ragamuffin. Dalla “Tammurriata nera” di E. A. Mario (1944) alla serenata in greco antico “Matinata”, scritta a cavallo tra Otto e Novecento da Vito Domenico Palumbo, ogni traccia esprime passione, erotismo, senso e desiderio di comprendere in maniera moderna i segmenti della musica del passato. Dal vivo, Stefano Miele ha presentato alcuni brani del suo album, esibendosi al computer e alle macchine-effetti digitali. A supportarlo, le voci veraci di Brunella Selo (che ha riproposto la Tarantella del Gargano), Marcello Colasurdo – che naturalmente ha portato con sé una tammorra – e Rosapaeda, magnifica espressione del canto pugliese. A raccontare i retroscena e le tante ricerche alla base di questa particolare analisi ritmico-linguistica è stato lo stesso Miele, in compagnia del musicologo e compositore napoletano Pasquale Scialò e di Alex Giordano, responsabile dell’osservatorio sul marketing non-convenzionale Ninja Marketing.
Brunella Selo è una delle voci più interessanti uscite da Napoli. Una scuola, quella della città, notoriamente di grandissima tradizione, anche se oggi a corto di idee rispetto a qualche decennio fa. La ricordiamo nell’esperienza di Claudio Mattone Gruppo Aperto – ‘A città ‘e Pulecenella oltre che ne La cantata dei pastori sotto la guida di Roberto de Simone. Il grande pubblico la conosce per la partecipazione come vocalist di Nino d’Angelo al Festival di Sanremo alcuni anni fa, ma sostanzialmente rimane ancorata alla sua città, dove lavora anche come musicoterapeuta. Dopo vari anni di carriera ha deciso di dare alle stampe Iso, il suo primo lavoro solista. Non deve essere stata una scelta facile: la Selo (come pochi altri nomi in Italia) ha un grande potenziale che solo un mercato discografico poco propenso al rischio non ha sfruttato al meglio. Un disco dedicato alla cultura popolare, già toccata dalla cantante, avrebbe infatti trovato uno spazio più adeguato una decina d’anni fa seguito poi da lavori più sperimentali per la voce. Questo anche perché spesso e volentieri ci siamo trovati di fronte ad artisti che hanno recuperato moltissimo materiale trasformandolo con strumenti ormai di uso comune (violoncello, oud, bouzouki) e che troviamo in questo disco. È anche vero che la scelta effettuata dalla Selo è comunque coraggiosa, perché la sua Napoli compare solo in poche occasioni. Toltasi quindi in parte “la coperta di Linus” ecco che compaiono brani originali (in alcuni casi della stessa solista) e rielaborazioni; il sardo, il gaelico e il portoghese si accompagnano al napoletano e la voce preferisce privilegiare il lirismo piuttosto che la potenza timbrica. L’inziale Arvolera, Rosa Baccana e la rivisitazione della Tarantella del Gargano (che insieme a In galera li panettiere era ed è tutt’ora uno dei punti di forza della Nuova compagnia di canto popolare) sono sicuramente tra i momenti migliori di un album che è comunque ben costruito e dall’ascolto gradevole. Ma aspettiamo una nuova prova, magari interamente di brani originali.
Michele Manzotti