Il repertorio di Marchianò ci permette di gettare altre occhiate in questi primordi della produzione vernacola di Capitanata. Marchianò non mirava propriamente alla poesia in dialetto ma al patrimonio popolare. Calabrese (Macchia Albanese, Cosenza, 1860-Foggia 1921) dal 1894 insegnante di latino e greco al liceo “Lanza” di Foggia, si occupò dell’origine della favola greca, di tradizioni popolari albanesi, di etnografia e lingua traco-illirica, parte dei quali interessi ebbe sbocco a stampa (Marchianò 1984: XI-XII).
Stando a Foggia, andò raccogliendo testimonianze popolari relative ai comuni della provincia. Ne risultò un voluminoso manoscritto che antologizzava sia “Canzoni e poesie”, sia “Proverbi” da ben sedici località, postillato con cura dal raccoglitore, e pubblicato postumo solo nel 1984. Marchianò si servì di informatori e trascrittori residenti sui luoghi, e scrupolosamente ne annota i nomi e il contributo; si trattava a volte degli stessi autori dei componimenti, i quali ultimi appaiono specificati come tali (“componimento di…”); altre volte l’autore è dato come probabile (nella mia sintesi alla nota 1 ho segnalato tale incertezza con un punto interrogativo).
Nei casi di autore identificato come certo o probabile, è ragionevole pensare a un periodo di composizione esteso fra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento. Ci troviamo di fronte a una fase antica della poesia dauna e ad autori non sappiamo se di raccolte o di versi sporadici. L’unico che, incluso da Marchianò, compaia anche in un altro repertorio (Sorrenti) è Filippo Bellizzi di Foggia; non solo, ma Sorrenti riporta lo stesso testo che troviamo in Marchianò, “N’or de notte (de vierne)”(Marchianò 1984: 7-10, Sorrenti 1962: 238-40. Le due versioni sembrerebbero attinte a fonti diverse, o manipolate dai curatori, perché presentano varianti (nella grafia e nella divisione in strofe). La versione Marchianò è data come stesura d’autore (tranne i versi 2-10, indicati come popolari), ed è definita canzonetta non popolare “ma popolareggiante composta da Filippo Bellizzi nel 1892” (postilla di Marchianò, p. 7). Un’altra composizione attribuita come probabile a F. Bellizzi si trova alle pp. 86-88, che riportano canti da San Marco in Lamis; a pag. xv l’anonimo prefatore del volume postumo di Marchianò dice: “La raccolta sammarchese si chiude con le Canzoni d’amore raccolte dal dialettologo foggiano F. Bellizzi, che le ha trascritte in maniera assai soddisfacente” (ma a dire il vero la trascrizione suona ben poco sammarchese).), bozzetto di paese con tipi di paese: campane, fruttivendoli, venditori ambulanti di scagliuzzi10. A fronte di tale mondo di Bellizzi, più vivace sembra quello della conterranea Elisa Giordano, attestato in un bozzetto a sfondo politico, “U suggialisto e la mugliera” (Marchianò 1984: 11), il cui argomento fa pensare, ma alla lontana e per contrario, al suo contemporaneo garganico Napolitano.
Scorrendo gli altri testi d’autore raccolti da Marchianò, ci imbattiamo in registri diversificati. M. Piccolo di Candela compone un canto rituale della Pasquetta riecheggiante le tradizionali strofette di Ognissanti che si cantano alla porta dei paesani per questuare cibo. Canti politici, databili ai primi del Novecento, troviamo a Deliceto, dove Gerardo De Stasio, “contadino”, firma una elementare “Satira” in cui contrappone l’operato della lega dei contadini alle malversazioni dei “camurriste” del consiglio comunale: Tutt’il poplë s’è riunito;
Una lega s’è formata,
Li signurë sonnë sdegnatë,
Ce la voglion fa sërrà.
(Marchianò 1984: 26).
[Tutto il popolo si è unito; / si è formata una lega, / i signori sono arrabbiati, / ce la
vogliono far chiudere. Trad. C. Siani.]
Toni ingenuamente arcadici troviamo in una serenata di Francesco Consiglio
a Panni, “Ngilella mia!”:
Lu riscignuolë ritorna a li vaddunë,
’Ncantà cu lu cantë sui ri campagnë;
E sgrezzà tutta la notte cu la lun,
Ch’eja bella com’a tè, Ngilella mia.
(Marchianò 1984: 41)
[L’usignolo ritorna nelle valli, / incanta i campi con il suo canto; / e scherza tutta la notte con la luna, / che è bella come te, mio bell’Angelo. Trad. C. Siani.]
Un allievo di Trinitapoli, Antonio Lionetti di Francesco, dedica al prof. Marchianò semplici strofette per il suo onomastico “in segno di stima”, datate 1909. E sono questi tutti gli autori di nostro interesse con certezza identificati nel pionieristico zibaldone di Michele Marchianò (Complessivamente, il lavoro raccoglie materiale da sette comuni garganici (San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, Sannicandro, Monte Sant’Angelo, Carpino, Ischitella, Rodi) e otto comuni del Tavoliere e Subappennino (Foggia, Candela, Deliceto, Bovino, Monteleone, Panni, Trinitapoli, Troia). Il materiale più abbondante quanto a “Canzoni e poesie” viene da San Marco in Lamis, grazie largamente – si può supporre – alle presenza di Giustiniano Serrilli, informatore di Marchianò, e primo in Gargano e forse in Capitanata a pubblicare una raccolta dialettale, nel 1907 (Siani 2002: 13-15). Lo stesso per la sezione “Proverbi”, con un repertorio di 229 testi da San Marco, rispetto agli 8 da Foggia, 14 da Sannicandro, 45 da Monte, 52 da San Giovanni, 25 da Rodi, 9 da Monteleone.).
5. Il repertorio di Marchianò ci dà dunque idea d’una vaga fase originaria della poesia dauna, collocabile alla seconda metà dell’Ottocento. Nell’ambito di tali origini, non sarà fuori luogo ricordare di sfuggita l’episodio interessante della traduzione in vernacolo foggiano d’una breve novella del Boccaccio – cosa che in fondo rientra nel clima di albori dell’esercizio poetico in Capitanata –. È la versione della IX novella della prima giornata, quella del re di Cipri, dovuta al foggiano Giuseppe Villani Marchesani (1818-1897). Villani la effettuò nel 1874 su richiesta del lessicografo Pietro Fanfani, “suo amicissimo, che volle tentare in quell’epoca uno studio comparato su tutti i dialetti del regno”, e la si può leggere riprodotta nel repertorio di un altro Villani (1904: 1156-57).
Vengono tradotti i soli tre capoversi della storia in sé, ed è versione spigliata e vivace, e forse andrebbe studiata più estesamente: “[una gentil donna] da alcuni scelerati uomini villanamente fu oltraggiata”, “certe malazzionante se l’arrunzareno a la vastasegna”; “anzi infinite con vituperevole viltà a lui fattene sosteneva”, “ma se surchia quille ca le fanno a isso stesso, ca si uno lu piscia ’ncapo, manco se ne ncarica”; “rigidissimo persecutore divenne”, “addeventaje cume nu Rode”.
COSMA SIANI – La poesia dialettale in provincia di foggia tra tavoliere e subappenino dauno.
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