In passato su questo Blog abbiamo già parlato dell’approccio della compenetrazione tra fonti utilizzato da Roberto De Simone e vedemmo come il Maestro faceva uso delle sue ricerche condotte sul campo o di quelle realizzate da altri per confrontare i canti raccolti con quelli documentati con fonti scritte per poi rielaborarli, con il gusto e la grande competenza compositiva che lo contraddistingue, secondo il modello stilistico della tradizione. Ecco, nei giorni scorsi ho trovato un altro esempio che coinvolge Carpino e il Gargano, nell’omaggio che Roberto De Simone fa al compositore Stravinski nel 2021 al Ravenna Festival. Per l’occasione, infatti, rielabora il testo russo di Les Noces nel dialetto garganico, mettendo insieme due mondi apparentemente lontani.
Ma cosa c’entra un balletto composto da Stravinskij per i Ballets Russes di Diaghilev con un antico dialetto garganico? Come possono Les Noces debuttate nel 1923 al parigino Théâtre de la Gaîté-Lyrique diventare Lo ‘Ngaudio? Roberto De Simone riconosce nei quattro quadri in cui stravinskij divide Le Nozze (prima le usanze a casa della sposa, poi quelle a casa dello sposo, il momento della benedizione e quello del banchetto nuziale che si chiude quando gli sposi vengono accompagnati alla stanza nuziale) quel nucleo di originaria verità contadina, quell’essenza rituale, che si ritrova in epoche e culture diverse, e che nelle sue mani diviene strumento di sperimentazione e linguaggio sempre attuale. La partitura e il singolare organico rimangono intatti, mentre il dialetto che sostituisce il russo rimarca l’impeto ritmico della musica. Forse perché se è vero che dei versi tratti da antichi poemi popolari russi lo stesso Stravinskij apprezzava prima di tutto il “suono”, è anche vero che nella purezza del dialetto seicentesco la parola si fa musica.
“Dell’opera – spiega Roberto De Simone – conoscevo le catene fonetiche, le rime, le allitterazioni, le frasi idiomatiche… il lampo mi colse d’improvviso, notando una profonda affinità tra Le Nozze e i canti popolari del Gargano che avevo raccolto a Carpino, a Monte Sant’Angelo, a San Marco in Lamis, a Rodi Garganico e in altri paesi della zona. Ora mi si palesavano le coincidenze fonetiche tra quei canti eseguiti sulle anomale armonie delle chitarre battenti e gli agglomerati pianistici di Igor’, magari riferiti a immaginarie corde di balalaiche. Ne ero sufficientemente convinto: occorreva trasporre il russo in un testo fonetico in lingua garganica, che avrebbe potuto ridare sonorità e significato rituale e religioso all’opera, avvicinandola alla sensibilità del nostro immaginario fonetico, in cui si invocano San Michele, la Vergine Maria, gli Apostoli, parimenti come a Mosca, a Kiev e nelle aree slave.”
Quanto segue è quello che è riportato nel Programma di Sala della serata di Ravenna (12/06/2021)
Da Les Noces a Lo ’Ngaudio
È il 1912 quando Igor’ Stravinskij, ancora impegnato nella stesura del Sacre du Printemps, incomincia ad accarezzare l’idea di utilizzare, per una sua creazione, testi riguardanti i riti nuziali del mondo popolare russo.
Nel suo soggiorno svizzero, iniziato nel 1914, ha già con sé alcune raccolte di canti tradizionali, tra cui un’antologia del folklorista Pyotr Kireevsky; partendo da questi reperti la sua idea è quella di ricreare in scena la solennità di un cerimoniale arcaico e cristallizzato. La fase di elaborazione dura anni e approda alla sua forma definitiva – come balletto – quando, oltrepassato il cosiddetto “periodo russo”, gli orizzonti espressivi del compositore sono ormai mutati e tesi verso il cosmopolitismo culturale della vivace Parigi degli anni Venti.
Nel corso degli anni che trascorrono dalla prima strumentazione (1917) a quella definitiva, andata in scena il 13 giugno del 1923 al Théâtre de la Gaîté di Parigi per i Ballets Russes di Diaghilev (suo committente per l’opera), il progetto si evolve soprattutto da un punto di vista timbrico, mentre le scelte iniziali, sia relative ai testi sia all’impianto melodico-armonico-ritmico, restano in definitiva fedeli all’idea di partenza.
Pensate in prima battuta per soli, coro e orchestra; passate attraverso una fase “meccanicistica” nella quale Stravinskij vorrebbe a tutti i costi inserire – per la disperazione di Diaghilev – delle pianole automatiche in scena; superato il momento in cui il compositore s’innamora delle sonorità del cimbalom ungherese e vuole forzosamente introdurre in organico lo strumento, alla fine Le Nozze approdano a una veste sonora più radicale, sintomatica di quella sorta di prosciugamento formale che accompagna il processo evolutivo dell’estetica di Stravinskij.
Così egli stabilisce di far muovere la sua musica tra due poli opposti, cui dà precisa denominazione: il “soffio” e il “battito”. E se alle voci è destinato le souffle, nulla di più adeguato, per strumentare l’idea di battito, che ricorrere alla percussione.
Percussione in senso letterale (sono undici gli strumenti che rappresentano la categoria) più quattro pianoforti, che esaltano anch’essi l’aspetto ritmico, più che dipanare i suoni in veri, dichiarati archi melodici.
Anche perché la scelta metodica di Stravinskij può dirsi delimitata entro un diatonismo arcaicizzante e barbaro, che esplode nell’essenzialità senza tempo del rito.
E le parole, i testi, originariamente in russo e poi tradotti in francese dall’amico e poeta svizzero Ramuz, vengono rifunzionalizzati in chiave fonetica, in una sorta di frantumazione sillabica che riporta a galla schegge di un mondo all’epoca già quasi perduto e le riallinea nella modernità cinetica e cinematografica tutta nevroticamente parigina.
È proprio sui testi che s’innesta, con sorprendente gioco di analogie metastoriche, il lavoro di Roberto De Simone per Lo ’Ngaudio, versione de Le Nozze stravinskijane in lingua garganica, che nella stagione 2017 della I.U.C. (Istituzione Universitaria dei Concerti, Roma) vede la sua prima esecuzione integrale (dopo un’anticipazione campana risalente al periodo natalizio dell’ormai lontano 2008).
L’intervento del Maestro napoletano è dunque sulla parola: eppure, la sua, mantiene le caratteristiche di un’azione prettamente “musicale”, giacché egli aderisce appieno alle scelte di Stravinskij, che nelle catene fonetiche asseconda sì senso e significato verbali, ma intende mantenere in primo piano una sorta di astrazione uditiva, travalicante la parola stessa.
Il fonema è ovunque la vera operazione culturale.
Su questo sfondo epico e antinarrativo, ecco che si rappresenta Lo ’Ngaudio, come il festino di nozze veniva chiamato in napoletano settecentesco.
La scelta linguistica cade sul dialetto garganico, antiletterario (rilevato sul campo dallo stesso De Simone negli anni Settanta del Novecento), petroso, aspro, tronco e incredibilmente in sintonia con il testo originale russo cui De Simone ha fatto diretto riferimento, senza passare per la più praticata traduzione francese.
Nel rispetto del gioco sillabico, i quattro quadri e le varie scene sono tradotti comunque nel loro significato linguistico letterale. Sorprendenti sono le somiglianze nei culti di Paesi geograficamente tanto distanti: basti citare, tra i tanti elementi analoghi per senso culturale riaffioranti da entrambi i testi, l’uso della lamentazione per l’abbandono dello stato verginale della sposa o l’invocazione ai Santi Cosma e Damiano, i quali anche da noi venivano tradizionalmente invocati per la grazia del parto.
Senza tradire lo spirito originale, l’intervento desimoniano sembra anzi esaltarne l’atemporalità, da cui scaturisce senza forzature la non-necessità di collegare a un luogo prestabilito quanto rappresentato: questi è parte di tutti i luoghi e, ormai, di nessuno.
Anita Pesce
SINOSSI
Primo quadro
La casa della sposa.
Nella casa della sposa, Antonia, le comari sciolgono la treccia della fanciulla annodata con nastri simbolo della verginità. Lei piange, tra timori e speranze, così come vuole la tradizione; le consolatrici cantano in coro e invocano la benedizione della Vergine.
Secondo quadro
La casa dello sposo.
Nella casa dello sposo, Giovanni, i compagni e i genitori adornano il giovane fidanzato; insieme invocano la protezione della Madonna. La preghiera si mescola ai loro canti finché il figlio invoca la benedizione paterna (con un canto basato sulle modificazioni di un tema che nella liturgia bizantina viene di solito cantato nella Messa dei Morti).
Terzo quadro
La partenza della sposa.
Lo sposo viene a prendere la fidanzata. I genitori benedicono la coppia davanti all’icona e le due madri
lamentano ancora la perdita dei figli e li supplicano di tornare alle loro rispettive case.
Quarto quadro
Festa di nozze.
Tra pranzo, danze e bevute, si susseguono incessanti i motti di sapore paesano, i frizzi tra i convitati, le
buffonesche raccomandazioni o allusioni sessuali agli sposi, talvolta anche senza nesso e senso come accade tra avvinazzati. Infine gli sposi sono accompagnati alla stanza nuziale e la festa ha termine.
IL TESTO
In casa della sposa
Scasat’ meja
Sca… scasat’ meja trezzuccia biondella!
Ser’ la mè trezzuccia
Mammella liave mammella liav’!
Ser! Cu anell’ argient’
Mamma allisciava mamma allisciav’
Oh! gioia so’!
Illajò ohmmè!
Pettene pettenà Ntoniella anella
Pettene pettenà ricciolettella Ntonia
Gioia so, rènnena
Ahi trezza arricciala,
Nocca rossa annoccala.
Pettene pettenà Ntoniella anella
Pettene pettenà nenna ’nfunna, stienna
Pettene fitto a lu cardà
Primmi esciva sòcrema
Trista sòcrema
Spiatata sòcrema
Crudela sòcrema
Commènz’ la treccia a sbatt’
Me risbatt’
Sbatt’me risbatt’
Me batt’ e risbatt’
Nce dev’ n’altra bott’
Nce dev’ n’altra bott’
Oh mmé oh mmé,
Gioia so oh mmé
Pettene pettenà Ntoniella anella
Pettene pettenà ricciolettella Ntonia
Gioia so’ rènnena
Ahi trezza arricciala
Nocca rossa annoccala
Ricciolella Ntonia
Trezza meja trezzuccia biondella
Nò chiang’ nò chiangere nennella
Nò chiang’ palommetella,
Nò chiang’ cchiù, oi Ntoniella
No chiangere palommuzza Antoniuzza
Si tatucc’ lasce e màmmeta
Nu rescegnuolo all’uort’
Llà t’accoglie tatuccio a brazz’aperte
La gnora co lo gnor’
Mammella a brazz’aperte
Gnora mamma
Mamma gnora
Faccia argient’
Giuvannenie’ pe te lu rescegnuolo all’uort’
Vola canta ‘ncimma a la casat’
Tutta apparat’
Frischia la matenat’
notte fa la serenat’
P’ tte, sì, p’tte oi ntoniella
P’ tte oi faccia d’oro
Canta e te recreja
E pazzeja
Si ‘o suonn’ s’ntalleja
P’ la Messa te r’sveja
Ndai! Ndai!
Sient’ li sunatur’ paes’paes’
Ndai ! Ndai!
Ca puozz’ aunnà Ntoniella
Ca tu puozz’ aunnar’ ndai!
Ca puozz’ aunna’ comm’ ’o mar’
Sott’ ll’ èv’ra sott’ steva
Sott’ ll’ èv’ra sott’ steva
Lu scium’ nce curreva
E lu sciummo jev’
Sott’ ll èv’ra sott’ steva
Sott’ ll èv’ra sott’ steva
lu tammurro vatt’
E vott’ na bott’
Tozza cchiù sott’
Vir’ portn’ Ntoniuccia
D’ fiore ncoronata
P’ ghi a lu spusariz’
Capill’ pe’ capill’ ohi bionde
Fance stretta la pett’natura
Proprio miez’ d’ la cap’
E all’urdemo rossa la nocca
Oi bella Maronna dance tu na man’
Scinn’ a sta cas’ vien’vien’
Dànce tu na man’ streccia tu la trecc’
Spettna tu a Mtoniella anella
Ricciolettella biondella
Pettene pettenà Ntoniella anella
Pettene pettenà ricciolettella Ntonia
Gioia so’ pettena Ntoniella anella
Pettene pettenà ricciolettella Ntonia
Ohmmé rènnena Ntoniuzza a pettenà
Nocca rossa annòccala
Pettene pettenà Ntoniettella
Pettene pettenà biondolettella Ntonia
Pettene pettenà jonna nfonna stienne
Pettene stritto a lu cardà
Priesto lesta piglia lu laccett’
E la nocca rossa va nce mett’
Nu ramagliett’
De frisca violett’
In casa dello sposo
Mamma d’ la grà
Vien’ vience a vesità
Dànce tu na man’
Li ricci a sterà
Aniello p’ aniello,
Li ricce a tesà d’ Giuvanneniello.
Vien’ vience a vesità
Vience a vesità
Li ricce a tesà
Comm’ fa’ comm’ ogne de
Lu zito li ricce?
Comm’ fa’ comm’ ogne de
Giuvanne li ricce?
Vien’ vience a vesità
Vience a vesità
Dance tu na man’
Li ricce a tesà.
Mò nce jammo a li tre mercati ‘ncittane
P’ cumprà p’ cumprà d’agniento na garraffa
P’ lustrà p’ fà brillare
Chisti ricce!
P’ fa brillar’ sti ricce biond’!
Mamma d’ la gra’
Vien’vience a vesità
Dànce tu na man’
Li ricce a stirà
Vien’ vience a vesità
Li ricce a stirà.
Sera aiessera,
Stev’ assettato a la casa
Assettat’ lu zit’
Sciuglieva li ricce.
Mò a chi mai sti ricce darrammo?
E mò a chi maie
Sti ricce darraie?
Vacce a dà sti ricce biondille.
Mò a chi maie
Sti ricce darrammo?
A te Ntoniella attoccano
A Ntoniella
Ntonielluccia bella
A te attoccano
A Ntoniettuccia
Vanno sti ricce!
D’ garuofaniello va l’odore cu tìe’
A te attoccano!
Vuie d’oro lucite d’ lu zito
Oi ricce d’oro lucite
Pe’ stu bellu figliul’
E l’arricciava mammélla
L’arricciava
E po’ accussì diceva:
Figlio ca p’ nov’ mis’
Io te purtai
‘Nzino io te purtai
Te purtai
E a n’ata t’ ne vai
Ramusciello mò nce stai
Lemmunciello l’adacquai.
A chi li ricce, a chi stu tesoro?
A chi mai sti ricciole d’oro?
A chi mai
Sti stennarde de lo sole
Esche d’ lu cor’
Fora d’ li ffore?
Viata, viata chesta mamma
Che fece stu figliulo assennato
Fatone
Buonu guaglione
Curazzone
Bellu guappone!
Cumparite ricce biondille
Ntorno a stu janco viso,
Fioruso vaso de rose!
E pe’ te oi Antoniella
Stu fioruso vaso de rose
Lu meglio sciore de lu paravis’
A Rurian’ Rurian’
Chisti ricce fanno tutte ‘mpazzì
Mamma d’ la grà
Vien’ vience a vesità
Dance tu na man’
Li ricce a sterà
Aniello p’ aniello
Li ricce a stirà
D’ Giuvanneniello.
Vien’ vience a vesità
Dance tu na man’
Li ricce a stirà
O Maronna Bruna
Viénce Santa Vergene
Vié a lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
Viene cu tutti ll’Apostoli
Vié a lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
Vien’ nziem’ai Sant’Angeli
Vié a lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
Nos benedica Domine
Pate cum Figlio
Vié a lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
Benedicite mate e pate
Che a me ‘ngaudià vaco
Come a combatt’
E le mura vaco a batt’
P’ pigliareme la figliol’
E mò jé Giuvannino signò
E le ccér’ songo ardent’
‘Ncattedrale lu zit’ entra
E basa lu Cristo argent’
Oi Madonna mate re Dio
Cristiani che
Cumpagni che
Fratielli che site venuti a vedé
Benedicite p’ ‘ngaudià lo sposo nuviell’
Vui che viaggiaste ‘ncammino a pié
P’ lu zito ch’è garufaniell’
Lu sposo mò caccia ll’aniell’
Ohi!
Com’ piuma liggera cade ‘ncocchia
Se ‘nginocchia
A lo castello p’ ghì ‘ncocchia
Se ‘nginocchia
Se ‘nginocchia
Giuvanniello a soi pate
Se ‘nginocchia
Giuvanne davante a soi mate
Dice: mò benedite lo vostro figlio
E l’occhio de Dio
Sope quisto ‘ngaudio
Cum Cristo Dio vace avant’
E nui dreto cui Sant’
Benedite noi li vecchi e li giovani
E Santi Cosma e Damian’
Dio benedica le ddoi Famiglie
A tutti nce diano la man’
Ohi!
Dio benedica le ddoi Famiglie
Dio benedica le ddoi Famiglie
Dio benedica lo nostro parroco
Michele arcangelo
Dio benedica nui frati di Cristo
Dio benedica tutti li cristiani
In soi sante mani
Momme Pate
Et Figlio et Spiritu Santo
P’ lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
Santo Luca vieni a lo ‘ngaudio
Santo Luca
Santo Luca vieni a lo ‘ngaudio
Santo Luca vience mmiezo
Vience mmiezo
Viene tra li zite nuvielle
Vience mmiezo a sti dui compari
Scinne mmiezo a sti dui sposi
E primmo figlio.
La partenza della sposa
Dice che ce stev’ la luna
Risplendente come lo mi amore
E ce stev’ la Regginella
‘Ncasa de lo gnore tatariello
‘Ncasa de lo gnore
‘Ncasa de la gnora mammella
Oi ta’ damme la benerizio’
E po’ luntano a n’ata maggion’
E comme colava cera vergene
Dalla cannela ‘nnante a li Santi
Jesse steva Regginella
Regginella pronta a ghì
E già benediceno la soi figlia
Essa chiangenno ‘nnante a tata
Ecco jè le quattro parte facimo
Ecco jè le quattro parte facimo:
Pane sale e Maria Vergene
Santu Cosma viene a lo ‘ngaudio
Santu Cosma e Damiano
A lo ‘ngaudio
Ndà la stanza
Ndà la stanza priparata
Ddoi palomme so’ pusate
Santo Cosma a lo ‘ngaudio
Santo Cosma e Damiano
Santo Cosma fance forte
Forte e longa na catena
Na catena
Da mò nfi’ alla vicchiaia
La Maronna, Cosma e Damiano
Mò ce stanno ‘nnante
Cu catena santa
Da mò nfi’ alla vicchiaia
Da mò nfi’ alla vicchiaia
E nfi’ alle criaturell’.
Ndà la stanza
Ndà la stanza priparata
Ddoi palomme so’ pusate
E chi vev’ chi vev’ chi vott’
E chi sona e vatt’
Lu tammurro sona e sbatt’
Santu Cosma viene a lo ‘ngaudio
Mò ce stanno ‘nnante
Cu catena santa
E ‘ngaudio putente
Santu Cosma viene a lo ‘ngaudio
Da mò nfi’ alla vicchiaia
Da mò nfi’ alla vicchiaia
Fino alle criaturell’
E tu Santa Maronna
Tu Maronna Santa
Mamma re Dio
A lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
A lo ‘ngaudio
Fallo forte
E cu tutti ll’Apostoli
E co tutti Sant’Angeli
E comme la vite a lo chiupp’
Comme fa la vite a lo chiupp’
Tal’e quali li dui zite
Pozzano aunì de cchiù
Sempe cchiù de cchiù
Uù uù uù uù uù
Core de mamma
Ohi figlio mio de mele
Core de mamma oi nennillo
Ca t’aggio allattato e crisciuto
Ahi torna a me figlio de mèle
No farme aspettare a te cchiune
Torna a me
Tòrnate figlio trisoro
Tòrnate figlio de mèle
Scurdasti ohi figlio ‘nta toppa d’oro
La chiave ‘nta la fascia de seta
Core mio nennillo
Core mio nennillo
Il pranzo di nozze
E fiore co fiore se ‘nzertavano
E fiore co fiore pampaniavano
E voilì voilì voilì
Cuntienti e voilì
E cèvza rossa mora
E voilì
Fràula paisana sana
Oi San Criscì
Voilì e voilì
E fiore co fiore se ‘mparolano
E fiore co fiore s’avvicinano
E tuosto tuost’ arriva Ntonio ‘o ricciulill’
Ha trovato n’aniello d’oro
E preta priziosa
E lo primo fiore jè Giuvanneniello
Lu sicondo fiore è Ntoniella bella.
Muscio muscio vene
Austin’ o tallo
Ca l’ha perzo n’aniello
Austin’ o tallo
Ca l’ha perzo n’aniello d’oro
E preta priziosa
Muscio muscio muscio Austin’
Muscio Austin’
Viene tallo
Viene Austin’ viene Austin’
Ca l’ha perzo n’aniello
Co preta priziosa
E arriva volanno e arriva
E lo fiore co’ fiore se salutano
E lo fiore co’ fiore se salutano
Iù iù iù iù iù iù iù iù
E lo fiore co’ fiore se ‘mparolano
E arrivat’ palomma
E arrivat’
Iu iu iu iu iu iu iu iu
Voilà!
E arrevai l’auciello oi
E arrevai palomma
E arrevai oi
Mò le scelle sbatte
E mò le scelle rotte
Voilà voilì voilà
Trema tutt’ ’o letto
Voilà voilà
Tata le dicette:
Voilì voilà lilà
La zita vi’ ccà
E Dio te la dà
Tiè lino e canapa
Ahi piglia Ntoniella e trapana
Le cammise e llenzola hai da fa’
Llenzola hai da fa’
Ahi piglia ntoniella e trapana
Jennero mio caro
T’arraccumann’ e te dongo
La figlia mia
Tiè lino e la sémmen’
Chesto cumpete a la fém’na
Tie’ lo ggrano e lu cellar’
A te t’attocca guvernar’
Lo grano e lu cellar
Spacca li llén’ li llenzol’
Dance ammore
E falle na scutuliat’
Nobble so’ trasut’
E songo bevut’
E songo bevut’
E a maria no ‘nvito
Vive mammélla
E po’ magna cu nnui
Nu vev’ nu magno cu signure
E nu sento
E si stesse Menecon’?
Ve varrìa magnarrìa e ve sentarrìa
Oi tu auciello cantator’
Viaggiator’
Oi tu auciello cantator’
Viaggiator’
Andò si’ stato
E che hai truvat’?
‘Ndo si stato e ch’hai truvat’?
So’ stato p’ lu spierto mare
Oi lu mare p’mare
Voilì voilì lu mare p’ mare
E mmiezo a lu mare lu mare
Nu janco cigno navigar’
Voilà nu janco cigno navigar’
Oi
Nu janco cigno a lu mare
Oi
Vedisti tu lu janco cigno?
E allora dice che a lu mare
Lu mare nun so’ stat’?
E allora dice che lu cigno
Nun aggio abbistat’?
Uh! Na cigna na cignella sotto so’
Uh! E jessa steva sott’ ’a scella so’
Dui cigni e bbà
Dui cigni janche jà
Che fa p’ mare janche jà.
Uh! Giuvanni e Ntoniuccia jerano uh!
E voilà e voilà dui cigni janche jà.
Giovanni e Ntoniella jerano
E tu, Ntonià,
Che dote hai dat’a iss’?
Stu lazietto
Vi’ quant’oro tengo ’mpietto
Zecchine e perle fino a ‘nterra.
O sciaurat’ lo pat’ d’ Ntoniella
Ha dat’ la figlia
P’n’onz’ ’e muniglia
Jamm’ bell’ ampressa facìt’,
E purtate la zita
Cca se scoccia lu zit’
A’ muniglia n’onza
Te la vinn’ e l’arronze?
Belle ragazze,
Vui maeste d’ verrizze
Sciacquapiatte cu priezze
Male lengue fràcete
Mogliere sbrénnete
D’uommene ‘nzipete
E vui cantatò’
‘Nvitate a sta cummertazio’
Cuminciate!
E lu zito dice: dorm’r’ voglio
Essa le risponne: e io cu te
E lo sposo dice: int’a lu lettuccio
E Ntoniella le fa: nce capimm’?
E Giuvanne dice: la cuperta è fredda
E Ntonia risponne: la scarfammo.
E p’ te Giuva’
Che mò stamo a canta’
D’ lu falcone e d’ lu pavone
P’ Ntoniella P’ Ntoniella
Siéntece oi Giuvanne
Nui p’ te oi Giuvanniello
Jé p’ vui sta canzone
P’ vui zite jè.
E tu che fai sola sol’assettat’?
Oi Tolla auniscete ‘nzieme cu nuie
Lu letto va a scarfa’ a Giuvanni
Quanno vive e te spasse
Lu mmale va arrasso
Ué ca li signure
Ué ca spilan’ ’o ziro
E po’ sient’ dire
Uh ca stu festino
Va propeto na meraviglia
Nove cacciat’’e vino bone assai
Ma la decima cchiù meglio sarrà
Se ne va Ntoniella a n’atu paese,
A n’atu paese,
Bona sciort’ essa aggia
Sia rispettosa e saggia
Rispettosa e bona e gentile
Cu ognuno
Nu surriso all’anziane
E a chill’ ’e vint’anne
Ma na leverenza spetta sul’ a Giuvanne
E p’ la via ‘e massarie
P’ la campagna bene mio
E ‘nta lo ciardine
Li pperat’ asciate delli pieduzze
‘E Ntoniuzza
Jeva e ghieva lu zito lu zito
E sope lo capo
S’è puosto lu cappiello
Vede Giuvanniello,
Ammartenatiello,
La mia cara Ntoniella
Avanz’ ’o pere nu miglia
Porta la mantiglia
La vunnella vermiglia
Tène nere li cciglie
E alla salute d’ gnore
Tata viv’ addò vaie
Tata viv’ addò vaie
Quacche cosa ai zite daie
Alle zite mò daie.
Ué ca li figliule int’ a na casarella
Vanno li spuse
Lu lietto de rose
Li ccuscenelle de raso
Lu vaceliello d’argento
La tuvaglia addore de menta
Lieve russo miette a lu viso.
Forte! Uh è forte!
Nun se po’ vevr’!
Vive, vive e và
S’ha da vevr’ assai
E quaccosa alli zite dài
Alli zite dài
Alli zite dài
Chesta, chesta, chesta femmena
Chesta ciotola va nu ‘rano
Ma quanno quanno sarrà chiena
Ne jarrà dui duie ’rà
Fosse o ver’!
Fosse o ver’!
Va lu sciumm’ ‘nchiena pussente
Jesse duie ‘ra, jesse cinche
Ma nnant’ a la porta s’allamenta
Ohi socra mia mamma ’gnora mia!
Ma basta!
Jammo bello amice
Nun verite ca lu zito s’è stancato?
Nun sarrà cchiù zit’
La figliola trase rint’ a la stanza
Jarrà duie rà
Forse otto
E nziem’ a essa
Vanno a priparà lu liett’
Lietto, lietto mio letticiello
Ncoppa lu lietto li mmatarazz’
Ncopp’ a li mmatarazze li ccuscenell’
Sotto li ccuscenelle le lenzol’
Sotto li cuperte lu giovane ‘agliard’
Sotto bell’ e ‘agliardo Giuvanneniell’
Giovann’ ’e Felippo
Quanno l’auciello pizzeca la fica
Ncoppa a lo lietto
Giuvanniello stregne Ntonietta
E la vasa
La mano piglia e l’accarezz’
La manella ncopp’ a lu ccor’ e bbà
La manella ncopp’ a lu ccor’ e bbà
Core mio moglierella
Ca mò sì d’ ’a mia pazziella
P’ lu lietto desiderat’
Starrammo io e te
E cu ssanetà
Alla faccia ‘e chi porta ‘mmiria!
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