«Un arcangelo sul Gargano» Ernesto de Martino (Espresso Mese del novembre 1960)
In un certo senso non sarebbe del tutto errato parlare d’una storia religiosa del promontorio garganico. Secondo quel che attesta lo storico Strabone, su questo promontorio in epoca pagana c’erano ben due «Case sollievo della sofferenza», naturalmente di tipo arcaico: un oracolo di Podalirio, figlio d’Esculapio, con una sorgente minerale, e un oracolo del veggente omerico Calcante, nel quale i malati offrivano il sacrificio d’un montone nero, dormivano poi sul vello della bestia, e dormendo e sognando entravano in rapporto col nume. Nel quinto secolo dopo Cristo, perdurando sul promontorio questi e altri culti pagani, giunse sul Gargano non già un visitatore apostolico, ma, dati i tempi, l’arcangelo Michele. Vi giunse con i mezzi di allora, spiccando il volo dall’Oriente, varcando il mare e apparendo al vescovo di Siponto (l’attuale Manfredonia), al quale ordinò in sostanza di mettere ordine cristiano nella regione, sottraendola al culto idolatrico delle Case-sollievo dell’epoca. Nacque così il famoso santuario di Monte Sant’Angelo, la cui fama si sparse per tutta l’Europa medievale e le cui pendici furono percorse, in devoto pellegrinaggio, da imperatori e re. A una ventina di chilometri da Monte Sant’Angelo c’è San Giovanni Rotondo, un paesino che fino ad alcuni decenni or sono non aveva nessun destino nazionale o internazionale, e che ora, per le note ragioni, ha quasi oscurato la fama dell’antico santuario medievale, attirando a sé se non proprio imperatori e re, almeno il fiore dell’Italia devota e dell’America ricca. Tuttavia è sembrato che nel dilagante prestigio del piccolo paese garganico qualche cosa ricordasse ancora i lontani precedenti pagani del figlio d’Esculapio e del veggente Calcante: perciò l’arcangelo Michele è riapparso sul Gargano, questa volta (dati i tempi) sotto forma d’un visitatore apostolico sopraggiunto per operare «una ripulitina» o «una lubrificazione» (secondo le espressioni che il Corriere della Sera attribuisce al visitatore in questione). Mantenendo fede alla tradizione secondo cui nulla accade sul promontorio garganico che non abbia importanza per tutta l’umanità, anche questa seconda apparizione dell’arcangelo sta per avere vastissima fama; e solo perché i tempi sono mutati, ed è ormai esaurita la fecondità del mito antico, il ritorno di san Michele sul Gargano viene oggi figurato nello squallido linguaggio della civiltà industriale («ispezione», «ripulitina», «lubrificazione»), facilmente accessibile ai lettori del «Corriere della Sera». Del resto, anche in tempi recentissimi il Gargano è stato testimone d’episodi d’inquietudine religiosa di risonanza più o meno vasta. Una timida e devota fanciulla di Rodi Garganico, che si chiamava Rosa, cominciò nel 1941 a esercitare le sue virtù curative, acquistando nome in tutta la regione, e oltre. Unendo poi alla sua pratica di guaritrice anche il dono della profezia, la fanciulla annunciò per la primavera del ‘42 la sua morte e, al tempo stesso, la fine della Seconda guerra mondiale. L’attesa si fece grande in tutto il promontorio: il giorno del compimento della profezia la gente affluì a Rodi da tutte le parti, e, insieme alla gente, reparti di carabinieri venuti apposta da Foggia per fronteggiare gli eventuali disordini. Ma «santa Rosa» (come la fanciulla veniva chiamata) non morì, la guerra continuò, e la delusione tra i fanatici fu tanta da consigliare d’allontanare la «santa» dal paese, relegandola per qualche tempo nel manicomio di Aversa. Quest’inquietudine religiosa, riflesso d’altre inquietudini consce e inconsce, si manifestò anche nel singolarissimo episodio di Donato Manduzio e degli «ebrei» di San Nicandro, di cui tanto parlò a suo tempo la stampa, e che vanta già una certa letteratura. Si trattò di povera gente che abbracciò il giudaismo non tanto per il suo carattere rigidamente monoteistico, aniconico e antidolatrico, ma perché attraverso di esso potevano trovare soddisfazione l’esigenza d’un radicale distacco da una realtà ingrata, il senso d’appartenenza a un «popolo eletto», le tendenze visionarie e profetiche, l’attesa del Messia. Gli «ebrei» di San Nicandro, tutti contadini e illetterati, arrivarono fino a farsi incidere nelle carni il segno di quest’elezione separatrice, e furono circoncisi il 4 agosto 1946 in una cerimonia collettiva, cui fece seguito un’immersione nell’Adriatico, a Torre Maletta. Inizialmente, i convertiti di San Nicandro ignoravano che il popolo ebraico esisteva ancora e appresero con grande stupore e in modo del tutto incidentale che gli ebrei erano ancora sulla faccia della terra. Quando Israele realizzò le sue speranze riguadagnando la Terra promessa, e quando, nel 1948, la guerra fra israeliani e arabi aumentò in Palestina la «fame di uomini», la Terra promessa prese inaspettatamente per i contadini di San Nicandro la consistenza d’una reale possibilità di «emigrazione». Accadde così che alcuni contadini, cui interessava non il giudaismo, ma l’emigrazione in Palestina, non esitarono a farsi circoncidere, visto che solo così potevano avere la prospettiva di campare la vita. Ma torniamo ora a San Giovanni Rotondo e alla «ispezione» del visitatore apostolico. I recenti avvenimenti che hanno commosso l’opinione pubblica possono interessare da vari punti di vista, ma qui vorremmo sottolineare il fatto che essi rappresentano un’eloquente testimonianza delle difficoltà in cui la Chiesa s’imbatte nel suo tentativo d’appropriarsi di quanto di più avanzato offrono la tecnica e la scienza moderne senza tuttavia perdere rapporto con le tradizioni soprannaturalistiche che formano la sostanza del suo insegnamento e senza provocare scandali e lacerazioni in seno a quel cattolicesimo popolare che essa stessa in passato ha in parte promosso e in parte tollerato. Il santuario medievale di Monte Sant’Angelo, con le sue folle di pellegrini imploranti guarigioni miracolose, rappresentava ormai, almeno nella sua specifica funzione terapeutica, qualche cosa di arcaico, di non rispondente ai tempi, e troppo ricordava in alcuni tratti il preesistente culto pagano del figlio d’Esculapio e del veggente Calcante. Fu precisamente la coscienza più o meno oscura di quest’insufficienza a favorire la nascita a San Giovanni Rotondo della «Casa sollievo della sofferenza», concepita e attuata nel modo più moderno e razionale, anzi in una prospettiva americana.
Ma, al tempo stesso, l’iniziativa restò in un certo senso impigliata nei più compromessi arcaismi della prospettiva garganica, cioè legata a una serie di rapporti popolari, oracolari, taumaturgici, e alla figura d’un frate che poteva rientrare nel tipo popolare del guaritore e del profeta, e che (salvo la sostanziale ortodossia e la più incisiva personalità) soddisfaceva esigenze che in forma extracanonica avevano trovato espressione in figure come quella della guaritrice Rosa di Rodi o del guaritore e profeta Donato Manduzio di San Nicandro. La «Casa sollievo della sofferenza» nacque ubbidendo alle esigenze della tecnica ospedaliera e della scienza medica più avanzate, ma, al tempo stesso, attraverso il nome e il prestigio di padre Pio, continuò idealmente a partecipare a un ordine radicalmente diverso, cioè alla valutazione soprannaturale delle stimmate, alla virtù delle bende intrise di sangue miracoloso, a una pratica della confessione auricolare che rischiava di ridurre il sacramento cattolico al rapporto magico con un guaritore, ecc. Dietro il nome di Fiorello La Guardia, cui è dedicata la «Casa sollievo», riappariva così l’ombra non facilmente esorcizzabile del figlio d’Esculapio e del veggente Calcante. Né vale che la Chiesa non abbia finora avallato il carattere soprannaturale dei fenomeni che si collegano alla persona del frate, perché di fatto senza l’interpretazione soprannaturalistica di tali fenomeni da parte della devozione privata, e senza i prestigi derivanti dalla possibilità di futuri riconoscimenti ufficiali, la «Casa sollievo» non sarebbe mai sorta. L’interesse della vicenda di San Giovanni Rotondo sta proprio nel fatto che qui sono scoppiate in una forma estrema, e sotto certi aspetti caricaturale, le contraddizioni che travagliano il tentativo attuale d’ammodernamento che la Chiesa persegue in tutti i campi, cercando di risolvere in altrettanti et-et gli aut-aut in cui la civiltà moderna è attualmente impegnata (critica storica e rivelazione, psicoanalisi e confessione auricolare, democrazia e cattolicesimo, psicopatologia e possessione diabolica, scienza e miracolo, ecc.). L’arcangelo Michele è riapparso sul Gargano, ma c’è da chiedersi fino a che punto sarà efficace questa sua seconda apparizione sul promontorio. Senza dubbio, gli abusi più vistosi saranno eliminati, e la «ripulitina» e la «lubrificazione» sortiranno esito positivo. Ma resterà pur sempre l’equilibrio e la prudenza di un et-et lì dove la civiltà moderna avverte il maturarsi di un aut-aut decisivo.
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