
Hussein, 35 anni, è arrivato a Milano dieci anni fa dal Senegal. È lui il Caronte che ci guida nelle campagne della Capitanata che in estate diventano una spugna di braccia robuste e instancabili. Strappano pomodori in cambio di 3,5 euro in media al giorno. Devono riempire più cassoni possibili che pesano fino a cinquecento chili. Lui è arrivato nel ghetto dopo il fallimento della fabbrica del Nord dove ha lavorato come operaio pantografatore. Dalla fabbrica metalmeccanica alla fabbrica verde: il cerchio si chiude. Hussein è diventato un bracciante a tempo pieno pagato a giornata. Dal 2012 raccoglie pomodori in Capitanata, olive a 5 euro all’ora a Carpino, mandarini e arance a 5 euro all’ora a Rosarno. Questa è la «transumanza», metafora brutale quando viene usata per gli esseri umani, che da Saluzzo in Piemonte lo porta in Sicilia. E viceversa. Questi salari, modestissimi, sono il risultato dell’estorsione operata dai «capi neri», i caporali neri ingaggiati dagli intermediari italiani. Sono loro che raccolgono dal paniere le braccia offerte dal ghetto e utili per la raccolta. Ogni canale è valido: dai rapporti amicali a quelli comunitari. Basta una telefonata, la voce rimbalza e in pochi giorni arrivano gruppi con zaini e materassi disponibili a tutto. Dalla paga dei braccianti i «capi bianchi» sottraggono il costo del trasporto e del pranzo. A fine giornata i lavoratori tornano anche con un euro in tasca. I caporali, invece, ne guadagnano migliaia. Loro sono gli indisturbati custodi della piramide di potere che garantisce l’ordine nel campo.
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