Non facciamoci infinocchiare, lo stesso avvenne in Basilicata.
I lucani non hanno visto ne sviluppo ne euro.
La Gazzetta del Mezzogiorno.it
di Giuseppe Armenise
BARI – Vocazione turistica? Provate voi a promuovere le spiagge sterminate sulle quali si affaccia il promontorio del Gargano o le acque cristalline del Salento mentre sul destino della regione con l’esposizione costiera più estesa d’Italia incombe la minaccia del petrolio. Il passo tra la Puglia perla del turismo e la Puglia pattumiera è davvero breve. E le popolazioni già si mobilitano per dire no a questo possibile scempio. Al loro fianco anche l’amministrazione regionale che proprio ieri, attraverso l’assessore all’Ecologia, Onofrio Introna, ha annunciato di voler affiancare l’azione di rivendicazione di quanti «si oppongono alle ricerche petrolifere in una delle più belle zone costiere d’Italia».
La ricerca del petrolio sui fondali di fronte al litorale di Puglia promette di portare solo danni. L’esiguità dei possibili giacimenti, la cui portata si esaurirebbe, secondo alcuni, in poco più di un anno e mezzo, non giustifica affatto il costo ambientale richiesto alle popolazioni in termini di interferenze deleterie con l’attività di pesca, di sconvolgimenti inevitabili degli ecosistemi marini (nelle aree interessate affacciano riserve marine protette, parchi regionali e zone umide di assoluto pregio), di compromissione dell’industria turistica (stabilimenti balneari e strutture ricettive) che negli ultimi due anni proprio in Puglia ha mostrato segnali in controtendenza rispetto al generale calo registrato ovunque.
Il primo a lanciare l’allarme, un paio di settimane fa, il deputato di Monopoli, città a 40 km da Bari, Pierfelice Zazzera. Proprio nel mare di Monopoli e nella zona Sud tra le province di Bari e Brindisi (a una distanza che varia tra i 10 e i 37 km al largo) si segnalano tre punti di potenziale perforazione. Al momento, il ministero dell’Ambiente ha autorizzato solo le prospezioni sismiche (a colpi di proiettili ad aria, tecnicamente air gun) per la caratterizzazione delle aree oggetto dell’interesse delle società petrolifere (tutte con sede all’estero anche se in almeno in case partecipate da società italiane). Ma quei tre punti di prospezione sono diventati, nel frattempo, 7. Sui tavoli delle Capitanerie di porto competenti, infatti, sono arrivate richieste per l’avvio di attività in mare anche a Molfetta (20 km a nord di Bari) e poi a Gallipoli e a Taranto. Nel comprensorio della Capitaneria di Termoli, invece, ricadono i punti di interesse al largo delle isole Tremiti, sede di una delle più estese riserve marine di Puglia. E da Monopoli, i Verdi annunciano per bocca del portavoce Giuseppe De Leonibus: «I punti complessivi di possibile perforazione, in prospettiva sono addirittura 15, 5 dei quali nell’arco jonico».
Gli elementi per rendere inquiete le popolazioni locali e le amministrazioni (compresa quella monopolitana che è retta da un sindaco di centrodestra, quindi affine al governo nazionale) ci sono tutti. Non ultimo il fatto che Regione e enti locali sostengono di aver saputo di questa campagna di ricerca del petrolio ormai a cose fatte, quando cioè ormai non era più possibile esprimere alcun parere. Una lettera, in realtà, risulta inviata dal ministero dell’Ambiente alle amministrazioni delle città costiere (compreso il capoluogo di regione, Bari) a gennaio. Ma gli uffici competenti di ciascuno dei Comuni in indirizzo sostengono di non averla mai ricevuta. In più, tra i due quotidiani scelti per rendere pubblica la procedura avviata ne è stato scelto uno («Il Giorno» di Milano) che non ha alcuna diffusione in Puglia. E così la protesta si sposterà molto presto in strada. Il comitato di cittadini cui già hanno dato la propria adesione Italia dei valori e Verdi si costituirà ufficialmente la prossima settimana, il 28 dicembre, e già si annunciano una serie di manifestazioni.
Decisamente duro l’attacco dell’assessore Introna al ministro Stefania Prestigiacomo: «Mentre sta rappresentando l’Italia al vertice di Copenhagen – dice Introna – sul clima, dal suo ministero arrivano bordate che renderanno la Puglia la pattumiera d’Italia e di Europa. I più grandi scienziati e i più eminenti statisti cercano modi per ridurre le emissioni di gas serra in Danimarca. Mentre il ministro si fa bella con discorsi sul Bel Paese, ci viene reso noto che risultano depositate alle Capitanerie di porto ben 7 nuove richieste di prospezioni geologiche per ricerche di gas e petrolio. La Regione non può neppure restare inerte. La Prestigiacomo sta a Copenaghen e i suoi uffici dicono che per il rigassificatore di Brindisi a due passi dalla case va tutto bene. Il Ministro parla al vertice Onu sull’ambiente, ma con una mano nascosta firma il raddoppio della centrale Eni di Taranto. Si tratta di scelte scellerate. Appena arriveranno i decreti, stia pur sicura il ministro che saranno impugnati dalla Regione».
In Basilicata, regione del petrolio, nessuno è diventato sceicco
di Massimo Brancati
POTENZA – Ospita il più grande giacimento dell’Europa continentale che porta al Paese oltre l’80% della produzione nazionale di greggio, coprendo circa il 6% del fabbisogno italiano. Ma l’etichetta di Texas d’Italia o Basilicata d’Arabia è fuorviante: tutto il petrolio che sgorga nelle viscere del territorio lucano (la produzione media giornaliera è di 75.787 barili) non ha creato sceicchi e nababbi. E sta incidendo in maniera assolutamente marginale sul fronte dell’occupazione. L’«oro nero» si traduce, per le tasche dei cittadini, solo in uno sconto sulla bolletta del gas (risparmio fino a 280 euro all’anno) e in una serie di lavori pubblici nei trenta comuni interessati dalle perforazioni: piazzette, panchine, arredi urbani, fontane monumentali, tavoli di pic nic, sentieri naturali. Paesi più belli, certo, ma sempre più vuoti, con i giovani che vanno via di fronte al petrolio incapace di produrre concrete nuove opportunità di lavoro e di sviluppo. Accade così che a Marsicovetere si spendano 900 mila euro per sistemare piazza Zecchettin e a Viggiano si continui a «cesellare» i marciapiedi su cui, ormai, passeggiano in pochi.
Dall’«oro nero», insomma, i lucani si aspettano molto di più. Benefici reali, a cominciare dallo sconto sulla benzina, «caldeggiato» in una proposta di legge dei parlamentari del centrodestra e ancora «impantanato» nella sfera delle ipotesi. Ma anche, e soprattutto, una «spinta» al sistema produttivo locale che chiede di aggrapparsi al petrolio per uscire fuori dalle sabbie mobili della crisi economica. I fondi ci sarebbero: al 31 dicembre 2007 (l’ultimo dato disponibile), la Basilicata ha ricevuto royalties per circa 466,016 milioni di euro. Ogni anno vengono accreditate alla Regione qualcosa come 73 milioni di euro. Non sono spiccioli, ma potrebbero essere molto di più se lo Stato rinunciasse a una parte dei suoi introiti che, all’anno, ammontano a 1,114 milioni di euro.
Il tema dei reali riflessi sull’economia lucana del petrolio s’intreccia con quello dell’impatto ambientale. Fioccano segnalazioni, nelle aree dei pozzi, di campi abbandonati, frutteti maleodoranti, maturazioni fuori stagione. E c’è chi mette in relazione l’attività petrolifera con la crescita di patologie tumorali: dalla Valle del Sauro e dalla Val d’Agri continua a riecheggiare l’allarme degli ambientalisti che chiedono controlli più serrati sul fronte dell’inquinamento. Non sembrano tranquillizzare l’opinione pubblica neppure i risultati – definiti «nella norma» – degli inquinanti rilevati dalle centraline di Metapontum Agrobios, di cui una fissa installata nell’area industriale di Viggiano e una mobile che misura periodicamente i livelli di concentrazione di monossido di carbonio, biossido di zolfo, biossido di azoto e ozono nei centri del comprensorio petrolifero (Val d’Agri e Tempa Rossa). Il monitoraggio (gli ultimi dati disponibili riguardano l’estate del 2008) hanno evidenziato una quasi costante normalità ad eccezione di picchi episodici nella concentrazione di biossido di azoto che è risultato maggiore di 250 microgrammi per metro cubo di aria analizzata nei pressi di Gorgoglione a giugno 2008 (il valore oltre il quale ci sono rischi per la salute umana è di 350 microgrammi per metro cubo).
"Mi piace""Mi piace"
In Basilicata, regione del petrolio, nessuno è diventato sceicco
di Massimo Brancati
POTENZA – Ospita il più grande giacimento dell’Europa continentale che porta al Paese oltre l’80% della produzione nazionale di greggio, coprendo circa il 6% del fabbisogno italiano. Ma l’etichetta di Texas d’Italia o Basilicata d’Arabia è fuorviante: tutto il petrolio che sgorga nelle viscere del territorio lucano (la produzione media giornaliera è di 75.787 barili) non ha creato sceicchi e nababbi. E sta incidendo in maniera assolutamente marginale sul fronte dell’occupazione. L’«oro nero» si traduce, per le tasche dei cittadini, solo in uno sconto sulla bolletta del gas (risparmio fino a 280 euro all’anno) e in una serie di lavori pubblici nei trenta comuni interessati dalle perforazioni: piazzette, panchine, arredi urbani, fontane monumentali, tavoli di pic nic, sentieri naturali. Paesi più belli, certo, ma sempre più vuoti, con i giovani che vanno via di fronte al petrolio incapace di produrre concrete nuove opportunità di lavoro e di sviluppo. Accade così che a Marsicovetere si spendano 900 mila euro per sistemare piazza Zecchettin e a Viggiano si continui a «cesellare» i marciapiedi su cui, ormai, passeggiano in pochi.
Dall’«oro nero», insomma, i lucani si aspettano molto di più. Benefici reali, a cominciare dallo sconto sulla benzina, «caldeggiato» in una proposta di legge dei parlamentari del centrodestra e ancora «impantanato» nella sfera delle ipotesi. Ma anche, e soprattutto, una «spinta» al sistema produttivo locale che chiede di aggrapparsi al petrolio per uscire fuori dalle sabbie mobili della crisi economica. I fondi ci sarebbero: al 31 dicembre 2007 (l’ultimo dato disponibile), la Basilicata ha ricevuto royalties per circa 466,016 milioni di euro. Ogni anno vengono accreditate alla Regione qualcosa come 73 milioni di euro. Non sono spiccioli, ma potrebbero essere molto di più se lo Stato rinunciasse a una parte dei suoi introiti che, all’anno, ammontano a 1,114 milioni di euro.
Il tema dei reali riflessi sull’economia lucana del petrolio s’intreccia con quello dell’impatto ambientale. Fioccano segnalazioni, nelle aree dei pozzi, di campi abbandonati, frutteti maleodoranti, maturazioni fuori stagione. E c’è chi mette in relazione l’attività petrolifera con la crescita di patologie tumorali: dalla Valle del Sauro e dalla Val d’Agri continua a riecheggiare l’allarme degli ambientalisti che chiedono controlli più serrati sul fronte dell’inquinamento. Non sembrano tranquillizzare l’opinione pubblica neppure i risultati – definiti «nella norma» – degli inquinanti rilevati dalle centraline di Metapontum Agrobios, di cui una fissa installata nell’area industriale di Viggiano e una mobile che misura periodicamente i livelli di concentrazione di monossido di carbonio, biossido di zolfo, biossido di azoto e ozono nei centri del comprensorio petrolifero (Val d’Agri e Tempa Rossa). Il monitoraggio (gli ultimi dati disponibili riguardano l’estate del 2008) hanno evidenziato una quasi costante normalità ad eccezione di picchi episodici nella concentrazione di biossido di azoto che è risultato maggiore di 250 microgrammi per metro cubo di aria analizzata nei pressi di Gorgoglione a giugno 2008 (il valore oltre il quale ci sono rischi per la salute umana è di 350 microgrammi per metro cubo).
"Mi piace""Mi piace"
In Basilicata, regione del petrolio, nessuno è diventato sceicco
di Massimo Brancati
POTENZA – Ospita il più grande giacimento dell’Europa continentale che porta al Paese oltre l’80% della produzione nazionale di greggio, coprendo circa il 6% del fabbisogno italiano. Ma l’etichetta di Texas d’Italia o Basilicata d’Arabia è fuorviante: tutto il petrolio che sgorga nelle viscere del territorio lucano (la produzione media giornaliera è di 75.787 barili) non ha creato sceicchi e nababbi. E sta incidendo in maniera assolutamente marginale sul fronte dell’occupazione. L’«oro nero» si traduce, per le tasche dei cittadini, solo in uno sconto sulla bolletta del gas (risparmio fino a 280 euro all’anno) e in una serie di lavori pubblici nei trenta comuni interessati dalle perforazioni: piazzette, panchine, arredi urbani, fontane monumentali, tavoli di pic nic, sentieri naturali. Paesi più belli, certo, ma sempre più vuoti, con i giovani che vanno via di fronte al petrolio incapace di produrre concrete nuove opportunità di lavoro e di sviluppo. Accade così che a Marsicovetere si spendano 900 mila euro per sistemare piazza Zecchettin e a Viggiano si continui a «cesellare» i marciapiedi su cui, ormai, passeggiano in pochi.
Dall’«oro nero», insomma, i lucani si aspettano molto di più. Benefici reali, a cominciare dallo sconto sulla benzina, «caldeggiato» in una proposta di legge dei parlamentari del centrodestra e ancora «impantanato» nella sfera delle ipotesi. Ma anche, e soprattutto, una «spinta» al sistema produttivo locale che chiede di aggrapparsi al petrolio per uscire fuori dalle sabbie mobili della crisi economica. I fondi ci sarebbero: al 31 dicembre 2007 (l’ultimo dato disponibile), la Basilicata ha ricevuto royalties per circa 466,016 milioni di euro. Ogni anno vengono accreditate alla Regione qualcosa come 73 milioni di euro. Non sono spiccioli, ma potrebbero essere molto di più se lo Stato rinunciasse a una parte dei suoi introiti che, all’anno, ammontano a 1,114 milioni di euro.
Il tema dei reali riflessi sull’economia lucana del petrolio s’intreccia con quello dell’impatto ambientale. Fioccano segnalazioni, nelle aree dei pozzi, di campi abbandonati, frutteti maleodoranti, maturazioni fuori stagione. E c’è chi mette in relazione l’attività petrolifera con la crescita di patologie tumorali: dalla Valle del Sauro e dalla Val d’Agri continua a riecheggiare l’allarme degli ambientalisti che chiedono controlli più serrati sul fronte dell’inquinamento. Non sembrano tranquillizzare l’opinione pubblica neppure i risultati – definiti «nella norma» – degli inquinanti rilevati dalle centraline di Metapontum Agrobios, di cui una fissa installata nell’area industriale di Viggiano e una mobile che misura periodicamente i livelli di concentrazione di monossido di carbonio, biossido di zolfo, biossido di azoto e ozono nei centri del comprensorio petrolifero (Val d’Agri e Tempa Rossa). Il monitoraggio (gli ultimi dati disponibili riguardano l’estate del 2008) hanno evidenziato una quasi costante normalità ad eccezione di picchi episodici nella concentrazione di biossido di azoto che è risultato maggiore di 250 microgrammi per metro cubo di aria analizzata nei pressi di Gorgoglione a giugno 2008 (il valore oltre il quale ci sono rischi per la salute umana è di 350 microgrammi per metro cubo).
"Mi piace""Mi piace"