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Il compagno Giuseppe Bramante da Carpino

son di medicina pure io, come Malatesta e Carmelo Palladino, naturalista e materialista convinto che l’uomo giusto ha la “missione” inderogabile di cambiare le cose e controbilanciare l’arroganza dei furbi, dei forti e dei potenti.

Tempo fa, cercando notizie di Giuseppe D’addetta, mi sono imbattutto su un testo di Mario Simone che racconta di quando Tommaso Fiore venne sul Gargano alla “ricerca del prossimo di Giannone e di Celestino Galiani, di Carmelo Palladino e di Giuseppe Bramante, fantasmi implacabili della Rivoluzione alienata…”.
Immaginate la curiosità che scattenarono in me queste righe quanto poi, approfondita, la ricerca scoprii che Giuseppe Bramante e suo fratello erano di Carpino.
In particolare sempre Mario Simone, in RICORDI E FRAMMENTI, ci informa che:
“Nella pagina pubblicata da «Rassegna pugliese», fascicolo in onore di Tommaso Fiore, nomino gli anarchici garganici Bramante e Palladino, che da tempo mi avevano incuriosito, fino a farmi cercare le loro tracce nei paesi di origine: Carpino e Cagnano Varano.
Qui mi fu propizio il commissario al Comune, dott. Antonio Papagno, manfredoniano, che riuscì a farmene ottenere il ritratto, del quale volle copia Antonio Lucarelli, per il suo scritto biografico apparso con l’immagine «Umanità Nova» e poi in quaderno.
Infruttuoso fu, invece l’incontro con le sorelle superstiti del Palladino, mostratesi ingenerose verso la sua memoria, non perdonandogli la tresca adulterina, per la quale una notte del 1896 fu spento dall’uomo tradito.
Dei fratelli Bramante, promotori col Palladino della prima internazionale (anarchica) non si serbano molte notizie a Carpino. Lo storico locale, Giuseppe D’Addetta, non mi ha potuto fornire elementi di dettaglio”.
Successivamente equivocando il testo di Simone riuscii a trovare notizie sullo scritto di Lucarelli: Patrioti ed internazionalisti: Carmelo Palladino, in “Umanità nova” (Roma) XXIX (1949), nn. 36-39 (4-25 settembre); e in “Gazzetta del Mezzogiorno”, 1949, n. 101
Di recente infine, incuriosito della nascita della sezione Sel di Cagnano Varano intitolata a Carmelo Palladino, trovai in LEONARDA CRISETTI GRIMALDI, Cagnano Varano, Acropolis 1999 un’altra riga che diceva “A Cagnano all’epoca c’era una sezione di anarchici, composta da diversi elementi. Con lui collaboravano gli intellettuali Antonio Fini, nostro concittadino, Luigi Della Monica da Sannicandro e Giuseppe Bramante da Carpino.”
Purtroppo la mia curiosità dovete fermarsi qui perchè altro non riuscii a trovare.
Ma ieri miracolosamente sulla pagina facebook “Carpino e le sue notizie (Benvenuti in Piazza del Popolo)” è apparso un post di Giuseppe Bramante da Carpino che recita: Già nel 1886 con Carmelo Palladino di Cagnano Varano e Luigi Della Monica di S. Nicandro Garganico aspiravamo alla creazione di una nuova società.
Non finisco neanche di leggerlo e mi precipito sul profilo di Bramante.
Ora, è ovvio che chi ha aperto quel profilo non è lo stesso Bramante, ma le notizie riportate aprono sicuramente un nuovo filone di ricerca sulla Carpino della seconda metà del dicianovessimo secolo.
Lascio a voi giudicare.
Chi dovesse entrare in possesso di notizie che possono approfondire gli aspetti citati è pregato di renderli pubblici prima che ritornino nell’oblio.
Nato nel 1842 a Carpino, avevo appena compiuto 18 anni quando 1401 elettori carpinesi votarono SI al Plebiscito “Il popolo vuole l’Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele Re Costituzionale, e Suoi legittimi discendenti” del 1860.
Nel 1861 era già tempo di briganti. Ricordo a Carpino lo scontro a fuoco del 14/15/16 giugno tra il plotone dell’8° Fanteria, comandato dal sottotenente Minghetti, e una comitiva di cinquanta briganti comandata da Caruso e da Angelo Maria del Sambro, capo della banda del Gargano e terrore del circondano di S. Severo.
L’anno successivo metteva a ferro e fuoco Carpino il brigante Luigi Palumbo alia Principe e venivano “giustiziati” gli insorgenti carpinesi mai ricordati:
– D’Amico Giuseppe: fucilato ad ischitella il 22 aprile 1862
– Gallo Antonio: fucilato a Carpino il 18 luglio 1863
– Grosso Michelantonio: fucilato il 16 luglio 1863 in Monte Sant’Angelo
– Pizzarelli Michelangelo: fucilato nell’agosto del 1863 in Cagnano
– Rivellino Michele: fucilato l’8 novembre 1863 in Sannicandro
Studente in medicina con La Gioventù Studiosa di Napoli partecipo col mio maestro Giuseppe Ferrari all’Anticoncilio del gennaio 1869 convocato da Giuseppe Ricciardi in opposizione al Concilio ecumenico convocato a Roma da Pio IX per l’8 dicembre 1968.
Già componente del’Associazione segreta di Bakunin, insieme a mio fratello e con Cafiero, Palladino e Malatesta fummò i promotori della prima internazionale anarchica del 1871.
Il 2 settembre del 1877 con altri 35 compagni fondai la Società Operai di Mutuo Soccorso di Carpino, un embrione da cui si svilupperà l’Inps.
Nel novembre del 1878 eccitai i contadini all’aperta ribellione contro il malgoverno dell’amministrazione comunale.
Fui promotore di tutti i disordini avvenuti in Carpino nel mese di gennaio e febbraio del 1879, per avere spinto la popolazione ad invadere le terre volute demaniali, insieme a:
– Bramante, Domenico
– Bramante, Pietro
– Giangualano, Domenico
– Di Monte, Raffaele
– Caputo, Giambattista
– Mennillo, Nicola
– Mennillo, Luigi
– Mennillo francesco
La questione della spartizione delle terre demaniali a Carpino si trascinava da oltre un settantennio. Furono i Francesi, durante l’occupazione d’inizio secolo, a volere la grande riforma nel Regno di Napoli. Con una legge varata da Giuseppe Buonaparte il 2 agosto 1806 erano stati aboliti i diritti feudali in tutto il Mezzogiorno d’Italia. Con essa era stato sferrato un duro colpo al patrimonio degli ex feudatari. I baroni avevano visto il loro titolo perdere il carattere pubblicistico, per assumere una valenza meramente onorifica. Con altra legge, varata il successivo 1° settembre, era stata imposta la ripartizione dei demani ex-feudali tra Baroni e Comuni, “secondo i diritti e le ragioni di ciascuno” , e la divisione dei demani in “proprietà libera” a favore dei cittadini. Con queste norme i francesi avevano posto delle pietre miliari lungo la strada che portava all’emancipazione e al riscatto morale delle popolazioni meridionali. Fino ad allora i baroni avevano goduto dei privilegi personali propri della nobiltà (esenzioni fiscali, esenzione da pene infamanti con relativa commutazione, precedenze, diritto a particolari onori…), e di una serie di privilegi reali che avevano fatto diventare lo stesso titolo di barone sinonimo di oppressione. Tra questi ultimi, il diritto di sottoporre a tributi tutti gli abitanti del feudo (decime, terraggi, fida, erbatica, carnatica …)
e di amministrarvi la giustizia, che si concretizzavano di fatto in un potere di vita e di morte.
Nel 1883 collaborai finanziariamente con Palladino, nonostante una forte carestia del grano, alla fondazione del Periodico Anarchico L’Internazionale.

Nel mese di settembre del 1886 a Carpino fondai la “Nuova Società”.
Nel 1893 vengo accussato di omicidio insieme a Matteo Fusillo.
Sono tornato nella mia Carpino per cambiare le cose e controbilanciare l’arroganza dei furbi, dei forti e dei potenti mediante la rivolta permanente della parola e dello scritto.
Saluti Libertari
Giuseppe Bramante
Per il momento citerò come fonte il profilo di facebook: Giuseppe Bramante da Carpino

ROMA | FESTA della TARANTA con Antonio Piccininno e i Cantori di Carpino

La musica popolare pugliese a Roma per il restauro del dipinto murale raffigurante San Paolo dei serpenti

Il 26 settembre, a Roma, presso l'Alpheus si svolgerà il Concertone "La Festa della Taranta" nel corso della VII edizione delle Giornate dell’Arte, Campagna nazionale di raccolta fondi per il restauro dei beni culturali a rischio, promossa ed organizzata dalla Fondazione CittàItalia in collaborazione con il Comitato per la Salvaguardia di Vereto, l'Associazione Culturale Carpino Folk festival e la Fondazione La Notte della Taranta sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dell’Unesco – Commissione nazionale Italiana, dell’UPI, dell’ANCI e della Rai.

Negli ultimi anni, come si sa, la Puglia ha conquistato l'interesse dei media nazionali per i due grandi eventi musicali di agosto legati alla musica di tradizione: La notte della Taranta di Melpignano nel Salento e il Carpino Folk Festival a Carpino nel Gargano. Ora questa Puglia musicale insieme per un concerto di beneficenza: "La Festa della Taranta" con i gruppi più rappresentativi della musica popolare pugliese per raccogliere fondi per il restauro dell'affresco di "San Paolo dei Serpenti" che si trova nella chiesa di Santa Maria di Vereto a Patù, nel Capo di Leuca.
Un affresco importante perché conserva una delle più antiche rappresentazioni di San Paolo nell'iconografia "popolaresca" che si riferisce all'antichissima credenza relativa alle capacità del Santo (e dei suoi "adepti") di curare gli effetti velenosi del morso di alcuni animali, tra cui i serpenti e gli scorpioni, da cui deriverà anche il patronato paolino sugli uomini e le donne "morse dalla taranta".

Un grande concerto con: Antonio Piccininno e i CANTORI DI CARPINO, MALICANTI, MASCARIMIRI' (tradizionale) special "Uce de fimmina" Anna Cinzia Villani e il CANZONIERE GRECANICO SALENTINO. Apertura porte ore 20.00 – Inizio concerto: ore 21.00

Il concerto sarà preceduto da una breve presentazione di Brizio Montinaro e Sergio Torsello coordinati da Vincenzo Santoro, che si soffermeranno sulla storia di questa particolare iconografia di San Paolo e dell'affresco di Vereto.

Antonio Piccininno e i Cantori di Carpino
Antonio Piccininno, 94 anni, grande "albero di canto" della cultura tradizionale italiana, guida la storica formazione proveniente da Carpino, mitico borgo del Gargano famoso per lo straordinario e affascinante patrimonio di canti accampagnati dalla chitarra battente (le cosiddette "Tarantelle del Gargano"). Nel loro repertorio le suonate che Piccininno ha eseguito per decenni con gli altri "grandi vecchi" della tradizione garganica, i compianti Andrea Sacco e Antonio Maccarone.

Malicanti
Il gruppo esegue musiche e canti tradizionali del mondo contadino della Puglia, appresi direttamente dagli anziani cantori. Il repertorio è composto da tarantelle, canti “alla stisa”, canti d’amore, stornelli, canti di lavoro, e da musiche che consentono di ballare, tra cui la pizzica-tarantata, la musica che nella cultura contadina veniva usata nella cura magica degli effetti del morso della mitica “taranta” e che oggi è diventata il simbolo del rinascimento musicale salentino.

Mascarimirì/Tradizionale Special "Uce de Fimmina" Anna Cinzia Villani
La polifonia tradizionale attraverso quattro delle più interessanti voci del Salento. Voci maschili e femminili (l'ospite speciale Anna Cinza Villani) che, accompagnate dal “Tamburreddhu” interpretano i suoni della tradizione. Suoni che questa terra ha ancora la forza di conservare e tenere vivi per consegnarli al futuro.

Canzoniere Grecanico Salentino
Nato da un'idea della scrittrice Rina Durante nel 1975, il Canzoniere Grecanico Salentino è uno dei primi e più importanti gruppi di riproposta della musica popolare pugliese. Dal 2007 la conduzione passa dal fondatore Daniele Durante al figlio Mauro, con una nuova formazione che ha portato all'edizione dell'ultimo lavoro del gruppo, il CD "Focu d'amore". Dall'energia della pizzica pizzica alla dolcezza dei canti d'amore, dalla festosità della banda paesana ad un ironico sguardo sulla modernità, quello del Canzoniere è uno spettacolo suggestivo ed intenso.

Viaggio d’Estate al Carpino Folk Festival 2010 – Intervista ad Antonio Piccininno

Alle radici

Stazione di San Severo, il mio viaggio nel mondo reale è quasi concluso ma quello vero ancora non inizia…scendo dall'Intercity e mi intrufolo in un trenino dipinto con i colori del Gargano, Peschici,falesie,mare…sembra di esser tornati nel passato, il treno parte, trema tutto..stiamo per decollare? Si, il "Monte Gargano" con la sua mole massiccia si avvicina, i binari iniziano a salire, il treno si inerpica, si sale..leggo da qualche parte "San Marco in Lamis, San Nicandro, San Giovanni Rotondo, Monte Sant'Angelo…"…tutti questi santi.. subito capisco che questa è una terra benedetta, toccata da Dio e dal suo Arcangelo Michele il cui ricordo giace nelle grotte, nella valli, nei boschi e nei monti che riportano il nome di Mikael…scorgo paesaggi carsici, il Gargano contiene ancora molti segreti..il paesaggio si apre,vedo uno specchio d'acqua, è il Varano, una pianura di ulivi che non finisce mai…Carpino.

Sono arrivato, sono qui per sentire le mie origini, per ascoltare..e forse, capirle..capire chi erano i miei avi, come era la loro vita, lo ascolto nelle parole di Matteo Scanzuso, Antonio Piccininno, Mike Maccarone.. nei loro canti è concentrata l'essenza del passato di una terra mai fortunata, una terra avara d'acqua e abbondante di sole. Per far si che questo ritorno al passato sia possibile "salgo" sul treno del Carpino Folk Festival, una manifestazione "glocale", partita 15 anni fa dalla mente di Rocco Draicchio e consegnata poi nelle mani di alcuni giovani carpinesi che con orgoglio e vivacità hanno fatto sentire la loro voce prima in Puglia, poi in Italia..ora cantano la tarantella del Gargano negli Stati Uniti..fate un pò voi. Il treno del Carpino Folk Festival non richiede biglietti, solo attenzione, ascolto, divertimento interessato…è cultura pura, è spirito giovanile sincero, è passione..quella vera. Compro con pochi euro un piatto di fave bagnate da abbondante olio d'oliva, mi dicono che tutto è rigorosamente "made in Carpino", questa terra fa miracoli, sono in Paradiso…ed io che non ci credevo quasi più! Inizia a battere il ritmo…sono in Piazza del Popolo..ma la festa non è qui..sento corde pizzicate, rimbombi di tamburelli…li seguo, arrivo nel centro storico..scorgo un gruppetto di persone in cerchio,ma cosa fanno? Mi avvicino, è una visita guidata nei vicoli e vicoletti del paese, mi regalano una bellissima mappa con i nomi dei quartieri in dialetto..e c'è ancora altro ma non ho tempo di leggere ora, "lu vuccul", la "lamj d P'lat", "la Fica ner", l'elenco non finisce mai, meno male che è un piccolo paese, qui ogni angolo trasuda di storia, dai normanni fino ad oggi..arriviamo all'epilogo della visita, il castello, la torre circolare…un castello occupato più o meno abusivamente da quello che mi dicono, Carpino è anche questo..siamo in Italia allora? Tra questi vicoletti avevo perso in senso dell'orientamento, la bussola era impazzita, credevo quasi di essere dall'altra parte dell'Adriatico tanto la differenza delle architetture è sottile…Torniamo dove si canta e si balla, accompagnamo il vecchio cantore 95enne con una "chitarra battente", un tamburello ed un paio di nacchere, canti d'amore che narrano la vita quotidiana di un tempo..gli occhi di Antonio Piccininno raccontano tanto, lucidi, raccontano quelle infinite camminate con le pecore dell'infanzia..il suono di quella "speciale chitarra" sembra esser quasi nato in quelle vie tanto è l'atmosfera armoniosa, ma al tempo stesso scatenata nei piedi nudi delle ragazze che li battono e ancora li battono a terra, che crea con le abitazioni storiche…non ci si stanca mai a Carpino, la notte è infinita, la voce e l'energia per ballare e cantare anche..il vino non manca mai, come succedeva nel rito per esorcizzare la tarantata lo si porta a cantori e suonatori, non deve mancare mai, così come il pane e quelle miracolose fave…quando si creano quei cerchi di suono,canto e danza la gente vi si accalca intorno..si fa come a gara di chi riesce a metter l'orecchio più vicino come per catturare qualcosa..ma cosa? C'è una qualche essenza che ancora non scopro sotto questo lampione dalla luce fioca al suono ritmato del tamburello…l'aria ti prende, ti coinvolge e poi ti sconvolge in quella danza sempre uguale ma sempre diversa, ogni passo ha un significato diverso, occhi che non si conoscono si incrociano, c'è intesa..la danza parla e le persone di conoscono senza aprir bocca…"Sogno o son desto?"..son desto, cosa volete? Questa è la terra dei santi, qui tutto può succedere…"Sant M'chel mij, statt bbon"..ci vediamo tra un anno a Carpino
 

scritto da Domenico S. Antonacci © 2010

la pubblicazione potrà eventualmente essere consentita previa richiesta (informale)

Chiesa Madre di San Nicola di Mira a Carpino

La Chiesa, sita nell’antico quartiere “La Terr”, situato a Sud-Ovest del paese, è ubicata nella parte più alta della collina dove sorge Carpino.
Riferimenti Internet
Riferimenti Facebook
Nessuna notizia su questo tempio è stato possibile rintracciare antecedentemente al Sinodo del 1678. Da tale documento si apprende che l’Arcivescovo Fr. Vincenzo Maria Orsini la consacrò il 22 Ottobre 1678 in onore di San Nicola di Mira, mettendovi le reliquie dei SS Martiri Dionisio e Lelio.

Non ci sono altre notizie fino al 1837 quando la nostra collegiata è richiamata nella relazione dell’Intendente Cav. Gaetano Lotti, letta all’apertura della sessione del Consiglio Provinciale di Capitanata: “…. Nella Capitale della Provincia fu aperto a’ fedeli il tempio di San Francesco Saverio; sono prossimi ad aprirsi quelli novellamente costruiti in Vieste, Lesina…. Carpino..”
Questo fa supporre che la nostra Chiesa Madre, verso la fine del ‘700 od inizio ‘800, sia stata distrutta o fortemente danneggiata, forse da eventi tellurici.
Dai registri comunali, deliberazioni del Consiglio e della Giunta, si sono ricavate le seguenti notizie: il Consiglio in data 13.05.1873 delibera di affidare ad un ingegnere la redazione di un progetto di massima per la restaurazione della Chiesa. La Giunta il 03.06.1876 delibera un sussidio per la prosecuzione dei lavori di restauro indispensabili, essendo stata la Chiesa Madre danneggiata da varie scosse di terremoto; il 14.04.1886 decide di concorrere alla spesa per la riedificazione del campanile abbattuto da un fulmine. Infine la stessa giunta in data 04.05.1895 delibera di pagare le spese per far rifondere la vecchia campana che pesava Kg 175 mentre la nuova è risultata di Kg 208.
La Chiesa di San Nicola di Mira è definita Madre in quanto rappresentava e tuttora rappresenta la più grande Chiesa del paese.
Ad essa si accede tramite due scalinate contrapposte site alla fine dell’attuale Corso Vittorio Emanuele II.

La facciata principale, decorata, presenta delle nicchie con delle statue in pietra, mentre sopra il portale vi è un finestrone, con vetri colorati, che immette luce direttamente sull’abside.
Agli spigoli della facciata vi sono due statue di pietra con al centro del timpano del tetto una croce in ferro battuto.

All’interno è costituita da un’unica navata, particolarmente maestosa, con lo sfondo sito sotto la cupola. La luminosità è assicurata dalla presenza di finestroni a vetro, situati ai lati della navata centrale.

La cupola, che si erge al di sopra dell’altare maggiore, si presenta completamente affrescata al contrario delle altre parti della chiesa, dove diversi interventi di restauro hanno irrimediabilmente rovinato gli affreschi esistenti. Ai quattro angoli della cupola sono rappresentati, su supporto di tela, i quattro evangelisti (San Matteo, San Marco, San Luca e San Giovanni).

Il tetto della Chiesa Madre è sorretto da un doppio sistema di capriate lignee, attualmente in forte stato di degrado.

La capriata più grande è del tipo “composta” e serve a sorreggere la copertura esterna (tavelloni, guaina, coppi e tegole).

La capriata più piccola, invece, anch’essa di tipo “composto” serve a sorreggere la controvolta affrescata sita all’interno della Chiesa. Essa è costituita da un sistema di cannucce intrecciate con il gesso.

Il campanile, invece, sorge addossato sull’angolo sinistro della Chiesa, sporgendo dal perimetro della stessa. Esso si sviluppa su tre livelli, nell’ultimo dei quali ci sono le celle campanarie e la vecchia cupola di copertura.
Attualmente l’antica cupola di copertura si presenta completamente inglobata all’interno della porzione di campanile ricostruita.

100.000,00 € dal Dipartimento della Gioventù per il Carpino Folk Festival col Comune di Carpino (capofila Partenariato)

Giovani energie in Comune: finanziati 348 Comuni, coinvolti un milione di under 35
I comuni di Carpino, Rodi Garganico, Peschici, Poggio Imperiale e Serracapriola in partenariato con l’Associazione Culturale Carpino Folk Festival finanziati per 100.000,00 €uro.
Ancora riconoscimenti esterni per il Carpino Folk Festival, nemo propheta in patria.

Oltre 700 domande presentate, 348 Comuni che beneficeranno di un finanziamento, per una popolazione coinvolta di 3.894.774 abitanti, di cui quasi un milione di under 35. Questo un primo bilancio delle amministrazioni che hanno partecipato al bando ‘Giovani Energie in Comune’ promosso dall’Anci e dal Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri e rivolto ad iniziative progettuali riguardanti le politiche giovanili. Il bando, che si articolava in tre progetti, Valorizzazione delle specificità territoriali, Interventi a favore della produzione musicale giovanile indipendente, e Valorizzazione della street art e del writing urbano, andrà a sostenere iniziative che si svolgeranno in 16 Regioni Italiane, con una media di 8 Comuni coinvolti per Regione. Nello specifico le Regioni che annoverano il maggior numero di Comuni beneficiari sono la Sicilia, il Lazio, il Molise, la Puglia e la Basilicata. Il Comune più piccolo che potrà usufruire di un finanziamento vanta soltanto 166 abitanti, mentre quello più grande conta una popolazione di 204. 870 abitanti.

In data 11 marzo 2010 è stato sottoscritto un importante accordo di partenariato costituito dai comuni di Carpino, Rodi Garganico, Peschici, Poggio Imperiale e Serracapriola con l’Associazione Culturale Carpino Folk Festival, finalizzato alla presentazione di un progetto per il coinvolgimento dei giovani nella valorizzazione delle specificità territoriali, denominato “L'autenticità e le tipicità immateriali del Gargano”.
Il progetto ideato dall'Associazione Culturale Carpino Folk Festival è stato subito sposato dall'Assessore alla Cultura del Comune di Carpino, Rocco Ruo, che lo ha sottoposto alla giunta comunale per la necessaria autorizzazione alla presentazione, in qualità di comune capofila, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L'obiettivo è di migliorare i progetti artistici di importanti manifestazioni che si svolgono nel territorio del Gargano che formano una rete di appuntamenti durante tutto l’anno capace di dare valore ai giovani talenti artistici e di attrarre nuovi flussi turistici fondati sulla qualità culturale del territorio.
Il progetto “L'autenticità e le tipicità immateriali del Gargano” intende coinvolgere in una programmazione articolata e concertata, oltre i Comuni partner, la Regione Puglia, la Provincia di Foggia, il Parco Nazionale del Gargano, la Camera di Commercio e l’Apt di Foggia e gli operatori economici del territorio.

L'Associazione Culturale Carpino Folk Festival, nel ringraziare tutte le amministrazioni coinvolte per la disponibilità e la sensibilità dimostrata e tutte le associazioni e gli enti che fin da subito ci hanno fatto pervenire la loro adesione, si augura quanto prima di allargare il partenariato anche ai Comuni che per requisiti dimensionali non è stato possibile coinvolgere in questa circostanza.

A seguito dell’attività svolta dalle Commissioni Tecniche di valutazione di merito dei progetti ammessi, ai sensi dell’art. 7 dei Bandi “Giovani Energie in Comune” ecco il link della graduatoria per i piccoli Comuni.

Comunicato Stampa Associazione Culturale Carpino Folk Festival
Associazione Culturale Carpino Folk Festival

Sagra della Carne e del Caciocavallo Podolico

Un anno fa se ne è andava Antonio Maccarone – cantore e suonatore di Carpino

Maccarone, nato a Carpino nel lontano 1920, ha affrontato una esistenza convulsa, fatta di tremende sciagure, di emigrazione e di soddisfazioni ottenute nel campo della musica popolare. Il suo nome è legato alle melodie di un tempo, ereditate direttamente dai portatori della tradizione carpinese e garganica. Ultimamente lo si incontrava nella sua casa di campagna, alla periferia di Carpino. Nel suo piccolo rifugio, Maccarone, reso cieco dall'errore di un medico oculista, cercava di dimenticare i dispiaceri della vita (aveva perso i due nipoti e la moglie nel giro di pochi anni, aveva un solo figlio, che vive in Germania) suonando la sua inseparabile chitarra francese e intonando sonetti e canti della Carpino che fu e che rischia di perdere irrimediabilmente il suo patrimonio canoro-musicale. A lanciare il grido d'allarme fu lui stesso sul palco della XI edizione del Carpino Folk Festival quando dopo aver gioito con il pubblico – "Siamo ancora qua. Noi, un tempo chiamati cafoni, perseguitati…ora richiesti in tutta Italia" chiedeva ai giovani di pensare si alla riproposta dei loro canti e dei loro suoni, ma di non inficiarli con strumenti musicali moderni che nulla hanno a che vedere con quello che da secoli rappresenta la tradizione garganica e carpinese.

Allievo di Pasquale Di Viesti, nativo di Rodi Garganico, da cui apprende la maggior parte del repertorio di canti e musiche popolari. Oltre alla cecità recente, Maccarone era afflitto dalla completa sordità ad un orecchio, "ereditata" in guerra, quando nel 1943 fu travolto dalle bombe americane a Taranto. Uscì miracolosamente salvo dal crollo di un magazzino del Genio militare (lui era il custode), ma perse l'udito, ottenendo in cambio la pensione di guerra. Fu salvato da un "angelo custode", il suo sergente, che udì le sue grida di aiuto e quelle di un amico commilitone, pure lui poi tratto in salvo. Dopo la guerra il cantore ha svolto diversi lavori, tra cui quello di vigile campestre a Carpino. Nel 1961 decide di emigrare. Assieme alla moglie Maddalena Ruo (classe 1929) approda a Milano. Svolge diverse attività, passando da un lavoro ad un altro, fino a quando decide di mettersi in proprio. Si dedica interamente all'importazione di prodotti locali dalla Puglia alla Lombardia. Gli affari vanno talmente bene che nel 1968 gli viene attribuito il "Leone d'oro per il commercio", assegnato ai maggiori imprenditori lombardi. Nel 1967 conosce professionalmente Andrea Sacco a Milano. Maccarone fù testimone diretto del concerto organizzato al Teatro lirico da Roberto Leydi e Diego Carpitella, due dei più importanti ricercatori italiani di musica, danze e canti della tradizione.

Ritorna definitivamente a Carpino nel 1986. I soldi risparmiati gli hanno permesso di acquistare casa e di vivere agiatamente. Nel 1998 l'arrivo di Giovanna Marini sul Gargano e a Carpino, allo scopo di "immortalare" e salvaguardare la vera tradizione locale. Tradizione a cui era strettamente legato lo stesso cantore carpinese. Sul palco del Carpino Folk Festival Maccarone raggiungeva il suo apice, bravo come nessuno a instaurare un feeling col pubblico dominava l'evento, salutava tutti "paesani e furestieri" recitava i suoi sonetti e poi via con le sue rare doti catturava l'attenzione del pubblico fin dal primo istante e la portava senza nessun calo d'attenzione fino al gran finale. Suonatore di chitarra francese, Maccarone era divenuto una vero cantore della musica popolare a seguito del compiacimento del capostipite del gruppo dei Cantori di Carpino, Andrea Sacco, e dopo aver brillantemente superato la prova della propria comunità di appartenenza che in lui si identificava. Con la sua Chitarra a lato non aveva nulla da invidiare alle Rock star della beat generation che la chitarra la portavano al tracollo.

Non saprei dire quante volte l’ho sentito cantare, magari anche un po’ stonare per l’età e per la completa sordita ad un orecchio, ricordo di guerra. Tuttavia saprei benissimo riallacciare alla sua figura la spensieratezza di moltissime serate estive, e alla sua voce il vincolo di sangue che mi lega alla mia terra anche da qui, a 450 km di distanza. Con la sua morte se ne va l’uomo, ma resta l’esempio di chi allegramente ha fatto la sua parte nel cercare di ricordarci chi siamo e nel difendere la storia a cui apparteniamo… perchè “la storia siamo noi,siamo noi questo piatto di grano”
… Ciao ovunque tu sia.
Danilo Romito

Ufficio Stampa Associazione Culturale Carpino Folk Festival

La netta sensazione di stare a perdere solo del gran tempo per il nulla

Dietro le quinte del Carpino Folk Festival

Buon giorno Zi Antò – si gira il film di Aldo di Russo

Gettando uno sguardo tra le memorie culturali del Gargano è impossibile non imbattersi nella tradizione musicale della Tarantella del Gargano in quella versione proposta al pubblico internazionale dai cantori di Carpino che di questa sono stati gli interpreti maggiori.Uno degli elementi specifici di analisi sarà il rapporto che esiste tra la tradizione orale e il genere popolare, rappresentazione di una civiltà ormai estinta, esorcismo e catarsi di ciò che non è più un bisogno e nemmeno un ricordo.Quando Diego Carpitella ed Ernesto De Martino girarono l’Italia del Sud, registrando musiche e documenti da cui nacque la “ Terra del rimorso”, erano gli anni ’50; il sud era ancora povero e fermo ad una cultura dei campi e della pastorizia che faceva sopravvivere convinzioni e tradizioni antiche; l’assenza di una scolarizzazione, specie tra gli adulti, conservava ancora la trasmissione orale della cultura popolare. Esisteva, insomma, la rappresentazione simbolica di quella cultura, di quell’ansia di scongiurare le angosce, le ansie di una esistenza precaria segnata dalla povertà e dalla emarginazione, cioè quelle motivazioni che prima Carpitella e De Martino avevano individuato come genitrici di quei modi di rappresentazione.

A 50 anni di distanza da quelle esperienze e dopo una profonda modificazione socio culturale, oltre ai documenti originali, esistono ancora pochi testimoni oculari e qualche gruppo locale di giovani appassionati continuamente in bilico tra “ricalco”, “revival” ed una terza via interpretativa che privilegi la ricerca dell’anima e delle origini alla fedele riproposizione della rappresentazione. A pensarci bene, sembra che la rappresentazione popolare della Tarantella stia ai giorni nostri un po’ come il dialetto di cui parlava Pasolini nel suo famoso “scritto Corsaro” stava ai suoi e anche ai tempi nostri. La tarantella rappresenta la sovrastruttura e non la struttura della società; la gente, diceva Pasolini, non parla il dialetto perchè il mondo che lo esprimeva non esiste più. Allora per evitare che la tradizione di un popolo diventi solo lo stigma di una arretratezza e non una risorsa culturale, proviamo a mettere in campo un ulteriore punto di vista, quello di un cantastorie che con una macchina da presa entri a raccontare la contemporaneità, non come gesto privato o familiare, ma a nome e per conto di un ente pubblico, il Parco Naturale del Gargano.

Con queste premesse, noi dovremmo restituire un quadro, a temporale, in bianco e nero, in grado di rappresentare continuità e contemporaneità.
Allora, un gruppo di artisti che portino oggi in giro per il mondo quei canti e quelle rappresentazioni, come i Cantori di Carpino fanno oggi, quali emozioni cercano per rimettere in scena ciò che non esiste più? Quali molle emotive, a parte l’amore per la propria terra, fanno scattare per ricostruire quel mondo? Sono domande alle quali mi piacerebbe rispondere. La storia dei cantori è cosa nota specialmente da quando hanno cominciato a calcare le scene nazionali ed internazionali. Meno conosciuti sono gli studi socio-antropologici che ricercano le cause e le origini di quel tipo di rappresentazione: la serenata d’amore o di sdegno, il rapporto tra gli elementi narrativi di un racconto cantato e soprattutto il rapporto con la tradizione contadina e con gli elementi di frustrazione e di disagio che la vita dei campi e della pastorizia generava e che trovavano nel canto, nel ballo e nelle strofe un momento di esorcismo.

Un primo piano interpretativo che mi piacerebbe dare al filmato è considerare i vari aspetti della tarantella come rappresentazioni, nel loro insieme, di parole, musica e danza e, nel loro contesto, di corteggiamento, sfida, iniziazione. Mi rendo conto che questo può far venire meno quell’aspetto di raffinata analisi letteraria e musicale che il libro di Nasuti mette in evidenza, ma il film non è un libro e la possibilità di tenere insieme le cose potrebbe essere già una chiave di lettura.

Parole, musica e danza costituiscono il linguaggio, il testo con cui il contesto veniva rappresentato. Il contesto era fatto di corteggiamento, sfida, iniziazione ad un mondo che, al di là della retorica bucolica, era fatto di fame, di stenti, di disagi e di violenza. Quest’ultima, quasi una costante della vita dei campi, giustificava l’esistenza di un esorcismo teatrale. Quindi i due elementi – testo e contesto – diventano inscindibili, almeno all’interno di un film che a sua volta vuole essere la rappresentazione di entrambe. Si, credo che gli elementi non siano scindibili, nonostante alcune raffinate escursioni intellettuali di grande rilievo, una delle quali quella di Nasuti alla quale ci siamo ispirati, che propone analisi letterarie musicali e socio-antropologiche del fenomeno facendone capitoli separati di un libro.
È naturale che la trasposizione filmica supera la caratteristica della pagina di un libro, fornendo visioni sempre di insieme. Scriveva Diego Carpitella in un saggio sulla storia del cinema: “In cosa consiste il contributo cognitivo del documento cinematografico? Nel documentare cose che la parola e lo scritto non possono costituzionalmente restituire….la parola può descrivere, non documentare”. Poi, con profetica coscienza, come solo un grande intellettuale sa fare, aggiunge: “oggi siamo di fronte ad apparecchiature sofisticate che possono dare documenti pertinenti e coerenti, anche se questa evoluzione tecnologica corrisponde spesso ad una eclisse e una trasformazione delle culture”.
Per questo eviterei una ripresa della rappresentazione come fosse teatro filmato, preferendo la ricostruzione di ciascuna scena.
Ci faranno da guida, ciascuno per la propria caratteristica specifica alcuni testimoni.
Unico ed ultimo superstite è Antonio Piccininno, che racconterà la sua vita come origine del suo canto: l’isolamento sui monti da piccolo e il canto come antidoto alla solitudine. La storia di lui che racconta il “dover imparare a scrivere” ricorda l’origine della scrittura, la negazione di quello che Platone scriveva di Socrate: “Dunque chi crede di poter tramandare un’arte affidandola all’alfabeto e chi a sua volta l’accoglie supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve esser pieno d’una grande ingenuità, e deve ignorare assolutamente la profezia di Ammone se s’immagina che le parole scritte siano qualcosa di piú [d] del rinfrescare la memoria a chi sa le cose di cui tratta lo scritto”
Il suo canto è la sua vita perchè ne rappresenta in pieno i momenti salienti, i drammi, l’incontro fugace con la sua donna, fatto di un solo sguardo e di una decisione unilaterale, la serenata, e poi il matrimonio. Antonio Piccininno dice che quando non canta gli fa male la testa, e “portare una serenata” è ancora il miglior modo di allietare le serate. Ecco allora che trova in se stesso evasione, impegno, informazione e svago. Le sue melodie, insomma, sono il suo l’equilibrio.

La guida spirituale del nostro viaggio è il Maestro Roberto De Simone, uno dei massimi esperti al mondo di musica popolare e delle connessioni tra questa e la realtà socio-culturale che l’ha di volta in volta generata, fautore di “una musica popolare innovativa che non è di ricalco nè di riproposta”. A partire da una rigorosa ricerca sui documenti originali egli crea una messa in scena del tutto nuova, ma estremamente aderente all’anima della tradizione da cui discende.
L’altra guida sarà il Professore Francesco Nasuti, studioso delle forme letterarie e musicali dei Cantori di Carpino nonchè autore del volume citato da cui abbiamo tratto libera ispirazione per questo filmato.

Scopo del film è anche quello di lasciare una traccia di questa memoria su di un supporto i cui diritti appartengano al pubblico.

 

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