«Favole pugliesi» dalla A alla Z
Ponte per la memoria
di ENRICA SIMONETTI
«Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)», diceva Antoine de Saint Exupéry. Affermazione in parte vera, ma se consideriamo il mondo delle favole, queste costituiscono sicuramente il «ponte» della memoria, quello che ci permette di viaggiare nel tempo senza alcuna dimensione del tempo. Nate forse in Oriente, diffuse nel mondo da milioni e milioni di storie orali, le fiabe e le favole (le prime popolate di fate, orchi e giganti; le seconde abitate invece dagli animali) sono sopravvissute non solo alle generazioni ma anche ai confini geografici. Spaziano tra foreste nordiche e masserie mediterranee; convivono con popoli ricchi e viziati e con la povertà; si nutrono di tradizioni popolari, di detti e proverbi figli del folklore.
Un universo popolare che sembra senza limiti. Una barriera però esiste ed è quella del ricordo: un po’ come nella canzone popolare, ci sono testi capaci di sopravvivere all’oblìo e altri, invece, destinati a scomparire. Forse è stata questa la spinta che ha portato il giornalista Manlio Triggiani a compiere una vasta ricerca nei testi perduti e mai più ristampati, nelle tradizioni orali e nei riti antichi, al fine di recuperare i racconti della nostra terra: dal lungo lavoro è nato il volume Favole pugliesi (Progedit, pp. 175, euro 18), con prefazione di Raffaele Nigro e illustrazioni di Clara De Cristo, Silvano Pica, Renata Salvemini.
Sessanta favole con altrettanti modi di vedere la nostra storia, perché ciascun racconto porta con sé un pizzico di saggezza popolare o di visione familiare e sociale del suo tempo. Manlio Triggiani ha raccolto tutto questo materiale «made in Puglia » rieditando ciò che sembrava introvabile e spiegando nell’intro – duzione la convinzione di quanto il mito (citando Mircea Eliade) faccia parte delle nostre origini, del nostro vagare nel tempo. Sì, perché le fiabe – nonostante il loro dipanarsi in un mondo impossibile e fantastico – hanno in realtà una grande connotazione quotidiana e anche quando descrivono fate o cavalieri, topi e suocere, parlano soltanto di noi.
illustrazione librodi favole di ManlioOgni fiaba è stata catalogata secondo un ordine alfabetico guidato dal principio che esse «reclamizzano»: dalla A alla Z, partendo da «accortezza» (con la storia del grano e del massaio), si finisce a «zizzania», leggendo la vicenda dei cani che odiano i gatti e dei gatti che odiano i topi. E tra creature incredibilmente lontane da noi, si percorrono molti dei nostri sentimenti, volando dalla benevolenza all’ingratitudine, dalla paura alla sincerità. La prima scoperta che questa ricerca porta al pubblico è che le fiabe e favole pugliesi sono tante, tantissime e che hanno in se stesse la spiegazione di non pochi proverbi arrivati dai tempi antichi ai giorni nostri. Ecco la madre che copre le magagne dei figli, facendoli crescere in ogni agio ed eccovi l’af fermazione che «mazze e panelle fanno i figli belli»; o, ancora, nella favola «I tre consigli» ritroviamo detti popolari sempre validi, come l’universale affermazione: «Chi lascia la via vecchia e prende la nuova, sa ciò che lascia, e non sa ciò che trova».
Famiglie e invidie, gelosia e unione. Tutto è nelle favole, compresa la nostra voglia di immaginazione, il volo fantastico della mente e la sua concreta ricaduta per terra. Un librarsi e ripiombare nella realtà che accomuna tutte le fiabe e le favole, da quelle del grande Esopo ai più recenti La Fontaine, Grimm, Andersen e tanti altri. È bello fare un parallelo tra la favolistica classica di questi autori conosciuti in tutto il mondo e le favole pugliesi, alcune a noi note, altre – ritrovate in questo volume – completamente dimentic ate. Raffaele Nigro nella sua prefazione nota anche l’atte ggiamento degli animali delle favole pugliesi, qui meno aggressivi e mostruosi che nei racconti fantastici nordici. Uno stile che è il riflesso letterario e culturale di mondi diversi probabilmente, ma accomunati dalla semplicità che anima tutte le fiabe: portatrici di saggezza, destinate a chiudersi con un lieto fine e ambientate nella natura.
Se Nigro teme che il mondo di oggi, imbarbarito e inebetito dalla tv, sia meno prolifico di fantasia; se l’autore Triggiani si chiede quanta utilità abbia il risvegliare dalla sonnolenza questo mondo antico e popolare, la spiegazione c’è e si trova nelle ultime pagine del volume: due fogli non scritti e lasciati con il titolo «La mia favola», un suggerimento, uno stimolo a creare nuovi ponti per la nostra fantasia.
Discussione
Non c'è ancora nessun commento.