Scritto da Gianfranco Pazienza
Il Diario Montanaro
Mentre il Paese, anche quello che ha votato per l’attuale Governo, è paralizzato dai problemi giudiziari e patrimoniali del nostro premier, sul Gargano si avviano le "riforme" sulla giustizia.
Nel 2004 le inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA)di Bari, portavano in carcere la "Mafia Garganica" e pure qualche uomo dell’arma. Si parlava finalmente di una stagione nuova, capace di liberare il nostro territorio, anche di quegli intrecci tra affari e politica: malaffare e politica. Dopo quattro anni, celebrati i processi per i capi di imputazione minori, come il porto abusivo di armi, e scaduti i termini della carcerazione cautelare per i reati di mafia, per cui non possono essere celebrati i processi per quei reati, gli arrestati tornano in libertà.
Franco Romito (42 anni), non più amico della famiglia Libergolis, viene ucciso quasi subito, in un agguato eseguito nei pressi di Manfredonia. Era di martedì, il 21 aprile 2009. Anche Ciccillo Libergolis (67 anni) – il capo famiglia -viene sparato e ucciso di martedì, lo scorso 27 ottobre 2009.
Se si fossero celebrati quei processi, anche se lunghi, ma giusti, forse Romito e Libergolis sarebbero vivi; le loro famiglie non starebbero ora recuperando i corpi dei loro congiunti, crivellati dai proiettili. Forse (dico forse) la faida garganica avrebbe esaurito la linfa di odio, e forse, si sarebbe potuta arrestare. Così com’era nelle intenzioni della DDA. La celebrazione di quei processi avrebbe consentito di spiegare e far comprendere molte cose della degenerazione vissuta sul Gargano in quegli anni. Tra il 1998 e il 2004 il giro di miliardi immessi nel tessuto economico e sociale era ingente e appetibile al malaffare: non meno di duemila miliardi per il Contratto d’area di Manfredonia e li si sposta la faida e la mafia garganica; una settantina di miliardi per il Grande Giubileo del duemila e a san Giovanni Rotondo arriva la mafia dei parcheggi e dei santini e arrivano i primi morti ammazzati; qualche decina di miliardi per il Parco Nazionale del Gargano (e arriva Sgaramella).
Quella retata di arresti del 2004, aveva messo in difficoltà lo stesso Tribunale di Foggia, non certo dotato di un organico sufficiente per tutte quelle inchieste. Inoltre due sostituti procuratori della repubblica in servizio presso quel tribunale, risultavano coinvolti nell’inchiesta, giudicati vicini alle famiglie mafiose.
Sempre quell’estate, poche settimane prima degli arresti, il 15 luglio 2004, veniva coinvolto in un tragico e rocambolesco incidente tra cavalli e l’auto del Giudice Alessandro Galli, Presidente del Tribunale di Foggia.
Dunque, non si sono celebrati quei processi, ma si sono eseguite le sentenze.
Lo stile dei delitti mafiosi,inoltre, ha fatto scuola, coinvolgendo tragicamente anche molti ragazzi e ragazze, giovanissimi: aveva 15 anni Giusy Potenza, massacrata con un masso il 12 novembre 2004 (sospetto giro di prostituzione e droga) sulle scogliere dell’ex Enichem a Manfredonia; aveva 18 anni Giorgio Potenza, studente impegnato nel movimento contro tutte le mafie, dilaniato da un micidiale quanto perfetto pacco bomba (movente "ufficiale" un gesto di gelosia che era diretto al padre) arrivato a casa via posta ordinaria il 20 marzo 2006; ha 17 anni Alessandro Ciavarella di Monte Sant’Angelo, quando scompare la a sera dell’11 gennaio 2009 dopo essersi incontrato con i suoi amici (cattive compagnie?), e non rientra più a casa.
Oggi le associazioni dei giovani del gargano contro le mafie, l’associazione Libera e festAmbiente Sud (legambiente), Carpino Folk Festival, a San Nicandro, Manfredonia, Monte Sant’Angelo, ricevono dal Governo un’altra mazzata: con la finanziaria vengono venduti i beni confiscati alla mafia. Oltre al danno la beffa. Magari quei beni ora possono essere riacquistati con i soldi che anonimi rientreranno, "ripuliti", attraverso lo scudo fiscale. Comunque questi giovani sono migliori di quei politici e di quei sindaci che per rassicurarci di queste morti ammazzate, dicono che sono "normali", avvengono altrove. Ad ogni modo, se si fossero celebrati quei processi ne sapremmo di più, e potremmo dire a questi ragazzi del Gargano che il nostro stupendo e fragile promontorio non può morire di mafia, di speculazione edilizia, di incendi e aggressione alle coste. Ma c’è una nuova generazione, generosa e accogliente, che spera (e non spara) in un rinato Promontorio. Se solo quei processi, non brevi, avessero potuto aiutarci a svelare le verità.
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