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Ritrovo in un paese sperduto

Jonas era appena arrivato con la sua moto a vedere il lago di quella che una volta chiamavano Lesina, diretto nel luogo dove da decenni viveva, e gli venne in mente della sua prima volta che raggiunse il Gargano da ragazzo: era un ragazzo ventenne che viveva ad Harlem, pieno di disagio per quella che era la società e le regole che imponeva, allora decise di affrontare il viaggio della sua vita. Aveva visto molti partire e non ritornare, ed ora sentiva che toccava anche a lui, era il suo turno. Doveva affrontare il suo viaggio, quello che trovare se stesso.

Decise allora di prendere il primo volo verso la vecchia Europa che le sue tasche permettevano. Giunse a Roma, quella città che nei millenni era stata la capitale del mondo intero. In viaggio per l’Italia senza una meta precisa, cerco’ di andare a vedere quella città tanto nominata dai suoi genitori una volta, per la tragedia delle case che crollarono a causa di un terremoto, inghiottendo centinaia di persone, e di lì scese verso il mare eppoi verso le coste del piccolo Molise. Giunto agli inizi della Puglia scorse in lontananza levarsi in mare modesti rilievi verdeggianti, così decise di visitare il promontorio. E mentre si inoltrava il sole sorgente gli prometteva di riscaldargli la giornata, i riflessi sulle acque del lago di Lesina emulavano i colori del cielo albeggiante.

Alle spalle il lago e monte Delio si ritrovò un altro lago, quello di Varano a riflettargli forse l’azzurro del cielo. Di lì in avanti seguì sempre più stupito il succedersi dei paesaggi, a destra irti rilievi, a sinistra il lago ed in lontananza delle isole. Ad un tratto un mucchio di case che suggerivano un vecchio indumento intimo femminile usato per contenere il traboccare mammellare. Tali case abbarbicate su una piatta collina ne avevano invece ricoperto una più modesta. Non fù per un motivo preciso che, appena giunto un vecchio cartello, decise di uscire dalla strada, per raggiungere questo piccolo paesino.

Una lunga ma leggera salita prima di giungere in una piccolissima piazza avvolgente. Persone che camminavano in quel ristretto anfiteatro, vecchietti sulle panchine a fissarlo per qpogliarlo dei suoi segreti più intimi, il tutto molto lontano dal caos delle città nordamericane. Si fece coraggio ed armato del suo scarso italico idioma, si diresse verso uno dei tanti bar che riempivano la piccola piazza, ordinando una birra locale. Al barista chiese informazioni sul luogo, quali erano i monumenti e i luoghi da visitare, ma ben presto si accorse che essi scarseggiavano nella conoscenza comune. Il ragazzo chiamo’ il più maturo proprietario che gli rispose: “vai a parlare con quel vecchio seduto là fuori che ti saprà ben indirizzare”. Incoraggiato Jonas si avvio’ mentre alle spalle il barista avvertiva il ragazzo ed alcune persone al bancone:”godiamoci la scenetta, l’ho mandato dal visionario Giotto, che gli dirà una delle sue fesserie. Appensa giunto al suo cospetto Jonas, si presentò dicendo:”Buongiorno sono un visitatore d’oltreoceano e vorrei sapere che cosa c’è da vedere qui in loco”.

Il canuto Giotto rispose disturbato dal torpore iperglicemico: ”qui non c’è alcuna cosa che possa stimolare appieno il tuo nervo ottico, tranne i paesaggi di campagna”. Insoddisfatto, Jonas continuo’: ”scusi intendevo chiedere quali sono i monumenti e i posti di interesse da visitare”.

Giotto rispose: “ Qui non ci sono luoghi, qui si visitano cose non visibili”. Jonas meditò sulla risposta non trovandone significato. Forse non si era espresso bene oppure non aveva capito la risposta, quindi si girò in aiuto verso il barista, che vide sghignazzare attorniato da persone sorridenti. Allora ritornò da lui e gli chiese spiegazione, ottenendo un:” non fare caso a quello che dice e un visionario con qualche rotella in meno; lo era anche da giovane e nel tempo ha capito che immaginava sciocchezze”.Jonas per quel giorno decise di riposarsi cercando da dormire, si risveglio’ nel pomeriggio e decise di fare un giro in paese. Vide stradine anguste ed un fantasioso modo di addossare le case, salite e scale, tante scale, diseguali, a volte alte, a volte bassissime, spesso insidiose per lo straniero. La sera potè godersi lo spettacolo che forse una volta aveva visto nei film su Harlem, tutta la gente sedersi fuori e chiacchierare, godersi il fresco venticello serale.

Lui tento’ di socializzare e presentarsi nel migliore dei modi a quella gente. Avendo raccontato un po’ di sé chiese informazioni sul vecchio Giotto adoperando il compreso metodo di parlare di un argomento per indurre questa gente a commentare ed incentrare la discussione principalmente su di esso: aveva capito che era gente molto chiacchierona, a cui bastava uno spunto per scrivere epopee. Riuscì a capire che il vecchio Giotto era una persona diversa dalla maggior parte dei suoi coetani, non per gravi carenze fisiche o mentali, bensì per l’apertura mentale e la fulgida immaginazione. Egli aveva molte idee che voleva realizzare ma non vi era riuscito. Molti decenni fa lui faceva parte di un gruppo di giovani che organizzavano dei concerti popolati da persone agli occhi dei più poco raccomandabili, essi vestivano abiti usurati e facevano poco uso dell’acqua e del sapone. Perciò la gente del posto decise di riprendersi i suoi spazi impedendo ai forestieri di partecipare ai concerti, che poi furono annullati e sostituiti da musica più adatta all’epoca moderna. Jonas chiese che tipo di musica si eseguiva durante questi concerti e si sentì rispondere:”musica dei vecchi, con chitarre stonate e tamburi fatti con pelli di capra…”. Jonas aveva iniziato a capire che tra questa gente il disprezzo era la miglior arma per rendersi lindo agli occhi degli altri, ma che si potevano fare molte cose, a patto poi di criticare gli altri che lo fanno. L’immagine descritta gli fece ricordare che suo nonno gli suonava qualche volta quel blues ormai caduto in disgrazia tra il popolo ideatore,e questo da bambino lo rendeva molto felice, erano i pochi ricordi di suo nonno. Si chiese allora perché tanto disprezzo della gente per una musica del popolo. Quindi il giorno dopo cerco di intratterere discussione con il vecchio Giotto per capirne qualcosa in più: ”Mi scusi se disturbo, ieri le ho chiesto che cosa posso visitare e lei mi ha risposto che qui si visitano non luoghi, che cosa significa?”. Giotto rispose: “siediti, ma non prima di avermi potato qualcosa da bere”…”dunque, qui si visitano morti ed i loro lamenti..”. Dopo che Jonas ebbe chiesto chiarimenti, si sentì rimproverare: “sarai pure forestiero, ma non capisci proprio niente: qui si visitano morti e si odono i loro lamenti. Un tempo i lamenti dei morti erano ascoltati dai vivi, ma venne un giorno in cui i vivi seppellirono definitivamente i morti e non gli fecero più omaggio coi fiori…”.

Il gesto di onorare i morti coi fiori era ormai caduto in disuso da qualche decennio, che cosa intendeva con tutta questa storia Giotto?Jonas azzardò: ”scusi, ma io non parlo molto bene l’italiano, per cui chiedo se puo’ esprimersi più esplicitamente con me, per favore, mi spieghi le cose come farebbe ad un bambino”. Giotto rispose :” Povera Italia, allora un tempo qui i cafoni modulavano i loro lamenti accompagnandoli con una musica grezza eseguita da chitarre fatte con freni di biciclette e tamburi di pelle di capra; ma figlio mio, i loro lamenti, seppur espressi con strumenti musicali di fortuna, giungevano in cielo e con le loro serenate hanno rubato le donne più belle. Dopo la prima modernizzazione a seguito della fine della seconda Guerra nessuno faceva più quella musica e a nessuno piaceva, finché le visite frequenti di molti esploratori fecero rinascere l’apprezzamento e alla fine del millannio scorso i pochi conoscitori rimasti venivano osannati e i giovani erano avidi delle loro esibizioni. Ma quando divennero morti, la gente smise di ascoltare i loro lamenti e quella musica venne disprezzata fino ad esiliare dalla società i paesani che ancora la eseguivano. Ora ne sono rimasti pochi e fra poco i loro canti diventeranno lamenti di morti. Un tempo noi amavamo quella musica e quella cultura, tutti i nostri sforzi erano rivolti a garantirne una degna espressione, ma abbiamo fallito e perso nello scontro contro le forza modernizzatrici, che in realtà sono espressione del conservatorismo più estremo..uno scrittore antico diceva:tutto deve cambiare affinché tutto resti com’è. E’ una questione sociale, non solo prettamente musicale. Ha vinto l’omologazione alla cultura dominante, che ci vuole tutti uguali nei pensieri e nei comportamenti per garantirsi il futuro nel nostro consumismo”. Le parole di Giotto sembravano le parole di un vecchio socialista, uno di quelli che il secolo scorso avevano sfidato il capitalismo in imprese dalla riuscita molto improbabile, come realizzare società in cui vigeva la comunanza dei beni, ideetanto lontane dalla sua società occidentale….

Ma Jonas sentiva che Giotto poteva insegnargli molto, per cui decise di carpine quante più informazioni su chi fossero i sommersi dalla cultura moderna e potessero fargli sentire i canti proibiti. Capiì che Giotto non erano un grande esecutore, ma conosceva molti canti e molti aspetti della vecchia cultura e che in gioventù era stato una forza viva nel promuoverla, ma che si era scontrato contro l’insormontabile scoglio della integrazione sociale con gli altri paesani.

Jonas fece visita ai profughi della musica popolare e con una modesta videocamera ne fermò a futura memoria i gesti e le espressioni, nonché i lamenti.

Spesso nei discorsi di Giotto aveva sentito parlare di un vecchio edificio crollato ed abbandonato dall’interesse comune; tale costruzione era situata nella parte piana delle campagne cittadine e molto probabilmente era una chiesa qualche secolo prima. Un giorno decise di farne visita e s’inoltrò tra rovi e macerie: che scempio, un edificio di tal importanza per questo popolo, lasciato alla furia del tempo, abbandonato al succedersi delle stagioni, dimenticato dalla stessa gente che lo aveva costruito. Quel giorno decise che qualcosa si doveva fare, non riflettè molto su come usare i suoi pochi risparmi accumulati in qualche annetto di lavoro nel piccolo borgo, sotto copertura di un comportamento moralmente onesto e di una linda reputazione (aveva ben celato i suoi incontri con Giotto e gli altri diseredati), decise di comprare quel piccolissimo fazzoletto di terra desolata.

Con duro lavoro rimosse la vegetazione che copriva quella vecchia chiesa e ne tento di rimettere in piedi le macerie. Vi riusci, con imperturbabile dedizione e vi depose le memorie dei lamenti dei morti che negli anni aveva raccolto. Poi decise di rendere pubblico il suo lavoro e a decine nuovi esploratori si presentarono, da lui ospitati, e fecero risplendere la gloria dei morti. Il suo ruolo divenne quello di custode di questa nuova biblioteca di Alessandria, situata nei campi di uno sperduto paese del Sud Italia. E lì per decenni custodì il suo tesoro dell’archivio di Sant’Anna, avendo trovato finalmente il senso del suo viaggio. Ne era valsa la pena lasciare tutto quello che aveva nella moderna America, per salpare daoccidente ed approdare ad oriente e trovare il suo ruolo nel ricordare i lamenti dei morti.

Rocco D’Antuono

Discussione

3 pensieri su “Ritrovo in un paese sperduto

  1. ma è un racconto,vero?!

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    Pubblicato da Crono88 | settembre 13, 2009, 4:46 PM
  2. no una storia vera, solo che deve ancora accadere,e spero che riusciremo ad accogliere Jonas quando arriverà 😉

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    Pubblicato da utente anonimo | settembre 13, 2009, 6:31 PM
  3. comunque complimenti!bellissimo!

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    Pubblicato da Crono88 | settembre 14, 2009, 5:14 PM

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