//
you're reading...
Tutti i post

Quando sul Gargano c’era lo sciarabba’

Libro di viaggio del 1907 scritto da Beltramelli e riproposto da Giuliani
Un viaggio nel Gargano di inizio Novecento con la penna del giornalista-scrittore Antonio Beltramelli. Sulle su orme si ripropone Francesco Giuliani che ha curato l’edizione moderna del testo scritto dall’autore romagnolo (nacque a Forlì nel 1979, morì prematuramente nel 1930).
Sceso dalla stazione ferroviaria di Apricena (quella lungo la linea del promontorio), lo scrittore-giornalista si sposta a San Marco in Lamis e poi visita San Giovanni Rotondo, Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Peschici, Rodi Garganico, Vieste, la Foresta Umbra, la zona dei laghi di Varano e Lesina ama anche Vico, Ischitella, Carpino, Cagnano Varano e Sannicandro. «Ovunque – sottolinea Giuliani – vuole conoscere e approfondire, soffermandosi anche sui mietitori, i pescatori, i poveri che abitano nelle caverne.

Discussione

2 pensieri su “Quando sul Gargano c’era lo sciarabba’

  1. Avatar di Sconosciuto

    Antesignano di Mario Soldati, i cui libri di viaggio si leggono ancora oggi con piacere, e tra questi il “Il Gargano”, apparso in prima edizione nel 1907 nell’ambito della collana “Italia Artistica” diretta da Corrado Ricci per l’Istituto italiano d’arti grafiche di Bergamo. Ora la ristampa per i tipi del “Rosone” nella collana “Testimonianze” diretta da Benito Mundi. Quanto basta per rivivere i due volti della “montagna del sole” dell’epoca: da una parte descrive i pregi naturalistici, dall’altra i segni di un’arretratezza dura a morire. Il Gargano di allora ha bisogno di ferrovie, di strade, di infrastrutture, di alberghi, di pulizia ma presenta anche grandi doti di ospitalità e un potenziale economico che non sfugge all’occhio critico di Beltramelli. Una sorta di “bilancio di previsione” di un boom economico-turistico che, di là a pochi decenni, avrebbe fatto del promontorio, un’autentica potenza nel mondo dell’industria turistico-alberghiera. E lungo le strade, quasi sempre impercorribili, Beltramelli ci va con l’ausilio di uno sciarabbà trainato da un mulo, una sorta di diligenza ante litteram, scrivendo pagine efficacissime e veritiere in cui emergono le sue doti di straordinario descrittore di uomini e luoghi, come sottolinea Giuliani nel suo saggio introduttivo intitolato “A ritroso nei secoli”. Il libro è suddiviso in sette capitoli capaci di essere letti senza la necessità di una pausa tanto sono i motivi e le occasioni per tuffarsi in un passato in alcuni tratti dimenticato. Sceso dalla stazione ferroviaria di Apricena (quella lungo la linea del promontorio), lo scrittore-giornalista si sposta a San Marco in Lamis e poi visita San Giovanni Rotondo, Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Peschici, Rodi Garganico, Vieste, la Foresta Umbra, la zona dei laghi di Varano e Lesina ama anche Vico, Ischitella, Carpino, Cagnano Varano e Sannicandro. «Ovunque – sottolinea Giuliani – vuole conoscere e approfondire, soffermandosi anche sui mietitori, i pescatori, i poveri che abitano nelle caverne. Rende il Gargano in modo vivido, con una scrittura chiare ed efficace, da giornalista consumato, per il quale questo libro segna la fine di un’epoca, “quella dei viaggi scomodi e avventurosi nel Gargano, che hanno il loro simbolo nell’uso della diligenza”». Il volume è arricchito da foto d’epoca tratte all’edizione originale. Uno scrigno di “tesori introvabili”. Dalla Gazzetta del Mezzogiorno – a.d’a.

    "Mi piace"

    Pubblicato da festival | giugno 9, 2006, 4:38 PM
  2. Avatar di Sconosciuto

    Antonio Beltramelli

    Il Gargano, Bergamo, Istituto Italiano d’arti Grafiche Editore, 1907

    “… Innanzi, sul fondo, simile ad un immenso velario leggermente azzurro, si eleva il promontorio del Gargano. A levante, biancheggia sopra una cima dispoglia che scende a picco sul piano, un paesello che mi dicono esser Rignano, il belvedere delle Puglie. Di lassù si deve scoprire compiuta l’immensità di questi piani.

    La corriera (forse non fu mai più ironico il termine per questa vecchia carcassa che tre buscalfane trascinano) procede fra nembi di polvere; ne siamo avvolti; fra l’afa e la polvere si respira a stento; la gola è irritata e inaridita. I miei compagni di viaggio: una vecchia donna e un prete, sonnecchiano: le grosse mani sudice, abbandonate sul grembo; il capo sobbalzante ad ogni sobbalzo di questa scatola infernale che, ruzzolando, ci conduce chi sa verso quale nuovo martirio. Da tre ore si cammina e ne avremo più del doppio prima di giungere a S. Marco in Lamis. (…)

    Clicca sull’immagine per ingrandirla

    Il versante che guarda il Tavoliere è brullo; su la roccia cresce qualche raro cerpuglio; nelle strette e ripide valli che si infoscano in burroni non scorre un filo d’acqua. L’aridità continua. A poco a poco la scena varia, il piano si dilegua; fra le rapide svolte si intravvede qualche attimo ancora, sperduto laggiù, affocato sotto la grande afa meridiana; un senso di sollievo mi avvolge: siamo nel pieno dominio della montagna. La vegetazione compare; piccole selve di roveri, siepi fiorite, prati verzicanti si susseguono su per le coste ininterrottamente; è la vera pace del verde, la pace che culla l’anima sognante.

    Qualche villetta sperduta, qualche capanna di pastore, qualche convento solitario sorgono ad animare la solitudine.

    Osservo una chiesuola cinta d’archi che rposa sotto una rupe squarciata, di color rossigno; riposa nell’ombra e accanto a lei stormisce un gruppo di querci centenarie. Non so quale dolcezza infantile mi avvolga; qualcosa di simile fu nella mia vita, molto lontanamente, quando mia madre viveva, quando le sue parole bastavano alla mia fede e l’anima, su la traccia di quelle parole, sapeva un mondo che ora non conosce più.

    Più oltre la strada sale verso gli alti pascoli, poi ridiscende; biancheggiante nel sole, appare, adagiata nel seno di una breve valle, S. Marco in Lamis.

    La città si distende sotto l’antico convento di S. Matteo che sorge nella parte più elevata della valle; è ampia, sudicia e caratteristica, come la maggior parte delle città del Gargano.

    Stante l’ora in cui vi giungo, la vita vi appare torpida e lenta. Pochi sono i passanti; qualche monello in camicia (una camiciuola che si sforza di giungere alle latitudini necessarie e che si arresta a mezzo cammino, lembo inutile al pudore, conservato chi sa per quale tradizione ignota!); qualche donna che torna dalla fonte o meglio dalla cisterna, ché fonti quassù non ne esistono; qualche pastore dall’incedere stanco che, in grazia delle sue cioce, passa silenziosamente senza farsi avvertire. Poca cosa, in compenso la città dorme. Tutte le bottegucce sono chiuse, non posso rifornirmi di tabacco e a tale scopo torna inutile ogni promessa di lucro al mio postiglione se riesca a svegliare qualche proprietario di una rivendita governativa; egli risponde negativamente crollando le spalle; conosce bene i compaesani quando un pugliese dorme non cura guadagno; è più ricco di un Carnegie o di un Rothschild.

    La città si distende e si agglomera lungo una via abbastanza vasta che la percorre in tutta la sua ampiezza dall’est all’ovest. E’ leggermente in salita, pessimamente selciata, con frequenti tracce di spazzatura abbandonata alla delizia di alcune galline che vi razzolano crogiolandosi al sole. Le case hanno un aspetto uguale, piuttosto misero; si accalcano l’una su l’altra quasi per tema che lo spazio vengo loro a mancare; molte finestre cono adorne di fiori, i quali pongono, su tutto questo sfolgorio di muri soverchiamente bianchi, una nota varia che ne addolcisce un poco l’asprezza.

    San Marco in Lamis pare abbia avuto origine fra il settimo e l’ottavo secolo per opera dei pellegrini Longobardi che venivano a visitare il santuario di San Michele sul Gargano.

    Secondo il Troyli i Longobardi, risiedenti a Benevento in quel tempo, per opera del vescovo Barbato (che reggeva allora, oltre quella di Benevento, la chiesa di Siponto rimasta senza pastore in causa delle invasioni barbariche) abbandonarono l’idolatria per seguire la fede cristiana. Ebbero in grande venerazione l’Arcangelo Michele, convinti ch’esso fosse stato duce della loro conversione.

    Data tale credenza, si stabilì una continua corrente di pellegrini che salivano reverenti alla sacra grotta di Monte Sant’Angelo. Allora fu che molti presero stabile dimora in quei dintorni, formando dieci eremitaggi, fra i quali è da annoverarsi San Marco in Lamis.

    I pellegrini eressero le loro prime capanne in quel luogo per raccorsi intorno al convento di San Matteo (allore era di San Giovanni, prese poi in nome di San Matteo per la reliquia del Santo portatovi dai minori osservanti ai quali era stato concesso) sorto, come afferma il De Leonardis, sopra un antico tempio di Giano.

    Il paese, che viene lentamente modernizzandosi, sì che, toltone i pastori i quali scendono raramente dalle loro solitudini, non altri indossa il pittoresco costume della regione, era popolosissimo. Ora, stante la grande corrente di emigrazione verso l’America, si spopola lentamente. Se alcuni lati esteriori e pittorici vengono scomparendo sotto l’influsso pareggiante della civiltà, rimangono vive tradizioni e costumanze originalissime, le quali caratterizzano l’indole di questa fiera popolazione.

    Un tempo era in grande onore il così detto fidanzamento violento che ora viene praticato su piccola scala e quasi più non si usa stante la particolare prepotenza di poco simpatica applicazione. Dett fidanzamento consiste in ciò; allorché un giovane prende a benvolere una ragazza e non si vede corrisposto e teme che, seguendo le comuni formule in uso, ad una domanda di lui ella debba rispondere con un diniego, ricorre agli estremi; attende, per lo più di sera, la ragazza designata e, quand’ella non se ne avveda, con rapido gesto le strappa il fazzoletto e parte con l’agognata preda.

    Per tale perdita la ragazza è inesorabilmente compromessa, ella appartiene ormai anima e corpo al piccolo ladro.

    Non si intende sempre con facilità la ragione dei vari domicili dell’onore, bizzarro sentimento che ha le instabilità e le adattabilità degli elementi; comunque sia, la cosa non era troppo comoda per le fanciulle di San Marco in Lamis e, nel secolo scorso, vi fu chi ne mosse giuste lagnanze al vescovo di Foggia, il quale, partitosi inpompa magna dalla sua residenza, giunse alla città dei monti e vi tenne un corso di prediche per combattere il suddetto costume; delle quali prediche sono rimasti celebri due versi che si citano tuttavia:

    ….. Maledetto maledetto
    Colui che strappa il fazzoletto!

    Altra usanza caratteristica a San Marco in Lamis è la cosidetta Processione delle fracchie o, in più chiaro eloquio: processione delle fascine. Si compie la sera del giovedi santo. I sacerdoti, recanti i simboli della religione, sono seguiti da una lunga teoria di popolani disposti in due file. Detti popolani indossano una lunga veste e recano, alla cima di una stanga, una fascina imbevuta di sostanze resinose. Ad un dato punto, ognuno accende la sua fracchia ed è allora un immenso rogo, una fiumana di fuoco che si muove lentamente per le vie della città. La scena è di un bello orrido insuperabile. In questa esaltazione del fuoco rivive l’antica anima pagana, il culto alla forza dell’elemento, che è per noi come il fulcro fra i due termini estremi: la vita e la morte.

    "Mi piace"

    Pubblicato da festival | giugno 9, 2006, 4:45 PM

Scrivi una risposta a festival Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Archivi