C’è una voce che rischia di perdersi: non parla soltanto di musica, ma anche di un sud antico e difficile, emarginato e povero.
La forza e la caparbietà del sonatore popolare, scomparso alcune settimane fa. La sua figura sarà ricordata domani a Foggia.
Saranno ospiti i Cantori di Carpino e quanti lo conoscevano. Verrà presentato il libro di Enrico Noviello «Andrea Sacco suona e canta. Storie di un suonatore e cantatore di Carpino» e giovani suonatori e cantatori del Gargano si esibiranno "all’uso antico". La manifestazione fa parte del ciclo "chi balla non muore mai".
La gazzetta del mezzogiorno celebra l’evento proponendo uno stralcio della prefazione di Franco Cassano al libro di Enrico Noviello.
C’è una voce che rischia di perdersi, una voce che non parla solo di musica, ma anche di un Sud antico e difficile, povero ed emarginato, ma non per questo privo di forza e di libertà, mai povero di spirito, di gusto picaresco della vita, di passione. Andrea Sacco è diventato noto da quando, nel corso degli anni Sessanta, alcuni studiosi della musica popolare scoprirono il suo talento e la sua storia, lo tirarono fuori da un destino di marginalità e silenzio, e lo proposero all’attenzione di un pubblico vasto. Ma il nostro mondo ha continuato ad andare per il suo verso, quello della commercializzazione di tutto, del consumo facile ed immediato, della sostanziale disintegrazione di altre forme di vita, di altri modi di vivere e cantare. Non si tratta della semplice dissolvenza dell’oblio, perché il nostro mondo è sempre in cerca di sapori nuovi, di degustazioni da offrire al pubblico colto e a quello meno colto. Tutti i suoni vengono risucchiati nella turbina del mercato e nel carnevale dei gusti, per essere divorati e poi espulsi, alla fine del quotidiano banchetto. L’«altro» diventa una risorsa della grande macchina del successo, e anche la musica popolare può essere usata e gettata via nelle grandi adunate tribali del nostro tempo. In questo mondo, che getta e dimentica in fretta, Enrico Noviello, anche lui un gitano spirituale, è stato attratto dalla figura di Andrea Sacco, dalla miscela di fedeltà alle origini e di libertà interiore che lo caratterizzano. E allora è nato il rapporto, l’amicizia, quella possibile tra due uomini così lontani e così vicini. Da un lato il discepolato musicale, il desiderio di imparare l’arte di Sacco prima che essa si estingua, dall’altro la curiosità culturale ed umana per una persona e per una forma musicale legata al tempo stesso al controllo della comunità, ma anche ad una vita insieme libera e orgogliosa. Una vita che a lungo non è stata facile, perché la musica era sì una forma di celebrazione della comunità, ma anche un’attività che poteva apparire deviante. Perché questo è infatti il tratto particolare della figura di Sacco, quello che Noviello cerca di ricostruire nei suoi lunghi e pazienti colloqui, alla caccia delle analogie e delle differenze esistenti tra il proprio percorso e quello del maestro di Carpino. In una società contadina il musicista non è il divo dei nostri giorni, una di quelle figure inseguite dai codazzi isterici dei fans, un uomo, almeno nella maggioranza dei casi, legato alla gigantesca macchina dello spettacolo e dell’intrattenimento. In una società contadina, il musicista è un uomo posseduto da un demone, che lo spinge verso un’attività insieme richiesta ed emarginata, ammirata e sospettata. L’artista è tenuto a distanza, anche se, prima o poi, di lui tutti hanno bisogno, perché la musica fa irruzione nelle nostre vite soprattutto per aiutarle a comunicare, a celebrare i passaggi, i momenti in cui le parole da sole non bastano e bisogna far partire le corde e i tamburi. (…) Andrea Sacco porta con sé la chitarra dovunque: in guerra, al posto del moschetto, e, anche in prigionia, è con la chitarra che riesce ad uscire dall’anonimato, «il giorno stavano tutti intorno a me (?) sono stato sempre un compagnone». L’anarchico-comunista Sacco non si sente guidato da nessuna missione storica. La storia lo attraversa, lo sradica e lo sbatte lontano da casa, lo porta in giro per il mondo, ma lui ha nella musica, nella voce e nella chitarra la sua unica bussola, la sua funzione sociale. E questa compagnia, la musica, il canto e la chitarra, dà a Sacco la forza di attraversare gli orrori dell’uragano della guerra, voluta da altri per ragioni imperscrutabili. Una guerra che non solo è stata persa, ma ha anche perso i suoi soldati, i contadini partiti per un fronte dove li aspettava la morte. Tutti noi conosciamo gli obelischi delle piazze dei nostri paesi, l’ecatombe contadina di cui si sono alimentati i sogni di grandezza. Nessuno dei compagni di prigionia di Andrea è tornato, così come nessuno dei soldati partiti da Carpino è tornato vivo. Ma Andrea fugge in Turchia e si salva, e può tornare. Ma non è l’unica volta in cui al suo paese lo danno per perso. Quando va a Napoli per farsi operare, al suo paese non sono ottimisti e fanno suonare la campana. Ma anche questa volta Andrea ce la fa contro tutti e contro tutto. E quando ritorna ha già pronta una canzone per festeggiare l’incontro con la moglie. E qui, come molte altre volte, le parole sono sue, non gli vengono imposte dal gruppo e dalla tradizione. Andrea tiene molto a ricordare che il suo è un contributo originale, creativo, non assorbito dall’eterna ripetizione dell’identico, dal cerchio infinito della tradizione. Anche quando lavora in campagna Andrea non vuole dipendere da nessuno (“io lavoravo per conto mio, non è che lavoravo per gli altri”). Una vita dura, accompagnata anche dalle malattie e poi dalla perdita progressiva della vista, quindi…
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Pubblicato da festival | aprile 27, 2006, 5:37 PMA un un mese e mezzo dalla sua scomparsa, la figura di Andrea Sacco, il patriarca dei Cantori di Caripino, giganteggia nella memoria collettiva. La riprova ieri sera, alla biblioteca provinciale, con la manifestazione dedicata al musicista e «cantatore» novantaquattrenne che amava ripetere «Chi canta e suona non muore mai». E partendo proprio da questa sua espressione, i tanti amici che popolavano il suo mondo l’hanno ricordato con musica, parole e con un libro. I Cantori suoi compagni di vita e di carriera, gli amministratori di Carpino, Enrico Noviello, autore del libro «Andrea Sacco suona e canta – Storie di un suonatore e cantatore di Carpino» (Edizioni Aramirè, Lecce), corredato da un doppio Cd audio con brani dell’intervista di Noviello ad Andrea Sacco e con i sonetti dell’artista: nell’auditorium della Magna Capitana si è ricomposta parte del variegato microcosmo che, a una settimana dalla morte di Sacco, si era dato appuntamento al Teatro del Fuoco, su iniziativa del ballerino Michele Mangano, per lanciare l’idea di un premio intitolato al «grande vecchio» della musica folk. Una persona dalla carica umana e professionale straordinaria, come Noviello, originario del Gargano, ma trapiantato a Roma dove ha insegnato all’Università RomaTre, ha raccontato nel suo libro. Suonatore di chitarra battente e interprete di tarantelle cui è stato «iniziato» proprio da Zì’ Andrea, Noviello propone da anni la rilettura del folk garganico con il gruppo dei Malicanti (ascoltati nella serata al Teatro del Fuoco). E il libro è nato dai viaggi che molto spesso Noviello faceva sul Gargano, per condividere con Sacco momenti di vita: «La forza della sua musica – dice l’autore – è nel mangiare, nel bere, insomma nell’essere naturale come la vita di tutti i giorni». Tanti ricercatori, musicisti e appassionati, da Roberto Leydi a Diego Carpitella, da Eugenio Bennato a Teresa De Sio, hanno contributo, negli ultimi anni, a dare visibilità alla grande arte dei Cantori, ma quanto fatto può essere sufficiente a veicolare il loro messaggio verso una platea più ampia? «Di sicuro è cresciuto l’interesse dei giovani verso questo tipo di musica – è il parere di Noviello – ma non tutti hanno voglia di vedere, di conoscere cosa c’è c’è davvero dietro questa musica». Un desiderio che in Enrico Noviello è invece stato molto forte, al punto da raggiungere Sacco a Carpino quasi ogni settimana, per sentirlo cantare, per cantare egli stesso e sottoporsi, con l’amico Elia, al giudizio di Zì Andrea. E degli insegnamenti del «cantatore», Noviello ha conservato tutto, nel libro e nella memoria. Come una delle qualità che ha descritto in una lunga e accorata lettera di addio ad Andrea Sacco: la sua grande generosità, la non-gelosia per le proprie creazioni, una caratteristica piuttosto rara fra gli artisti. In altre parole, Noviello racconta che chiunque chiedesse a Sacco di regalargli una suonata, una canzone, un sonetto, veniva esaudito, perchè, come detto, Zì Andrea non era geloso e soprattutto perchè sapeva che nessuno avrebbe mai potuto cantare le sue opere come faceva lui. E poi c’era lo scetticismo con cui Sacco rivestiva anche la sua visione dell’aldilà. E’ sempre Noviello a ricordare che Zì Andrea diceva: «Dopo la morte non ci sta niente. Morto che è, u’ mangiano i topi» E che non aveva alcuna paura di morire. «Hai vissuto in bellezza fino in fondo – ha scritto ancora Noviello – hai fatto sempre quello che desideravi, con umiltà però, cuore generoso e testardo… A noi lasci l’onere di non poter dimenticare che tu ce l’avevi fatta, a vivere come la vita meriterebbe… si può vivere come Sacco Andrea, magari cantare, come te, zì Andrè, proprio no». Ora sono in tanti a voler ricordare Andrea Sacco, ma Noviello guarda con un pò di scetticismo alle iniziative di carattere istituzionale: «Le istituzioni – dice – hanno un orizzonte culturale molto corto. In genere prendono molto poco delle cose importanti e prendono soltanto ciò che serve a loro». a.lang.
29/04/2006
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Pubblicato da utente anonimo | aprile 29, 2006, 2:21 PM