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Zi’ Andrea è il più grande di tutti…

Roberta Pilar Jarussi, autrice di Nella casa, romanzo di famiglia torrenziale e possente, ci ha voluto raccontare la prima presentazione di un libro speciale, capace di racchiudere assieme musica, racconto, ballo, tradizione e un amore profondo e inestinguibile per quella forza viscerale e misteriosa che noi chiamiamo semplicemente vita.
ANDREA SACCO SUONA E CANTA, di Enrico Noviello
La prima volta che ho visto Enrico Noviello, è stato sette anni fa, credo, era inverno, ed eravamo nella piazza di Carpino. Gargano. Puglia.
In un angolo, tra le panchine di pietra e la farmacia, suonano i Cantori di Carpino: Andrea Sacco, Antonio Piccininno, Antonio Maccarone, i tre musicisti anziani del gruppo. Sacco, classe 1911, con la sua chitarra battente del ‘24, è il più grande di tutti…

Discussione

4 pensieri su “Zi’ Andrea è il più grande di tutti…

  1. Avatar di Sconosciuto

    CarpinoFolkFestival2005: Enrico Noviello presenta il suo libro su Andrea Sacco. Si parla tanto di lui quella sera. Zi’ Andrea, Andrea Sacco, non si vede più ai concerti da qualche anno. Non sta bene. Chi non ha avuto la fortuna di sentirlo suonare, di stringergli la mano, di guardargli il fondo degli occhi, non l’avrà più.
    Io sto là, nella piazzetta. Con molto anticipo. Mi avvicino a Enrico, dopo un poco mi ricordo, da qualche parte già l’ho visto, non è una frase finta tanto per fare conoscenza, l’ho visto già. Abbiamo ballato insieme, io e te, qua, mi dice lui, è passato tanto tempo…

    Si conosce la Puglia. Il mare, l’olio buono e il pane, si conosce il barocco leccese, e, le pizziche salentine, o qualche cosa che a esse provano a somigliare, entrano ormai da anni nelle discoteche delle grandi città del Nord Italia.
    Carpino non si conosce.
    Da Carpino non si passa.
    Carpino te la devi trovare sulla carta e ci devi andare apposta. Carpino ha una musica struggente, dolce e dolorosa insieme, a volte dura, che si suona e si canta, e si balla, e non prova a sedurti, ti risucchia dentro o ti tiene fuori. Carpino sta nel cuore del Gargano, a una novantina di chilometri da Foggia e a poche curve dal mare. Eppure è un luogo a se, è come un’isola, con la sua storia, le sue fragilità, la sua ricchezza, le sue ferite, e il tutto sembra essere comunque in un equilibrio proprio, interno, che pare bastare a se stesso.
    Io ci ero andata apposta là, sette anni fa come ora, per sentire suonare i Cantori, sono pugliese, sono di Foggia, ma il sapore di un certo vivere è estraneo anche a me, e distante è il modo in cui quelle storie si snodano da generazioni.
    Avevo conosciuto per caso, anni prima, le musiche tradizionali Pugliesi e del sud Italia, e più in particolare dei Cantori di Carpino. Da quel momento le andavo cercando.
    Mi sono tolta il cappotto e ho ballato a ridosso dei musicisti. Ballavano tutti, e i maschi, quelli giovani, quelli grossi, certi ballavano troppo forte, spingevano, saltavano, una cosa a metà tra la tarantella e il pogare da sotto palco. Ma lì non c’era un palco. I musicisti stavano a venti centimetri da noi.
    Io non ho il passo aderente al suolo dei contadini, ma mi sento a disagio nella folla, coi volumi distorti.
    Allora, nella piazza, solo vicina ai suonatori ero al sicuro.
    Enrico Noviello, il suo nome l’ho saputo soltanto un mese fa, è lì. Pure lui stipato tra i suonatori anziani e i giovani entusiasti, senza età, senza mode, né contadino, né metropolitano. È lì, e sta dentro alla musica, un poco spaesato. Si capisce che non è di Carpino, ma non direi che è forestiero, balla con l’anima, non coi piedi, e ha una malinconia viva negli occhi che io, è passato tanto tempo, me la ricordo proprio bene. Gli chiedo da dove viene, o forse è lui che lo chiede a me per primo, e lui mi risponde da Roma, o da qualche parte d’Italia, ma, ci tiene a dirlo, è originario di queste parti.

    La sera della presentazione del suo libro, sto seduta per conto per mio, guardo, guardo i gesti, i suoi, i suoi con gli altri. E mi è torna quella sensazione di sette anni fa, come se Enrico fosse senza tempo, senza età, senza una precisa e rigida collocazione, con una specie di trasparenza e di pulizia fuori moda, che oggi, tra i giovani, non la trovi spesso. Negli anziani, e nei bambini, è più facile.
    Lo so, dovrei parlarvi del libro. Lo sto facendo.
    Sto parlando di un uomo di 38 anni che ha saputo essere compagno di un altro uomo, di 94 anni, ora. Un vecchio, di paese, un contadino, un nonno, un malandro, un grande maestro, un musicista, un cantatore, un suonatore, il portatore di un pezzo di storia che non la trovi scritta da nessuna parte. Un compagno per lui. Più di tutto.
    Il desiderio di conoscenza, il rigore della ricerca, la passione per la musica, non basta a farti fare questo. Ancor meno sarebbe bastata la smania di appropriarsi di brandelli di un patrimonio che, è vero, forse si perde, forse si è gia perso. O si perderà.
    Si perde ogni volta che non c’è umiltà nell’ascolto, nello sguardo, nei gesti, ogni volta che suoniamo, danziamo, scriviamo, esistiamo perché qualcuno ci lodi, e ci guardi.
    Enrico, nella piazza, non avresti detto subito è lui l’autore del libro, è lui che suona e canta nei Malicanti, è lui che ha passato giorni, mesi, anni con Andrea Sacco, a dividere il cibo e il sonno, mica tanto per dire, a nutrirsi delle sue musiche, delle sue storie. Non lo pensi perché c’ha i gesti semplici, di uno che sta a casa sua, e pure si muove con rispetto e garbo, e con un’onestà che fa soggezione per quanto è fuori moda.
    Ho assistito a numerose presentazioni di libri: auto elogi più o meno articolati, più o meno credibili, più o meno sopportabili; il trionfo dell’io, magari pure meritato.
    Enrico no. Enrico non dice una volta “io”. Enrico dice solo “zi’ Andrea”. E china un poco gli occhi mentre lo dice, abbassa il tono di voce già basso (quando parla, non quando canta) e con pudore racconta, sussurra, ricorda, e lo fa con generosità e senza prendersi nessun merito. Come a voler condividere questa fortuna grande che la vita gli ha regalato: fargli incontrare una persona speciale quale è Andrea Sacco.
    Certo, il libro è di lui che parla. Parla della sua storia, della sua vita, della sua musica, di quanto Andrea Sacco ha rappresentato e rappresenta per la cultura, tutta, del nostro sud. Nostro, sì. Nostro, pure di voi che siete altrove. Nostro, perché questa pelle cotta di sole, questa fatica, questa audacia, questa ferità, questa verità, questa vergogna, questa fierezza vi riguarda in qualche modo, e riguarda i vostri avi.
    Il libro parla di musica. È un documento raro, con tanto di registrazioni, di trascrizioni e traduzioni dei sonetti. Poi c’è l’intervista. Più che un’intervista pare di assistere a una chiacchiera intima tra due che si vogliono bene. Sono pagine preziose, e non solo per gli addetti ai lavori.
    Ma la cosa che più mi ha coinvolto non è l’unicità delle informazioni che pure questo testo, è innegabile, contiene. È che dopo tanto succhiare da questo sud, dopo l’affanno di decine e decine di gruppi di musica popolare di ogni parte di Italia, e anche di fuori, per ri-creare versioni difficili della più pura e semplice canzone che Andrea Sacco scrive, suona e canta, quella che i più conoscono come Tarantella del Gargano; dopo che musicisti, antropologi, ricercatori più o meno affermati abbiano affondato le mani in questa carne viva, dolente, e non sempre con delicatezza; dopo che ci si sente, diciamolo, un po’ come dentro alla gabbia di uno zoo, chi passa, chi viene, chi va, chi offre e chi piglia, ché il sud da sverginare fa gola, fa troppo gola, e se è una giovinetta appena violata allora è ancora più irresistibile; dopo tutto questo, è bene, e mi fa bene, veder comparire una persona come Enrico Noviello.
    Enrico si spoglia di quello che sa e possiede, persino della sua stessa storia e, senza cancellare alcuna memoria, come una carta assorbente, si impregna di una vita altra, da lui apparentemente molto distante. Certo lo è distante, per cultura, per generazione, per storia. Eppure a volte sono così dilanianti le lontananze che recepiamo dalle persone a noi più affini.
    Io, dico la verità, a leggere di questo uomo anziano, così saggiamente e semplicemente raccontato dalle parole di un uomo giovane, quale è Enrico, non ci ho visto distanze, né separazioni. Ci ho trovato amore, e rispetto. Un amore pulito. Come dovrebbe essere. E anche il dare e il prendere, e apprendere e dare ancora, è pulito. Un cerchio, non una linea. Come dovrebbe essere.

    La speranza è che sia ancora possibile un tipo di comunicazione così. Vero. Onesto. A prescindere dal contesto, e dal motivo. Una comunicazione fatta di cose piccole condivise, o grandi, e di tempo senza azioni, anche. Che sia possibile capirsi e amarsi, dare senza volere in cambio niente, e ricevere come si riceve un dono. Che sia vita, non letteratura.
    Che sia questa la risposta, il modo, l’unico forse, per stare degnamente in questa vita, per crescere i nostri figli, per nutrire i nostri desideri esili.
    Questo è il libro.
    Zi’ Andrea, grazie.
    Enrico, a te.

    Roberta Pilar Jarussi

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    Pubblicato da festival | novembre 25, 2005, 4:05 PM
  2. Avatar di Sconosciuto

    Nella casa

    di Roberta Pilar Jarussi
    “Un testo quasi teatrale, dove le pareti di una dimora qualunque diventano testimoni di matriarcati paludosi, figure maschili errabonde e legami suggellati da patti definitivi.

    Su tutto domina un Sud salato fatto di tufo grezzo, fornelli macchiati di caffè, e facce unte e secche dove gli occhi dei protagonisti sono lo sfondo dannato di una storia che si snoda lungo decenni.

    Il dolore, la passione, la morte, le miserie e la gioia sono invece gli ingranaggi di una costruzione narrativa che risulta tossica tanto è nuova.”
    Cosimo Argentina

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    Pubblicato da festival | novembre 25, 2005, 4:28 PM
  3. Avatar di Sconosciuto

    Volevo solo salutare affettuosamente Roberta ,presenza ormai familiare a Carpino ,sempre discreta eppure attenta e sensibile,e’riuscita nella non facile impresa di sbarcare sull'”isola Carpino” come lei la chiama e di interagire con gli “isolani”;e’ difficile ormai immaginare il
    folk festival senza questo scricciolo di donna dagli occhi acuti e curiosi che si aggira per il paese con la sua anziana e vispa mamma ed i suoi due monelli che le corrono intorno……
    ciao Roberta e a presto,un anonimo carpinese.

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    Pubblicato da utente anonimo | novembre 29, 2005, 5:33 PM
  4. Avatar di Sconosciuto

    grazie anonimo carpinese. grazie carpino… grazie sempre… oggi è sette dicembre, forse verrò a fare un giro da voi…

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    Pubblicato da utente anonimo | dicembre 7, 2005, 8:21 am

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