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Il promontorio del Gargano, situato a nord-est della Puglia, comprende diciassette comuni dislocati essenzialmente su due direttrici: a nord, Lesina, Poggio Imperiale, Apricena, Sannicandro Garganico, Cagnano Varano, Carpino, Ischitella, Vico del Gargano, Rodi Garganico, Peschici e Vieste; a sud, Rignano Garganico, San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo, Mattinata e Manfredonia. Fanno parte integrante del comprensorio garganico anche le isole Tremiti, per cui possiamo considerarle come diciottesimo comune.
Le difficoltà d’accesso alla montagna, dovute alla presenza di gigantesche gradinate che scendono a strapiombo sul mare e sulla pianura sottostante, e altri fattori, quali l’impaludamento che ha colpito il Tavoliere durante l’arco di molti secoli, e l’utilizzazione del suolo della regione pedegarganica, tenuto in gran parte incolto, unicamente in funzione della mena delle pecore (migrazione degli armenti dall’Abruzzo alla Puglia), hanno creato condizioni di particolare isolamento del Promontorio dal resto dell’Italia. Isolamento che, se da un lato ha generato una situazione di sottosviluppo legata ad un’economia in gran parte di sussistenza (le attività esercitate erano prevalentemente quelle della pastorizia e dell’agricoltura), dall’altro ha dato la possibilità alle tradizioni di conservarsi in modo alquanto integro, almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale. La rottura dell’isolamento, avvenuta soprattutto alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, attraverso le trasformazioni economico-sociali-culturali e la diffusione dei mezzi di comunicazioni di massa, segna una fase di cambiamento radicale. La cultura popolare è la prima ad entrare in crisi: molti riti, credenze, canti e balli, legati alla civiltà contadina, scompaiono. Quello che viviamo oggi, spesso decontestualizzato, non è che il pallido riflesso, di ciò che era immensamente ricco e articolato. Le ricerche etnomusicali degli ultimi anni rivelano però, accanto ad alcuni repertori ormai consegnati alla memoria (canti di lavoro, di serenata, di questua, ecc.), canti liturgici e paraliturgici tuttora funzionali al rito. Certo è che, se in ambito nazionale l’interesse per i canti popolari e gli strumenti musicali di tradizione orale si è molto sviluppato in questi ultimi anni, ed ha prodotto ricerche e studi di un certo rilievo, il Gargano e la Puglia in generale offrono ancora scarse notizie per la conoscenza e lo studio sistematico dei canti, dello strumentario popolare e dei linguaggi musicali. Si pensi che le uniche informazioni bibliografiche etno-organologiche, riguardanti il Gargano, a mia conoscenza, sono: le schede di un triccheballacche (schedato genericamente come pugliese, ma di Monte Sant’Angelo) e di due chitarre battenti presenti nella mostra ‘Gli strumenti della musica popolare in Italia’ presentata per la prima volta nel marzo del 1983 a Venezia presso il Gran Teatro la Fenice, e riportate da Roberto Leydi e Febo Guizzi nel catalogo sommario ‘Gli strumenti della musica popolare in Italia’; il lavoro di ricerca sulla chitarra battente nel Gargano pubblicato dal Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna, nel dicembre del 1989, e in parte rivisto nel libretto del CD Guitares ‘battente’ du Gargano (1997); le schede di 11 idiofoni, raccolti tra il 1909 e il 1910 a Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo (1 crotalo a martelli, 6 coppie di castagnole, 1 bastone a tacche e 3 raganelle), contenute nel Catalogo del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari (1991), in Roma; lo studio sugli strumenti musicali presenti nelle pubblicazioni realizzate a partire dal 1997 dal Centro Studi Tradizioni Popolari del Gargano e della Capitanata; le note nel libretto del CD La tarantella nel Gargano[sic!][1][1]; le informazioni riportate nel libro di Febo Guizzi ‘Gli strumenti della musica popolare in Italia’ (2002); ed altri riferimenti, non sempre attendibili, in alcune pubblicazioni, per lo più locali. Accanto a ciò abbiamo solo qualche raro riferimento agli strumenti musicali in romanzieri, alcuni viaggiatori che sono venuti in Puglia tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, e folkloristi locali. In Rosedda (Costumi garganici), un romanzo verista del 1889 di Giulio Ricci, ripubblicato recentemente, troviamo riferimenti a tamburelli, nacchere e chitarre battenti. Interessante è la descrizione del ballo (quasi certamente il ballo della tarantella): Era caduta la notte, il paese si addormentava placidamente, e nella stanza luccicavano già le candele a tre a tre sulle mura. Lina da l’arco della porta annunziò il caffé ed il ballo, aperto nella camera attigua ad un buttero e da la Scocciata al suono di due chitarre battenti strimpellate con grazia e maestria dal giumentiere e da Stefano. […] La Scocciata intanto ballava, ballava, sudata con gli occhi rossi. Il buttero s’era stancato con lei, essa ora vinceva il baccano. Le note stridenti delle corde le mettevano la vertigine, ella non vedeva che un turbinìo di polvere, non udiva che lo strimpellìo delle chitarre ed agitava le nacchere con le braccia ad arco sulla testa, e sgambettava intorno intorno a quell’uomo pesante che muoveva le gambe come un ubbriaco[sic!].[2][2] Altra descrizione di strumenti musicali è presente nel libro IlGargano (1907) dello scrittore forlivese Antonio Beltramelli. L’autore del Gargano viene invitato ad assistere al ballo della tarantella, di cui descrive non solo l’aspetto coreutico-spettacolare, ma anche la composizione organologica, per sommi capi, degli strumenti musicali utilizzati e la loro posizione rispetto ai ballerini. Gli strumenti sono tre in tutto: chitarra battente, tamburello e cupa-cupa (tamburo a frizione). Ecco come il Beltramelli descrive questa tarantella: Su la terrazza della cascina in Val delle Rose. Il plenilunio è sereno, tutta una dolcezza argentea si distende intorno. Alcuni contadini chiamati dal mio ospite sono giunti per farci assistere ad un ballo tipico del paese: il “pìzzeca pìzzeca ”. In una panca, messa in disparte appositamente, prende posto l’orchestra. Sono tre individui, tre istrumenti: una chitarra battente (1: la chitarra battente è una chitarra con cinque corde di metallo. Si suona ad accordi, se così può dirsi, e dà il mal di capo.), che il Signore conservi sempre laggiù per gioia di chi l’intende; un tamburello e la cupa-cupa, strumento primitivo composto da una pignatta chiusa all’imboccatura da una pelle fortemente tesa. Detta pelle è attraversata, al centro, da un bastoncello. Il suonatore, dopo essersi spalmato le mani di saliva, le fa scorrere lungo il bastoncello e produce un’armonia che, udita da lontano, potrebbe essere anche gradevole. Il ballo comincia. Viene intonata una canzone d’amore dalle cadenze malinconiche. Fino ad ora l’orchestra accompagna in sordina; la cupa-cupa pare un armonioso muggito. L’uomo balla di fianco e in tale posizione compie vari giri intorno alla ballerina, la quale pare perplessa e non sa se sostare o fuggire. Fra il pollice e l’indice di ambo le mani tiene sollevato, con un gesto di grazia, il grembiale. E’ un gesto di disimpegno. La scena di seduzione mi rammenta per associazione di idee i miei studi di ornitologia: molti volatili tentano condurre l’amata al loro desiderio precisamente così, girandole intorno. La scena cambia di aspetto all’improvviso; la ballerina si decide; leva un braccio in molle curva sul capo, appunta l’altro sul fianco e con un guizzo si allontana facendo schioccare le dita. Comincia l’inseguimento. L’uomo tiene il capo arrovesciato all’indietro e manda un suono speciale, un “ha ha” prolungato, rincorrendo la compagna che con agili scatti e balzi e guizzi gli sfugge continuamente. Poi si calmano e ricominciano. Così per lungo tempo, sotto le cadenze melanconiche della canzone d’amore e i mugolìi della cupa-cupa. E’ una dolcissima serenità che innammora; l’antica anima della terra vive in quest’ora e in questa scena. Accosciato in disparte, il cappello a cencio legato con un nastro sotto il mento, Pulputulo, che è uomo di gravità, sonnecchia.[3][3] Purtroppo questa esperienza così suggestiva, raccontata con dovizia di particolari, che probabilmente Beltramelli visse, è discutibile sul piano scientifico in quanto coincide con una descrizione della tarantella, e degli strumenti utilizzati, fatta da Janet Ross qualche anno prima, nel 1889. In The land of Manfred, la scrittrice inglese descrive il ballo “Pizzeca-pizzeca”, così come riportato successivamente dal Beltramelli, solo che in questo caso lo spettacolo si svolge ben lontano del Gargano, a Leucaspide, località vicina a Taranto[4][4]. Più interessante, forse, è il documento iconografico che lo scrittore forlivese pubblica nel suo libro: una fotografia di Vocino (quasi certamente Michele Vocino), che riproduce una Tarantella a Peschici [5][5]. Nella foto compaiono un suonatore di chitarra battente e due ballerini. Di maggior interesse agli inizi del Novecento sono gli studi che va svolgendo Michele Vocino, noto folklorista locale. Nello Sperone d’Italia, del 1914, egli si sofferma non solo sui canti raccolti, ma anche su alcune caratteristiche usanze locali, in particolare sulle origini della tarantella. Sembra, a detta del Vocino, che una volta anche sul Gargano si ballasse, dopo essere stati morsi dalla tarantola, a suon di tamburello e chitarra battente, sotto la direzione del capo-attarantato: Dopo questa edificante esperienza in Puglia certo non vi furono più dubbi, e … forse non ve ne sarebbero nemmeno adesso tra i nostri contadini se… la specie di questo venefico falangio non fosse andata distrutta, almeno sul Gargano! Infatti da quasi mezzo secolo non vi si trovano qui più tarantole! ed è un peccato! Prima ogni morso del ragno determinava una festa: sotto la direzione del così detto capo-attarantato s’addobbava una camera in nero, o in verde, o in rosso, secondo le preferenze del morsicato, e questi si faceva ballare tra due specchi, con due ragazze, a suon di tamburello e di chitarra battente, alla presenza di parenti e d’invitati, ai quali si venivano intanto servendo ciambelle e vino schietto. Adesso l’arte del capo-attarantato è morta perché le tarantole son morte e non ne son più nate: ma anche l’arte affine del serparo è agonizzante, mentre di serpi ancora ne nascono e molte.[6][6] Altra segnalazione del rito iatromusicale sul Gargano, connesso alla taranta, ci viene trasmessa dal più importante studioso locale dei primi cinquant’anni del secolo scorso: Giovanni Tancredi. Lo studioso di Monte Sant’Angelo, che inizia ad interessarsi di storia locale nei primi del Novecento, e che raccoglie gli strumenti presenti tuttora al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari (in Roma), cita, nel suo libro Folclore Garganico del 1938,al cap. IV “ Credenze Popolari”, un caso realmente avvenuto a Monte Sant’Angelo alla fine del 1800, di cui è stato testimone oculare: La tarantola. Essa è una specie di ragno che trae il suo nome da Taranto, città della Puglia. Ha il capo quanto una nocciola di mezzana grossezza, di colore grigio coperto di macchie livide. Per chi ha la sventura di essere morsicato da questo animaletto la danza diviene una necessità: sente lo stimolo di ballare continuamente al suono di uno strumento a corda e balla molto bene anche se precedentemente ignorava la danza. Nella nostra città vi fu un caso tipico. Il 15 agosto 1894 Pietro Ciuffreda fu Domenico alias la Tarantola, trentenne, trovavasi a Campolato ove fu morsicato da una tarantola dietro l’orecchio destro. Egli ballò continuamente cinque giorni e quattro notti al suono del violino di D. Luigi Cola, e della chitarra battente di Domenico Frattaruolo alias Trippetuste. Era instancabile ed a noi faceva pietà vederlo soffrire in quel modo. In maniche di camicia e mutande, a piedi scalzi e con le mani sui fianchi egli ballava, ballava continuamente e, sfinito, si gettava su di un pagliericcio messo per terra, per riprendere con più lena il ballo.[7][7] Queste citazioni e il riferimento alla taranta in alcuni canti raccolti in vari paesi del Gargano, sul ritmo delle varie forme di tarantella, lasciano presupporre che in passato la danza avesse anche finalità terapeutiche. Riporto, a titolo esemplificativo, il canto raccolto a Carpino[8][8]: Tarantella alla Mundanarë’Assatël’abballà chistë zëtillë, (Strufèttë o Struccëlë a voci alterne), nell’articolazione musicale (versione cantata) a sinistra, e nella formalizzazione letteraria (versione recitata) con relativa traduzione in italiano a destra. Esecutori: Antonio Maccarone (canto e chitarra francese), Andrea Sacco (canto e chitarra battente), Michele Basanisi (chitarra francese ed interventi vocali), Domenico Di Perna (tammorra), Antonio Piccininno (castagnole). Registrazione di Salvatore Villani, Carpino, 30.IV.1997. (A. Maccarone) ’Assatil’abballà chisti zëtillë’ Assatël’abballà chistë zëtillë ma ’ssatil’abballài chisti zëtillë che tenë la tarantë sottë i pédë Ah!che tenënë la tarantë sott’a li pèdë madonnë comë cë mènënë comë nu sacchë dë tapénë ’ballaì chisti zëtillë ma’ssatil’abballài chisti zëtillë(Lasciateli ballare questi zitelli ma’ssatil’abballài chisti zëtillëche hanno la taranta sotto i piedi madonna come si lanciano ’ssatil’abballài chisti zëtillëcome un sacco di patate ma’ssatil’abballài chisti zëtillëGirate!) che tenënë la tarantë sott’a li pèdë (A. Sacco) tarantë sott’a li pèdë che tenënë la tarantë sott’a li pèdë Ah! madonnë comë cë mènënë comë nu sacchë dë tapènë madonnë comë cë mènë comë nu sacchë dë tapènë (A. Maccarone) mènë comë nu sacchë dë patènë Ah! madonnë comë cë mènë comë nu sacchë dë paténë Ah! madonnë comë cë mènë comë nu sacchë dë paténë Aggira!!! Il lavoro del Tancredi è illuminante per chi si interessa di tradizioni popolari del Gargano, perché fa uno studio approfondito di tutte le usanze relative al ciclo della vita umana. Infatti, è dai suoi scritti che veniamo a conoscenza dell’evolversi degli organici strumentali a Monte Sant’Angelo, per esempio per quanto riguarda la serenata: Sessant’anni fa si portava la serenata con la sola chitarra battente; una ventina di anni addietro, invece, le canzoni si sposavano ai suoni indefinibili del mandolino ed a quelli della chitarra battente e della francese ed era bello, poetico ascoltare nella calma solenne della notte, al chiarore della luna, oppure alla luce meridiana, nei giorni di Carnevale e della Pasqua, nelle strade dell’abitato o in qualche viottolo solitario delle campagne quei canti ora patetici, ora allegri che esprimevano la dolcezza dell’amore, oppure il disprezzo dell’amante corrucciato, che cantava a disfida. Ora la serenata si porta con l’organetto oppure col violino con accompagnamento di contrabbasso e di altri strumenti a corda ed a fiato[9][9]. Ma anche dell’utilizzo, da parte dei pastori, di aerofoni, non più esistenti, se non nell’uso folkloristico, come la ciaramella e il flauto di canna: Durante la Notte di Natale una moltitudine di gente si riversa nelle strade, ove è un continuo via vai: numerose riunioni si formano nei caffè; i fanciulli suonano la puta puta, i giovanetti l’organetto, gli uomini la chitarra battente e la francese; i pecorai la ciaramedd e lu fresckett; molti cantano, altri ballano, tutti gridano, ridono, gesticolano. Ci parla, inoltre, delle abilità dei pastori di lavorare il legno, e di costruire strumenti musicali: Eccelse nella lavorazione del legname un certo Rinaldi Matteo fu Saverio alias Saveriucce […] Questi, tra i tanti pregevoli lavori, fu capace di costruire nientemeno un mandolino con tanti pezzettini di corna di buoi di un altro costruttore di chitarre: Raffaele Cardillo, il quale imparò a costruire delle buone chitarre, che vendeva presso l’atrio di S. Michele nei mesi di maggio e di settembre, e dei balli in voga ai suoi tempi: Quelli più in voga nel ceto contadinesco del Gargano erano la tarantella di origine napoletana, la marenese importata dai paesi marittimi della Puglia e la vivace zumparella, il saltarello, ballo prettamente indigeno. Accompagnavano la tarantella la chitarra battente e la francese e spesso la puta-pute detta anche cupa-cupa, la quale si suona specialmente nella notte di Natale. Attualmente i contadini usano tutti i balli moderni. Si balla, come abbiamo di già accennato, al fidanzamento a lu cunzente ed allo sposalizio allu spusaggke, nonché al battesimo a lu battezz, durante la vendemmia e la raccolta delle ulive nelle masserie o dinanzi alle torri.
Le difficoltà d’accesso alla montagna, dovute alla presenza di gigantesche gradinate che scendono a strapiombo sul mare e sulla pianura sottostante, e altri fattori, quali l’impaludamento che ha colpito il Tavoliere durante l’arco di molti secoli, e l’utilizzazione del suolo della regione pedegarganica, tenuto in gran parte incolto, unicamente in funzione della mena delle pecore (migrazione degli armenti dall’Abruzzo alla Puglia), hanno creato condizioni di particolare isolamento del Promontorio dal resto dell’Italia.
Isolamento che, se da un lato ha generato una situazione di sottosviluppo legata ad un’economia in gran parte di sussistenza (le attività esercitate erano prevalentemente quelle della pastorizia e dell’agricoltura), dall’altro ha dato la possibilità alle tradizioni di conservarsi in modo alquanto integro, almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale.
La rottura dell’isolamento, avvenuta soprattutto alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, attraverso le trasformazioni economico-sociali-culturali e la diffusione dei mezzi di comunicazioni di massa, segna una fase di cambiamento radicale. La cultura popolare è la prima ad entrare in crisi: molti riti, credenze, canti e balli, legati alla civiltà contadina, scompaiono.
Quello che viviamo oggi, spesso decontestualizzato, non è che il pallido riflesso, di ciò che era immensamente ricco e articolato.
Le ricerche etnomusicali degli ultimi anni rivelano però, accanto ad alcuni repertori ormai consegnati alla memoria (canti di lavoro, di serenata, di questua, ecc.), canti liturgici e paraliturgici tuttora funzionali al rito.
Certo è che, se in ambito nazionale l’interesse per i canti popolari e gli strumenti musicali di tradizione orale si è molto sviluppato in questi ultimi anni, ed ha prodotto ricerche e studi di un certo rilievo, il Gargano e la Puglia in generale offrono ancora scarse notizie per la conoscenza e lo studio sistematico dei canti, dello strumentario popolare e dei linguaggi musicali. Si pensi che le uniche informazioni bibliografiche etno-organologiche, riguardanti il Gargano, a mia conoscenza, sono: le schede di un triccheballacche (schedato genericamente come pugliese, ma di Monte Sant’Angelo) e di due chitarre battenti presenti nella mostra ‘Gli strumenti della musica popolare in Italia’ presentata per la prima volta nel marzo del 1983 a Venezia presso il Gran Teatro la Fenice, e riportate da Roberto Leydi e Febo Guizzi nel catalogo sommario ‘Gli strumenti della musica popolare in Italia’; il lavoro di ricerca sulla chitarra battente nel Gargano pubblicato dal Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna, nel dicembre del 1989, e in parte rivisto nel libretto del CD Guitares ‘battente’ du Gargano (1997); le schede di 11 idiofoni, raccolti tra il 1909 e il 1910 a Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo (1 crotalo a martelli, 6 coppie di castagnole, 1 bastone a tacche e 3 raganelle), contenute nel Catalogo del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari (1991), in Roma; lo studio sugli strumenti musicali presenti nelle pubblicazioni realizzate a partire dal 1997 dal Centro Studi Tradizioni Popolari del Gargano e della Capitanata; le note nel libretto del CD La tarantella nel Gargano[sic!][1][1]; le informazioni riportate nel libro di Febo Guizzi ‘Gli strumenti della musica popolare in Italia’ (2002); ed altri riferimenti, non sempre attendibili, in alcune pubblicazioni, per lo più locali.
Accanto a ciò abbiamo solo qualche raro riferimento agli strumenti musicali in romanzieri, alcuni viaggiatori che sono venuti in Puglia tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, e folkloristi locali.
In Rosedda (Costumi garganici), un romanzo verista del 1889 di Giulio Ricci, ripubblicato recentemente, troviamo riferimenti a tamburelli, nacchere e chitarre battenti. Interessante è la descrizione del ballo (quasi certamente il ballo della tarantella):
Era caduta la notte, il paese si addormentava placidamente, e nella stanza luccicavano già le candele a tre a tre sulle mura. Lina da l’arco della porta annunziò il caffé ed il ballo, aperto nella camera attigua ad un buttero e da la Scocciata al suono di due chitarre battenti strimpellate con grazia e maestria dal giumentiere e da Stefano. […] La Scocciata intanto ballava, ballava, sudata con gli occhi rossi. Il buttero s’era stancato con lei, essa ora vinceva il baccano. Le note stridenti delle corde le mettevano la vertigine, ella non vedeva che un turbinìo di polvere, non udiva che lo strimpellìo delle chitarre ed agitava le nacchere con le braccia ad arco sulla testa, e sgambettava intorno intorno a quell’uomo pesante che muoveva le gambe come un ubbriaco[sic!].[2][2]
Altra descrizione di strumenti musicali è presente nel libro IlGargano (1907) dello scrittore forlivese Antonio Beltramelli. L’autore del Gargano viene invitato ad assistere al ballo della tarantella, di cui descrive non solo l’aspetto coreutico-spettacolare, ma anche la composizione organologica, per sommi capi, degli strumenti musicali utilizzati e la loro posizione rispetto ai ballerini. Gli strumenti sono tre in tutto: chitarra battente, tamburello e cupa-cupa (tamburo a frizione). Ecco come il Beltramelli descrive questa tarantella:
Su la terrazza della cascina in Val delle Rose. Il plenilunio è sereno, tutta una dolcezza argentea si distende intorno. Alcuni contadini chiamati dal mio ospite sono giunti per farci assistere ad un ballo tipico del paese: il “pìzzeca pìzzeca ”. In una panca, messa in disparte appositamente, prende posto l’orchestra. Sono tre individui, tre istrumenti: una chitarra battente (1: la chitarra battente è una chitarra con cinque corde di metallo. Si suona ad accordi, se così può dirsi, e dà il mal di capo.), che il Signore conservi sempre laggiù per gioia di chi l’intende; un tamburello e la cupa-cupa, strumento primitivo composto da una pignatta chiusa all’imboccatura da una pelle fortemente tesa. Detta pelle è attraversata, al centro, da un bastoncello. Il suonatore, dopo essersi spalmato le mani di saliva, le fa scorrere lungo il bastoncello e produce un’armonia che, udita da lontano, potrebbe essere anche gradevole.
Il ballo comincia. Viene intonata una canzone d’amore dalle cadenze malinconiche. Fino ad ora l’orchestra accompagna in sordina; la cupa-cupa pare un armonioso muggito. L’uomo balla di fianco e in tale posizione compie vari giri intorno alla ballerina, la quale pare perplessa e non sa se sostare o fuggire. Fra il pollice e l’indice di ambo le mani tiene sollevato, con un gesto di grazia, il grembiale. E’ un gesto di disimpegno. La scena di seduzione mi rammenta per associazione di idee i miei studi di ornitologia: molti volatili tentano condurre l’amata al loro desiderio precisamente così, girandole intorno. La scena cambia di aspetto all’improvviso; la ballerina si decide; leva un braccio in molle curva sul capo, appunta l’altro sul fianco e con un guizzo si allontana facendo schioccare le dita. Comincia l’inseguimento. L’uomo tiene il capo arrovesciato all’indietro e manda un suono speciale, un “ha ha” prolungato, rincorrendo la compagna che con agili scatti e balzi e guizzi gli sfugge continuamente. Poi si calmano e ricominciano. Così per lungo tempo, sotto le cadenze melanconiche della canzone d’amore e i mugolìi della cupa-cupa.
E’ una dolcissima serenità che innammora; l’antica anima della terra vive in quest’ora e in questa scena. Accosciato in disparte, il cappello a cencio legato con un nastro sotto il mento, Pulputulo, che è uomo di gravità, sonnecchia.[3][3]
Purtroppo questa esperienza così suggestiva, raccontata con dovizia di particolari, che probabilmente Beltramelli visse, è discutibile sul piano scientifico in quanto coincide con una descrizione della tarantella, e degli strumenti utilizzati, fatta da Janet Ross qualche anno prima, nel 1889. In The land of Manfred, la scrittrice inglese descrive il ballo “Pizzeca-pizzeca”, così come riportato successivamente dal Beltramelli, solo che in questo caso lo spettacolo si svolge ben lontano del Gargano, a Leucaspide, località vicina a Taranto[4][4].
Più interessante, forse, è il documento iconografico che lo scrittore forlivese pubblica nel suo libro: una fotografia di Vocino (quasi certamente Michele Vocino), che riproduce una Tarantella a Peschici [5][5]. Nella foto compaiono un suonatore di chitarra battente e due ballerini.
Di maggior interesse agli inizi del Novecento sono gli studi che va svolgendo Michele Vocino, noto folklorista locale. Nello Sperone d’Italia, del 1914, egli si sofferma non solo sui canti raccolti, ma anche su alcune caratteristiche usanze locali, in particolare sulle origini della tarantella. Sembra, a detta del Vocino, che una volta anche sul Gargano si ballasse, dopo essere stati morsi dalla tarantola, a suon di tamburello e chitarra battente, sotto la direzione del capo-attarantato:
Dopo questa edificante esperienza in Puglia certo non vi furono più dubbi, e … forse non ve ne sarebbero nemmeno adesso tra i nostri contadini se… la specie di questo venefico falangio non fosse andata distrutta, almeno sul Gargano! Infatti da quasi mezzo secolo non vi si trovano qui più tarantole! ed è un peccato! Prima ogni morso del ragno determinava una festa: sotto la direzione del così detto capo-attarantato s’addobbava una camera in nero, o in verde, o in rosso, secondo le preferenze del morsicato, e questi si faceva ballare tra due specchi, con due ragazze, a suon di tamburello e di chitarra battente, alla presenza di parenti e d’invitati, ai quali si venivano intanto servendo ciambelle e vino schietto.
Adesso l’arte del capo-attarantato è morta perché le tarantole son morte e non ne son più nate: ma anche l’arte affine del serparo è agonizzante, mentre di serpi ancora ne nascono e molte.[6][6]
Altra segnalazione del rito iatromusicale sul Gargano, connesso alla taranta, ci viene trasmessa dal più importante studioso locale dei primi cinquant’anni del secolo scorso: Giovanni Tancredi.
Lo studioso di Monte Sant’Angelo, che inizia ad interessarsi di storia locale nei primi del Novecento, e che raccoglie gli strumenti presenti tuttora al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari (in Roma), cita, nel suo libro Folclore Garganico del 1938,al cap. IV “ Credenze Popolari”, un caso realmente avvenuto a Monte Sant’Angelo alla fine del 1800, di cui è stato testimone oculare:
La tarantola. Essa è una specie di ragno che trae il suo nome da Taranto, città della Puglia.
Ha il capo quanto una nocciola di mezzana grossezza, di colore grigio coperto di macchie livide. Per chi ha la sventura di essere morsicato da questo animaletto la danza diviene una necessità: sente lo stimolo di ballare continuamente al suono di uno strumento a corda e balla molto bene anche se precedentemente ignorava la danza. Nella nostra città vi fu un caso tipico.
Il 15 agosto 1894 Pietro Ciuffreda fu Domenico alias la Tarantola, trentenne, trovavasi a Campolato ove fu morsicato da una tarantola dietro l’orecchio destro. Egli ballò continuamente cinque giorni e quattro notti al suono del violino di D. Luigi Cola, e della chitarra battente di Domenico Frattaruolo alias Trippetuste.
Era instancabile ed a noi faceva pietà vederlo soffrire in quel modo.
In maniche di camicia e mutande, a piedi scalzi e con le mani sui fianchi egli ballava, ballava continuamente e, sfinito, si gettava su di un pagliericcio messo per terra, per riprendere con più lena il ballo.[7][7]
Queste citazioni e il riferimento alla taranta in alcuni canti raccolti in vari paesi del Gargano, sul ritmo delle varie forme di tarantella, lasciano presupporre che in passato la danza avesse anche finalità terapeutiche.
Riporto, a titolo esemplificativo, il canto raccolto a Carpino[8][8]:
Tarantella alla Mundanarë’Assatël’abballà chistë zëtillë, (Strufèttë o Struccëlë a voci alterne), nell’articolazione musicale (versione cantata) a sinistra, e nella formalizzazione letteraria (versione recitata) con relativa traduzione in italiano a destra.
Esecutori: Antonio Maccarone (canto e chitarra francese), Andrea Sacco (canto e chitarra battente), Michele Basanisi (chitarra francese ed interventi vocali), Domenico Di Perna (tammorra), Antonio Piccininno (castagnole). Registrazione di Salvatore Villani, Carpino, 30.IV.1997.
(A. Maccarone)
’Assatil’abballà chisti zëtillë’ Assatël’abballà chistë zëtillë
ma ’ssatil’abballài chisti zëtillë che tenë la tarantë sottë i pédë
Ah!che tenënë la tarantë sott’a li pèdë madonnë comë cë mènënë
comë nu sacchë dë tapénë
’ballaì chisti zëtillë
ma’ssatil’abballài chisti zëtillë(Lasciateli ballare questi zitelli
ma’ssatil’abballài chisti zëtillëche hanno la taranta sotto i piedi
madonna come si lanciano
’ssatil’abballài chisti zëtillëcome un sacco di patate
ma’ssatil’abballài chisti zëtillëGirate!)
che tenënë la tarantë sott’a li pèdë
(A. Sacco)
tarantë sott’a li pèdë
che tenënë la tarantë sott’a li pèdë
Ah! madonnë comë cë mènënë
comë nu sacchë dë tapènë
madonnë comë cë mènë
comë nu sacchë dë tapènë
(A. Maccarone)
mènë
comë nu sacchë dë patènë
Ah! madonnë comë cë mènë
comë nu sacchë dë paténë
Ah! madonnë comë cë mènë
comë nu sacchë dë paténë
Aggira!!!
Il lavoro del Tancredi è illuminante per chi si interessa di tradizioni popolari del Gargano, perché fa uno studio approfondito di tutte le usanze relative al ciclo della vita umana. Infatti, è dai suoi scritti che veniamo a conoscenza dell’evolversi degli organici strumentali a Monte Sant’Angelo, per esempio per quanto riguarda la serenata:
Sessant’anni fa si portava la serenata con la sola chitarra battente; una ventina di anni addietro, invece, le canzoni si sposavano ai suoni indefinibili del mandolino ed a quelli della chitarra battente e della francese ed era bello, poetico ascoltare nella calma solenne della notte, al chiarore della luna, oppure alla luce meridiana, nei giorni di Carnevale e della Pasqua, nelle strade dell’abitato o in qualche viottolo solitario delle campagne quei canti ora patetici, ora allegri che esprimevano la dolcezza dell’amore, oppure il disprezzo dell’amante corrucciato, che cantava a disfida. Ora la serenata si porta con l’organetto oppure col violino con accompagnamento di contrabbasso e di altri strumenti a corda ed a fiato[9][9].
Ma anche dell’utilizzo, da parte dei pastori, di aerofoni, non più esistenti, se non nell’uso folkloristico, come la ciaramella e il flauto di canna:
Durante la Notte di Natale una moltitudine di gente si riversa nelle strade, ove è un continuo via vai: numerose riunioni si formano nei caffè; i fanciulli suonano la puta puta, i giovanetti l’organetto, gli uomini la chitarra battente e la francese; i pecorai la ciaramedd e lu fresckett; molti cantano, altri ballano, tutti gridano, ridono, gesticolano.[10][10]
Ci parla, inoltre, delle abilità dei pastori di lavorare il legno, e di costruire strumenti musicali:
Eccelse nella lavorazione del legname un certo Rinaldi Matteo fu Saverio alias Saveriucce […] Questi, tra i tanti pregevoli lavori, fu capace di costruire nientemeno un mandolino con tanti pezzettini di corna di buoi.[11][11],
di un altro costruttore di chitarre:
Raffaele Cardillo, il quale imparò a costruire delle buone chitarre, che vendeva presso l’atrio di S. Michele nei mesi di maggio e di settembre.[12][12],
e dei balli in voga ai suoi tempi:
Quelli più in voga nel ceto contadinesco del Gargano erano la tarantella di origine napoletana, la marenese importata dai paesi marittimi della Puglia e la vivace zumparella, il saltarello, ballo prettamente indigeno. Accompagnavano la tarantella la chitarra battente e la francese e spesso la puta-pute detta anche cupa-cupa, la quale si suona specialmente nella notte di Natale. Attualmente i contadini usano tutti i balli moderni.
Si balla, come abbiamo di già accennato, al fidanzamento a lu cunzente ed allo sposalizio allu spusaggke, nonché al battesimo a lu battezz, durante la vendemmia e la raccolta delle ulive nelle masserie o dinanzi alle torri.[13][13]
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