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Processi trasformativi ed edulcorativi nella riproposta della vocalità garganica

Trascrizione dell’intervento di S. Villani tenuto durante il Convegno conclusivo del festival “Voci d’Europa”
Padova, 24 maggio 2004, Teatro Antonianum

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Foto di Salvatore Villani

Risalgono a cinquant’anni fa le prime ricerche etnomusicologiche sul Gargano, ricerche effettuate con criteri di rilevamento dei documenti della tradizione orale  nuovi rispetto a quelli usati dai demologi e folkloristi,   e questo grazie all’uso del magnetofono che ha permesso di ‘conservare’ le voci e i suoni degli strumenti musicali dei contadini, dei pastori, dei pescatori, delle spigolatrici, ecc., in documenti che, anche a distanza di tanti anni, ci  ‘restituiscono’ quelle voci, non soltanto come portatrici di informazioni culturali riguardo alla poesia popolare, ma con tutte le caratteristiche e le sfumature dello stile vocale.  Uno stile vocale che evidenzia un largo uso del registro acuto o di testa con un’emissione spesso ‘a voce lacerata’, tendente verso il grido, con presenza di suoni chioccianti, colpi di glottide e suoni glissati.

Particolarità dell’uso della voce già riscontrate da  Roberto Leydi, agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, il quale  annota, nel libretto allegato al LP dell’Albatros Italia, vol.1, del 1970, a proposito di una Tarantella registrata da lui e Diego Carpitella a Carpino:

“Questa tarantella, come l’intero repertorio di canti e di balli di questo gruppo eccezionale di musici di Carpino, è tipica della tradizione pastorale del Gargano. Questa tarantella  non ha nulla in comune con quelle stilizzate dei gruppi folkloristici, a tutti note: è intessuta di svariate tecniche vocali (melismi, attacchi glissati, cadenze gridate e improvvise, tremoli e singhiozzati) che esulano da qualsiasi stilizzazione culta. La libertà della voce è favorita dalla indeterminazione tonale della chitarra battente con le sue 5 o 6 corde semplici o doppie, con un ciclo tonale mono-tono e molto limitato, tali da costituire un sottofondo uniforme ma elaborato, molto simile a quello ottenuto dagli strumenti a corda e a plettro del Vicino Oriente. Documento di grande autenticità, questa tarantella cantata si colloca all’interno di uno stile musicale che si estende dal golfo Persico al Portogallo e ha le sue propaggini nelle “coplas” sud-americane. Quanto ai passi e alle figurazioni, questa tarantella  pastorale del Gargano esprime, al di fuori d’ogni stilizzazione colta e d’ogni contaminazione, il carattere di danza di corteggiamento proprio di questo ballo, in forme dure, violente, cariche di aggressività e di represso furore panico. Osservando la coppia nei vari momenti della danza ci si rende conto di quale sterilizzazione abbia colpito la nostra tarantella nelle sue forme “folkloristiche” ed “enalistiche”.

Specificità dello stile vocale che non ritroveremo nelle varie esecuzioni revivalistiche dei canti del Promontorio garganico,  nonostante  la conoscenza diretta, da parte dei gruppi di riproposta, di alcuni  documenti ‘originali’, registrati sul campo già a partire dal 1954, anno in cui Diego Carpitella e Alan Lomax, si recano sul Promontorio garganico. Infatti, i due ricercatori, uno statunitense e l’altro italiano, nell’ambito di un ampio progetto di rilevamento delle tradizioni musicali esistenti su tutto il territorio nazionale,  si recano sul Gargano e registrano un buon numero di  documenti musicali soltanto in quattro paesi su diciassette: Sannicandro Garganico, Cagnano Varano, Carpino e Monte Sant’Angelo. Dei cinquantatre documenti sonori registrati e presenti nella raccolta 24b, tre vengono pubblicati dalla Columbia nel 1957, in Southern Italy and the Islands, successivamente riediti in una edizione italiana dalla Pull nel secondo volume del Folklore musicale italiano nel 1973Questi brani saranno oggetto di riproposta a partire dai primi anni Settanta, e uno in particolare, a cui viene dato il titolo occasionale da parte dei due ricercatori  Alla Carpinese, avrà diverse versioni revivalistiche, conservando quasi sempre questa denominazione.

Il brano Alla Carpinese presente nel disco della Columbia contiene due sunèttë (questo il nome dato dai cantori tradizionali ai componimenti lirico-monostrofici): Non të lei dittë ’na parola malë (mancante dei primi due versi);  Lucë lu solë quannë jè bontempë. I sunèttë sono stati registrati al lago di Varano e cantati da Vincenzo Grossi, pescatore di Carpino. Entrambi i sonetti sono accompagnati dalla sola chitarra battente su impianto ritmico-melodico detto alla Viestesana, che alterna gli accordi di Tonica  e Dominante. Delle tre forme di tarantelle in uso a Carpino (mundanarë,  rurianë e vistësanë), la vistësanë, forse è la più interessante, perché è l’unica che presenta una partico­lare oscillazione melodica tra modo maggiore e modo minore, con presenza della terza minore sul terzo tempo dell’accordo di Dominante, e dell’alternanza della terza maggiore e terza minore nella voce che raffor­za l’indeterminatezza tonale del brano.

Questo il testo (a sinistra la versione cantata; a destra il testo nella sua formalizzazione letteraria e la traduzione in italiano):

                                  vai  pí’  fochi                           [Non të l’e’ dittë ’na parola malë

ma  pijiti  la palèll’e va’ pë’  fòchë                            t’ejë dittë se vu’ fa’ l’amorë]

e     va’ ’lla casë  di                                                   pijëtë la palellë e va’ pë’ fòchë

ma  va’ ’lla casë dillu ’nnamoratë                             va’ alla casë dëllu ’nnamuratë

ma  pijiti doi orë                                                        pijëti dojë orë dë spassë e jochë

                                                                                  se mamëtë cë n’addonë dë chissi jochë

                               spassi  jochi                                dillë che so’ statë fajellë vampë dë fochë

ma pijti  doi  orë di spassi joche

se mamëtë ci n’addone                                              ([Non ti ho mai detto una parola cattiva

  e mamëtë ci n’addonë di li jochë                             ti ho detto se vuoi far l’amore]

dillë che so’ fajellë vampà dë fochë  e                  prenditi una paletta e vai in cerca di fuoco

quiddë che vù’ la femëna fa                                       vai a casa del tuo innamorato

prenditi due ore di spasso e gioco

se tua madre si accorge di questo gioco

dille che sono state scintille vampa di fuoco

Là quello che vuole la femmina fa)

 

La prima esecuzione revivalistica di questo canto risale al 1974 ed è contenuta nel disco dell’Albatros Canti popolari di Puglia e Lucania, La buona sera. Canta e suona la chitarra Carmelina Gadaleta. Rispetto all’esecuzione originale la Gadaleta usa un giro armonico più ampio (SIb-LAdim-SIb-MIb-FA-SIb), per cui viene a perdersi il gioco di maggiore e minore esercitato solamente su due accordi, mentre la linea melodica del canto viene alquanto rispettata.

Il problema dell’indeterminatezza tonale del brano spinge la Caterina Ventrella in una musicassetta, non datata, e intitolata “lu furestieri”, ad alternare un accordo minore e uno maggiore (Sim-FA#).

Anche in una riesecuzione del 1997, particolarmente edulcorata, si preferisce optare per l’accordo minore (Mim), con un organico strumentale composito (chitarra acustica e battente, contrabbasso, sax soprano, flauto, fisarmonica, arpa, campanelli e percussioni). Questa versione contenuta nel CD “Le tarantelle del Gargano” è cantata da Pino De Vittorio, che conserva i tratti del canto barocco, con note finali tenute. Teniamo conto che l’esecuzione è una quinta sotto rispetto all’originale.

In una versione più recente ad opera de “I cantori di Carpino” , un CD non datato ma del 2000, in un progetto coordinato da Eugenio Bennato, il primo sonetto viene riproposto dai giovani cantori di Carpino, nella forma di tarantella alla rurianë, con un ritmo però particolarmente incalzante e il canto  molto simile allo stile vocale della canzonetta. Il testo è completo.

Altro brano, che possiamo ritenere uno dei più quotati nell’ambito della riproposizione non solo locale ma anche a livello nazionale è la cosiddetta Tarantella del Gargano o Tarantelle del Gargano.  Definita recentemente sulla  rivista World Music di maggio-giugno 2004 “uno dei tradizionali italici più commoventi e intensi”, questa tarantella, di cui prenderemo in considerazione alcune versioni di riproposta,  ha conosciuto in poco più di trent’anni una serie di rifacimenti che vanno dal folk-roots, al folk revival, alla musica barocca, alla world music, al jazz, ecc.  La registrazione ‘originale’ di questo brano è stata effettuata a Carpino il 10 dicembre 1966  da Diego Carpitella e Roberto Leydi ed è conosciuta dai cantori carpinesi come sunèttë nella forma di tarantella alla mundanarë.

Il testo del sonetto è questo:

                              fai pi’ ’mà ’sta donni                      Accomë j’èja fa’ p’amà ’sta donnë

ma ’ccomë  jadda fai pi’ ’mà ’sta donnë                      di rosë ci le fa’ nu bellë giardinë

Ah! di rosë cë l’eja fa’ nu bellë giardinë                      ’ndornë pë’ ’ndornë l’eja ’nnammurà16

’ndorni p’indorni    l’ejë                                               dë preta priziosë e jorë finë

’ndorni p’indorni   l’e                                                   a mmèzë cë l’eja cavà ’na brava fundanë

’ndorni p’indorni  l’ej’annammurà                              ièja fa’ corrë l’acqua sorgendinë

sòpë cë l’eja metti ’na vuciella a candài

                               l’ej’annammuràijë                         candavë e rëpusavë bèlla dëcèvë

’ndorni p’indorni  l’ej’annammurà                              pë’ vu’ so’ dëvëntati ’na vucella

Ah! dë preta priziosë e ori finè

’mmèzë cë l’eja cavà ’na                                              (Come devo fare per amare questa donna

’mmèzë cë l’eja cavà ’na                                              di rose le devo fare un bel giardino

             cë l’eja cavà ’na brava fundanë                      che tutto intorno lo devo innamorare

di pietre preziose e oro fino

      và ’na brava fundani                     in mezzo ci cavo una bella fontana

’mmèzë cë l’eja cavà ’na brava fundanë                      devo far scorrere l’acqua di sorgente

Ah! j’èja fa’ corrë l’acqua sòrgendini                        sopra ci metto un uccello a cantare

sòpë cë l’eja metti ’na                                                 cantava e riposava bella diceva

sòpë cë l’eja metti ’na                                                 per voi sono diventato un uccello

sòpë cë l’eja   metti ’na vucella a candà                      Là vola e là

la canzone dobbiamo fare)

                           tti ’na vucella a candài

sòpë cë l’eja metti ’na vucella a candà

candavë e ripusavi bèlla dicèvi

pi’ voi  è divëntati

pi’ voi  è divëntatë

pi’ voi  è divëntati ’na vucella  e Là

Volë e là

la canzónë hamma cantà

Esecutori: Andrea Sacco (canto e chitarra battente), Michelantonio Maccarone e Gaetano Basanisi (chitarre francesi).

In questo caso, come nei precedenti sonetti Non të lei dittë ’na parola malë e Lucë lu solë quannë jè bontempë, la tessitura vocale si svolge prevalentemente nel registro acuto ed è a carattere discendente. Il canto denota una particolare oscillazione tra ritmo binario e ternario,  su ritmo essenzialmente binario della chitarra battente e francese.

La prima esecuzione revivalistica di questo sonetto con il titolo Tarantelle del Gargano risale al 1972 ed è opera di Roberto De Simone con la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Il canto contenuto nel LP della Ricodi lo guarracino rientra pienamente nella logica del folk revival di quegli anni del ricalco del documento ‘originale’. Infatti, viene quasi interamente rispettato l’organico strumentale (chitarra classica in sostituzione della chitarra francese, chitarra battente, anche se di tradizione calabrese, con aggiunta di castagnole), la tonalità del pezzo è identica a quella di Carpino (FA#m) e il tipo di stile vocale risulta molto simile alla versione del 1966. Unica differenza l’uso quasi sempre binario della voce, la regolarità degli incisi ritmico-melodici degli strumenti e la pronuncia poco corretta del dialetto carpinese.

Interessante interpretazione del sonetto di Carpino in chiave barocca  è in una ‘ricomposizione’ del 1992, in cui la Tarantella del Gargano, questo il titolo, viene attribuita, non sappiamo su quali basi, a un Anonimo del XVII sec. L’organico strumentale è composto da un violoncello, cembalo, chitarra barocca, tiorba, viola da gamba, violino e viola. La stile vocale è tipico del canto barocco con una vocalità morbida, con messe di voce e note finali tenute. Il brano è tratto dal CD Symphonia “Oh cielo, Oh Ammore” Cantate Napoletane dell’Età Barocca, vol. I, canta Pino De Vittorio.

Altra versione di questo brano, in stile etno-pop da world music (con sconfinamenti  nel folklore  sudamericano, con l’uso, accanto a strumenti musicali europei, di strumenti tipici andini come charango, flauti di Pan, ecc.), è il Bailacido di Carpino, contenuto nel CD La voce del Gargano del 1997, eseguito dai Rosapaeda, con la ‘nasalizzazione’ della voce, più vicina a inflessioni ‘partenopee’.

Un uso più ‘classico’ della vocalità (quasi da soprano leggero) è ravvisabile in una rilettura di Daniele Sepe nel CD Lavorare stanca. Daniele Sepe si è sempre cimentato nella riproposizione, con diversi organici strumentali, del sonetto di Carpino, raddoppiando quasi sempre il tempo originale. In questa versione invece conserva un andamento meno sostenuto con chiare inflessioni jazzistiche. La serenata alla carpinese registrata nel 1997 è stata pubblicata per le edizioni del Manifesto nel  2003.  La voce è di Auli Kokko. L’organico strumentale  è formato da sax tenore, alto  e soprano, tin whistle, trombe, trombone, rhodes, tastiere, basso e batteria.

Uno scivolamento verso un’edulcorazione manieristica, è in una rielaborazione pubblicata in un CD dal titolo Tarantula Garganica  del 2004, che dà il nome anche al gruppo. Il brano si apre con il suono delle cicale, e le voci che procedono per terze seguendo lo stile della canzonetta. Gli strumenti utilizzati sono una chitarra normale, una chitarra battente e la tammorra.

Rimaniamo ‘sorpresi’, ma probabilmente è l’evolversi degli eventi, nel constatare il coinvolgimento dei cantori tradizionali in questi processi ‘trasformativi’ ed ‘edulcorativi’. Infatti, pur di realizzare un prodotto commerciale qualche musicista del folk revival non ha esitato a manipolare gli stessi portatori della tradizione, rendendoli inconsapevolmente partecipi  di una trasformazione radicale dello stile tradizionale. Ne è un esempio ‘eclatante’ la versione del sonetto Accomë j’èja fa’ p’amà ’sta donnë, riproposto da Andrea Sacco (artefice della versione ‘originale’ del 1966)  nel CD “I cantori di Carpino” , non datato, ma del 2000, in cui la sua voce ‘ripulita’ al computer viene sostenuta da un ritmo particolarmente incalzante dell’accompagnamento musicale.

Fonte| http://www.vocideuropa.net

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