Conoscete veramente Carpino? Conoscete tutte le sue Chiese esistenti (alcune ancora per poco) oggi (un tempo erano molte di più)? San Cirillo, San Nicola di Mira, la Santa Croce, Sant’Anna, San Giorgio (che non tutti conoscono)…ma questa che vedete in foto chi la conosce?
Come potete vedere è stato sottratta la cornice, sicuramente di un certo valore artistico, dell’ingresso…e non solo quella.
Il cammino dei carpinesi alla Chiesa di Sant’Anna nel piano sotto la calura del sole estivo era estenuante; di tanto in tanto ci si fermava all’ombra di qualche ulivo. C’erano tutti, dagli anziani ansimanti ai bambini euforici che finalmente potevano spendere i loro piccoli risparmi per comprare confetti, gelati ed i pochi dolciumi disponibili a quel tempo sulle bancarelle appostate intorno alla Chiesa.
Le donne si erano fatte belle, e gli uomini non avevano i vestiti sporchi della campagna…anche quell’imprecisato anno c’era stato il solito tira e molla tra il proprietario di un terreno adiacente all’edificio sacro ed i passanti per quel tratturo privato (o per lo meno ritenuto tale) che arrivava alla Chiesa. Comunque ora tutti erano a messa..la campagna diventa di nuovo silenziosa, si ode l’eco della voce di Don Agostino che recita l’omelia. Poi il suono della piccola campana, la celebrazione alla protettrice delle donne incinte era finita..qualche piccolo fuoco pirotecnico..e tutti a pranzo (un pò più ricco del solito per chi era fortunato).
La festa di Sant’Anna oggi a Carpino non esiste più…la Chiesa di Sant’Anna sta cadendo a pezzi e con essa la memoria di quella festa secolare e delle giornate dei braccianti carpinesi dettate dai rintocchi di quella piccola campana sparirà.
Domenico S. Antonacci
articolo di Piero Giannini da puntodistella.it
Ma stavolta, probabilmente, non sa neanche lui lo spessore di quanto abbia scoperto nella sua recente visita alla peschiciana Abazia di Calena, condotta insieme al Gruppo Argod di San Nicandro Garganico. Lo sa benissimo invece il presidente del Gruppo speleologico sannicandrese, Giovanni Barrella, che ha indirizzato i ragazzi verso una scoperta interessantissima essendo da anni sulle tracce di una "certa" simbolistica. Comunque, tornando a Crono, braccio armato della mente presidenziale, padrone della macchina fotografica come pochi, soprattutto selezionatore sagace di ciò che intenda eternare, ha pubblicato su facebook – il network sociale che oggi va per la maggiore – 108 foto, la più parte delle quali raffigurante segni originali lasciati dai medievali scalpellini itineranti sulle pietre delle mura che erano chiamati a innalzare per dare corpo ai tanti luoghi di culto pronti a spuntare come funghi nel “tempo delle cattedrali” (siamo in epoca lontana da noi 6-700 anni).
Avendo imparato a conoscere il “fiuto” del nostro amico e adesso anche di altri personaggi come il presidente Barrella (un po’ meno, ma altrettanto valido, quello di chi l’ha accompagnato: Sara Di Bari, Vittorio Fusillo e Antonio Antonacci, oltre ovviamente ai componenti del Gruppo Argod), ci siamo piacevolmente lasciati attirare dal suo nuovo reportage fotografico, in cuor nostro sperando – non possiamo esimerci dal rivelarlo – di trovare fra le immagini la testimonianza di quanto ci sta assillando da vario tempo. E così, fra una lettera alfabetica e una sorta di firma, geroglifici e disegni di vario genere, frecce ghirigori e scarabocchi (anche), è saltato fuori, chiaro e netto, il “segno” che speravamo di trovare. Lo si può vedere nella foto del titolo: tre quadrati concentrici! (La differente colorazione gliel’abbiamo data noi per meglio risaltarlo.) Gli altri sono in calce all’articolo.
L’insieme apparirebbe come il divertissement di un artista del tempo se non rivestisse un significato che ha circoscritto gli studi dei ricercatori a due correnti di pensiero: la struttura geometrica – a volte raccordata da quattro segmenti perpendicolari, non presenti nella fattispecie, e da diagonali, talora anche da un foro centrale, nel qual caso sarebbe assimilabile a una meridiana, specie se si usi il cerchio al posto del quadrato, e alla quale con ogni probabilità ci si è ispirati nella invenzione del gioco del “filetto” presente sul retro di molte scacchiere; – la struttura, si scriveva, sarebbe il prodotto di un passatempo dell’artista, una sua estemporanea manifestazione ludica, ma potrebbe anche essere depositaria di un suggerimento simbolico.
Per la seconda soluzione propendono coloro i quali oppongono l’impossibilità di poter “giocare” in maniera verticale. Molto più semplice e giusto se il disegno si trovasse in orizzontale, non comunque sul soffitto di una grotta, come per il ritrovamento nella francese Larchens. Tra l’altro, in soccorso dell’uno o dell’altro sostenitore non viene neanche la possibilità di conoscerne l’epoca, in quanto la datazione è praticamente impossibile. L’incisione infatti potrebbe essere stata operata in contemporanea con l’edificazione del luogo in cui si trovi, ma anche successivamente o persino precedentemente, su pietre utilizzate in un secondo momento per una nuova costruzione, come si usava al tempo. Al di là di ogni possibile orientamento, tuttavia, il suo significato rimane ancora ambiguo, avvolto nel mistero della volontà di chi volle trasmetterlo ai posteri.
E non si può neanche affermare che sia lo scherzo di qualche burlone, poiché ne sono state trovate in molti luoghi, in genere chiese e abazie, ma anche in antiche strade di paese, in Italia (dal Piemonte al Veneto, dall’Emilia al Lazio al Molise, dall’Umbria alla Puglia – Vieste, San Nicandro, Monte, Lucera, le più vicine a noi – fino alle Isole) e poi in Europa, Croazia, Turchia, Giordania, Egitto. E ovunque: su rocce rupestri, parapetti di chiese, chiostri, piazze, davanzali di castelli e abitazioni, usci di case, lastre riadattate a panchine, grotte sotterranee di epoca sicuramente storica o medievale, come suggerisce il sito internet duepassinelmistero.com cui rimandiamo per approfondire il tutto.
Non solo, ma anche per seguirne l’invito e segnalare ai curatori che lo richiedono il ritrovamento di Calena. Potrebbe costituire un ulteriore prova rientrante nell’ipotesi simbolistica. Cioè una sorta di cartello indicatore per viandanti e pellegrini a suggerire che il posto era ospitale e sicuro. E tutti sappiamo quale valenza abbia avuto l’Abazia peschiciana nei vari transiti dai santuari garganici di chi andava in Terrasanta. Questa soddisfazione, però, la lasciamo a Crono, al presidente Barrella e agli amici di Argod. Facciano loro il primo passo, loro che hanno scoperto questo “segno” forse legato all’esoterismo o molto più semplicemente ai… Templari!
Vai Domenico il Gargano è tuo, sarà la tua generazione a vivere una nuova stagione per queste terre.
Foggia – Rubare l’acqua è una delle pratiche più diffuse in agricoltura e attività… collaterali, accade purtroppo da tempo in numerose aree della Capitanata, sul Gargano hanno addirittura scoperto un’intera rete di tubazioni completamente illegale. I tecnici dell’Acquedotto pugliese hanno smantellato negli ultimi mesi sul promontorio 32 chilometri di reti abusive: ieri l’annuncio ufficiale dell’Aqp a conclusione della prima attività di individuazione degli illeciti, smantellamento delle condotte abusive e, speriamo ora, di controlli più ferrei.
Ma che fine ha fatto la statua di San Michele Arcangelo che si trovava nella nicchia? E’ in fase di restauro? E’ in una delle chiese di Carpino? E’ stata rubata? Da quanto tempo non si trova più li?
Io la ricordo quindi non devono esser passato moltissimo tempo dalla sua rimozione.
Adesso:
Prima:
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Carpino – Tutto pronto per il terzo motoraduno carpinese (Primo interregionale) che si terrà a Carpino domenica prossima.La manifestazione, organizzata dal motoclub Biker’s Carpino, è accreditata dalla Federazione Motociclistica Italiana. La tappa, che percorrerà il vecchio tracciato Carpino–Ischitella prevede la presenza di diverse associazioni del sud Italia. I proventi della manifestazione saranno devoluti ai terremotati dell’Abruzzo.
Il moto club Biker’s Carpino è nato dalla passione di un gruppo di amici tre anni fa. Il presidente è Pasquale Di Viesti con i dirigenti Francesco Gioffreda e Domenico Biasco. Gli altri componenti sono Michele d’Antuono, Michele Trombetta, Di Lella Gennaro, Di Lella Giuseppe, Di Perna Francesco, Scanzano Giuseppe, Iacubino Giuseppe. Il gruppo di motociclisti, porta già all’attivo ottime posizioni in classifica generale della Federazione Motociclistica Italiana classificandosi al terzo posto al motoraduno nazionale di Salandra (Mt) e al secondo posto al motoraduno nazionale di Morrovalle (Mc) svoltosi proprio giorni fa. Nonostante gli impegni lavorativi di tutti i componenti del gruppo, si appresteranno nelle prossime date a partecipare ad altre manifestazioni.
Fonte:newsgargano.it
"Si può sempre migliorare: se punti alla luna prima o poi arrivi alle stelle" e cosi dopo Bar Wars, il reality prodotto da Sky Vivo, dopo Casalotto sul circuito 7Gold e Scorie di Nicola Savino su Raidue, lunedi scorso Laura Drzewicka è approdata al Grande Fratello su Canale 5.
Laura è diplomata in ragioneria e parla 4 lingue. Fotomodella con la passione per lo shopping e per gli Swarovsky, Laura è una ragazza appariscente ed espansiva a cui piace prendere la vita con leggerezza ed entusiasmo.
Laura è per metà di origine polacca e per metà di origini garganiche, di Carpino.
Fino all’età di 10 anni ha vissuto ad Amburgo in Germania, con i genitori, proprietari di un ristorante.
Quando il ristorante è fallito nel 1996 lei e la mamma sono venute in Italia.
Laura, dopo la separazione dei genitori, da ormai più di dieci anni non ha più rapporti con il padre, tant’è che non ha nemmeno il suo numero di telefono e non saprebbe nemmeno come contattarlo.
Invece con la madre ha un rapporto simbiotico, lei è il suo vero punto di riferimento.
Laura è single e ha deciso di prendere il GF “come una seduta psicologica!”. Le piace definirsi una Barbie e il suo motto è ”il mio mondo è rosa e essere Barbie è un complimento perché è di plastica, si piega ma non si rompe mai”.
Sul sito “www.capitanata2020.eu”, sono pubblicati integralmente il Metaplan integrato del Piano strategico di area vasta e il Piano Urbano della Mobilità “Capitanata 2020 – Innovare e Conettere”.
Sotto il titolo «Un Piano di sistema fino al 2020 per migliorare la qualità della vita di mezzo milione di cittadini» la visione della grande città metropolitana, di 4.773,68 chilometri quadrati di superficie, che intende migliorare in dieci anni la qualità della vita di mezzo milione di donne e uomini da Foggia ai Comuni di Apricena, Cagnano Varano, Carapelle, Carpino, Cerignola, Chieuti, Foggia, Ischitella, Isole Tremiti, Lesina, Manfredonia, Mattinata, Monte Sant’Angelo, Ordona, Orta Nova, Peschici, Poggio Imperiale, Rignano Garganico, Rodi Garganico, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, San Paolo di Civitate, San Nicandro Garganico, San Severo, Serracapriola, Stornara, Stornarella, Torremaggiore, Vico del Gargano, Vieste e Zapponeta.
Ecco i progetti del Comune di Carpino classificati in base agli obiettivi di indirizzo ed ad una scala di priorità che va dal I al IV Livello. Nelle schede di dettaglio, raggiungibili cliccando sui link, tutti gli altri progetti.
RETI E MOBILITÀ
III Livello
Realizzazione di una circonvallazione di collegamento tra la strada provinciale SP50 e con la strada provinciale SP51BIS
AMBIENTE E SPAZIO RURALE
I e II Livello
Attrezzamento e messa in funzione del "campo pozzi" realizzato dal Consorzio di Bonifica Montana del Gargano per usi irrigui
III Livello
Lavori di mitigazione dello stato di rischio idrogeologico del territorio di carpino e del Lago di Varano
CITTÀ E SOLIDARIETÀ
II Livello
Carpino Folk Festival – il festival della musica popolare e delle sue contaminazioni
III Livello
Struttura di accoglienza a supporto delle manifestazioni folcloristiche "Folk Festival"
Soggetti coinvolti: Provincia FG, Parco Naz Gargano, Comune di Carpino
Oggi, 20 ottobre 2008, come era già stato annunciato precedentemente sul sito di Fuoriporta, è avvenuto a Carpino un incontro organizzato dal Consigliere Provinciale Rocco Ruo inerente al decreto del 16 settembre 2008, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie generale n. 224; dichiarante l’esistenza del carattere di eccezionalità degli eventi calamitosi avvenuti nei territori agricoli di Carpino, Ischitella, Vico del Gargano.
Hanno preso parte al tavolo tecnico il Capogruppo del PDL e Consigliere Provinciale Rocco Ruo, il sindaco di Carpino Rocco Manzo, il sindaco di Ischitella Piero Colecchia e per Vico del Gargano l’Assessore all’Agricoltura e Foreste Roberto Francesco Budrago, l’ingegnere Milena Spinello, il funzionario della Provincia Tancredi.
Durante l’incontro i tecnici hanno spiegato come si fanno a presentare le domande ed è emerso che alcune particelle, seppur avendo subito danni, non sono state inserite nel decreto.
A tal proposito, dopo il 7 novembre, scadenza per presentare le domande riguardanti le particelle inserite nel provvedimento, il Consigliere Provinciale Rocco Ruo si impegna insieme all’Assessore Santarella a disporre un altro tavolo tecnico per chiedere alla Regione Puglia una rettifica del precedente decreto ed emanarne un altro dove inserire anche quelle particelle che sono state escluse.
da Fuoriporta.info
GARGANO MAGICO
Quando, finita la sconvolta discesa di Cagnano, si aggredisce il rettilineo lanciato attraverso la vasta pianura, l’occhio è attento solo all’asfalto che sfila sotto le ruote e, ingannato dall’uniforme piattezza che nasconde persino il lago, trascura Carpino, alto sul pinnacolo di una collina, mezzo nascosto dal movimentato scenario della stretta valle tagliata come una ferita nelle pietrose profondità garganiche.
Carpino è la risultante di una gara tra fantasie anarchiche, un gioco urbanistico realizzato senza regole che alla fine, benché ciò non rientrasse nelle previsioni, ha trovato una perfetta, compiutissima unità. Veduto dalla strada statale, sembra una bizzarra costruzione cubista eretta da bambini fantasiosi con dadi variamente colorati. Si potrebbe pensare ad un villaggio di nani, costruito sulla loro misura; eppure gli uomini che lavorano nei campi sono di taglia atletica, nerboruti, bisognosi di spazio anche quando crollano per il riposo.
Infatti, di mano in mano che si sale il colle in cima al quale è arroccato il paese, le prospettive di Carpino si definiscono. Il cilindro giallo che si vedeva in lontananza è il breve torrione di un castello ora trasformato in caravanserraglio per non so quanti nuclei familiari, i cubi azzurri, gialli, bianchi sono case tutte quadrate e uguali, con terrazze, balconi, altane a livelli diseguali che si rincorrono in aeree scalinate verso il cielo.
Le strette viuzze sembrano fenditure d’ombra nella gaiezza policroma delle abitazioni e ci si arrampica con le capre camminando sotto cascate di gerani che traboccano dalle terrazze, dai davanzali di aeree finestre raggentilite da cornici di lineare eleganza, da panciuti, spagnoleschi balconi in ferro battuto. Quale immaginoso architetto ha elaborato le improvvise scenografie delle ardite scalinate, le quinte policrome di case disposte con capricciosa asimmetria per limitare la vastità del paesaggio spalancato sulla valle, chiudere nel cerchio di raccolta intimità il villaggio battuto dai venti garganici?
Contadini analfabeti, e muratori altrettanto analfabeti furono gli ignari artefici del miracolo urbanistico; le cornici essenziali che chiudono le finestre, le porte ad arco sulle facciate disadorne, l’aggetto dei terrazzi su povere case, rivelano una civiltà del gusto certo non imparata a scuola, ma dall’armonia del paesaggio in cui questa gente vive, svariante fra montagna, pianura, lago e mare. E sono ancora contadini analfabeti ad ornare con festose ghirlande di gialle pannocchie, di peperoni scarlatti, disposte con inconscio gusto della decorazione, le facciate delle case esposte al sole, a chiudere con dorati fondali di granturco i vani terminali di stradette aperte sulla vallata.
Carpino gode immeritata fama di paese insicuro. Gliela procurò un libro, tradotto in film, che ha denigrato l’intero Gargano. Il signor Roger Vailland, quando, venne in vacanza da queste parti, raccolse come autentiche ed attualissime antiche vicende sepolte da secoli. Gli uomini che siedono al rezzo sulla quadrata piazzetta dominata dalla chiesa, limitata e definita come un palcoscenico su cui la domenica sì recita la piccola sagra delle modeste vanità locali, sono diversissimi da quelli che lo scrittore francese ha abbozzato nel romanzo « La legge », divulgato poi dal film omonimo.
Nelle ore che precedono il tramonto, quando l’aria estenuata dalla calura sfiora con le prime folate fresche i tetti delle case, i carpinesi si riuniscono in piazza, quelli che non lavorano, s’intende, perché gli altri tornano dai campi a notte piena. Il campionario è completo, tutte le classi sociali del paese sono rappresentate. C’è il ricco possidente, ma senza la iattanza del feudatario; c’è il professionista, ma senza la boria del colto fra gli analfabeti; c’è il maresciallo dei carabinieri, ma non la intimidatrice autorevolezza dell’autorità costituita; c’è il manovale povero e analfabeta, ma senza la falsa umiltà del debole angariato.
Formano una comunità ben definita, non afflitta da stridenti ingiustizie sociali. Anche il ricco, quando vi indicano le sue proprietà, risulta un ben povero nababbo; i suoi poderi sono distese di pietra su cui si affannano le capre in cerca di pascolo. Però, il signor Vailland era determinato a scrivere un romanzo ad effetto sull’Italia Meridionale, e poiché altri filoni erano già troppo sfruttati, si rivolse al Gargano, ancora poco noto alle platee avide di sensazioni forti.
Un vecchio feudatario sensuale, cinico, sterminatore di vergini, spietato sfruttatore di plebi sottomesse gli andava bene per un romanzo a tinte fosche impostato sulle differenze sociali nell’Italia Meridionale. Non si può negare che condizioni simili esistano nel Sud non nel Gargano, dove il ricco autentico non esiste. Sovente la ricchezza è più stracciona della povertà, per cui è difficile distinguere l’aristocratico dal manovale. Eppure, nel romanzo dello scrittore francese non c’è un personaggio pulito; prostitute, ruffiani, pervertiti, aguzzini si rincorrono in lubrico carosello nel perfetto scenario garganico ruotando attorno al tema di un vecchio gioco ormai in disuso, appunto « La legge ».
E’ un vecchio, abusato cliché cui ci ha abituati la letteratura sull’Italia Meridionale, ma il Gargano non può entrare nel gusto di scrittori criminal-folcloristici proprio perché nella sua storia non ci sono tradizione fosche. La gente è pacifica, di indole mite, forse un po’ pigra, aliena dalla violenza e dal delitto. Sono uomini di scorza ruvida, spinosi come i giganteschi fichi d’india che crescono nella pianura spalancata verso il lago, forse inclini a mettere le mani su piccole cose che non gli appartengono; capre, giumente, muli sorpresi liberi nel pascolo. Dopo averli conosciuti, si comprende che sarebbero generosi, ospitali, se lo potessero. Non potendo offrire altro, diventano amici di chi li avvicina, persino fastidiosi nelle manifestazioni di eccessiva cordialità non sempre disinteressata.
Bellissimo e scenografico, Carpino è forse il villaggio più povero del Gargano, con poca terra da coltivare, assai lontano, nella pianura sconfinante col lago di Varano, con greggi di capre sparse a brucare la scarsa erba sui petrosi pascoli della montagna. Se gli uomini fossero nati inclini alla violenza, nessuno se ne sarebbe stupito; l’ambiente e le condizioni in cui vivono li avrebbero giustificati.
Invece, come tutti i garganici, sono duri solo in apparenza, subito sciolti con coloro che cercano di comprenderli.
Giocano ancora alla « Legge »? Sì, giocano ancora, ma non nei modi con cui li ha descritti Roger Vailland. Si riuniscono in cinque o sei nell’osteria, ordinano alcune bottiglie di vino, o di birra, ed incominciano a puntare con le dita, chiusi in un cerchio di complicità impenetrabile. Si direbbe che congiurino, e giocano soltanto una specie di morra per eleggere il capo, colui che detterà legge. Egli ha il diritto insindacabile di far bere il vino, o la birra a chi vuole lui, mentre tutti gli altri pagano.
Una sola seduta mi convinse che « la legge » è un gioco noioso per chi, come me, non sa penetrare nell’atmosfera di mistero che i giocatori creano, senza comprendere che quel gioco può essere, per alcuni, l’occasione di bevute gargantuesche quasi gratuite. Inoltre, c’è il piacere della beffa, il sorriso agro degli esclusi, la gioia di risate irrefrenabili quando qualcuno si ribella alla « legge ». E’ un gioco molto diffuso nel Meridione, chiamato talvolta passatella, talvolta tocco, talvolta legge.
Un tempo, chi era eletto capo della piccola assemblea di bevitori, aveva il diritto di offrire il bicchiere a chi voleva, ma anche di processarlo dicendogli tutto ciò che pensava di lui, di sua moglie, dei suoi figli, delle sue sorelle, salvato dall’immunità che gli derivava dalla sua condizione di capo. Accuse di furto, adulterio, violenza carnale, pecoraggine erano pronunciate a mezza voce nel fumoso stanzone dell’osteria: cadevano come macigni sull’accusato cui il vino ricevuto dono si trasformava in fiele. Ma nessuno osava ribellarsi, quella era la legge.
Ciò accadeva un secolo addietro, anche i più anziani ne ricordano le movimentate notti invernali trascorse nel gioco della « legge », trasformatosi ora in modesto antagonismo bibitorio. Sempre più raramente, distratti da altri intere (il cinema, la televisione, una certa facilità di amoreggi con le ragazze), si seggono attorno al tavolo, eleggono il capo e attendono la designazione col pomo d’adamo che gli guizza sotto la pelle del collo, tutti in succhio nella speranza di bere quasi gratuitamente alcuni bicchieri di vino.
La sera quando gli uomini tornano dal lavoro nei campi, il palcoscenico della piazzetta si anima d’improvviso. Seduti sui bassi scranni, gli anziani che hanno trascorso le ore in silenzio, cacciando con pigre mani la molestia aggressiva delle mosche, si risvegliano dal letargo per commentare la vita di tutti coloro che sfilano sotto i loro occhi distratti, uomini di pelle scura, conciata e arrostita dal sole, gli sguardi allucinati dal lungo riverbero luminoso, la schiena stroncata dalla fatica della mietitura.
Nelle ore torride della canicola Carpino sembra un paese ubbriaco di luce, un paese stordito dalla vampa, reazioni con le viuzze deserte e la piazza devastata dal spietato. Sono le ore che preferisco in questo fantasioso villaggio, mi eccita il pensiero di camminare sul sonno della gente abbandonata alla siesta, fra le galline che chiocciolano razzolando fra la spazzatura della strada, fra gli asini legati al muro e con le frange inerti a sfiorare il suolo.
Tutto è immobile nella luce arroventata, il silenzio è profondissimo, il ronzìo delle mosche instancabili rimbomba con fragore. Da un’altana, dal terrazzo di uno scoglio, l’occhio ha tutto l’orizzonte per sé, domina la dilagante pianura gonfia di umori caldi. Dal torrioncino di pietra gialla del castello, su cui sventola l’afflitto pavese di povera biancheria intima stesa ad asciugare, il lago di Varano appare come sommerso dalla cateratta di luce che crolla dal cielo sterile.
L’acqua si stempera in tonalità grigio-azzurre, diversificandosi dall’Adriatico non per il sottile istmo di sabbia gialla ma per il variare dei colori; verde fondo il mare, grigio spento il lago.
Tra i campi gialli di stoppie, le cicale si eccitano stridendo con frenesia monotona, ubbriache di sole. Splendono i pomidoro come vampe nell’aria infuocata; sulle pale immense dei fichi d’india, un freddo metallico che non dà ristoro all’occhio abbacinato, gonfiano i frutti spinosi, grossi, polposi, dolcissimi.
Folgorato dal sole, Carpino attende il brivido delle prime ombre serali per ridestarsi; allora il «Caffè Vittoria» e la piazza incominciano a popolarsi per i quotidiani, pigri pettegolezzi, cui il cantilenante dialetto toglie ogni asprezza.
Dopo tanto sole, non si ha più l’energia necessaria alla cattiveria autentica; gli antagonismi, le avversioni, si esauriscono in placata maldicenza, tutti hanno coscienza di essere simili agli altri nei difetti e nelle qualità, di condividere un destino poco benevolo che tutti eguaglia.
Carpino è un paese bellissimo e malinconico. Qui nessuno canta, nemmeno le donne che al tramonto, strette nell’ombra avara delle case basse, rammendano panni lavati e rattoppati fino allo spasimo. L’esistenza non è gioconda per questi uomini, persino le cantilene per addormentare i bambini sembrano tramate di pianto; echeggiano la tristezza congenita di questa gente che ha come scenario il fantasioso villaggio arroccato sul pinnacolo di una collina battuta dal vento e folgorata dal sole.
Sono nenie che parlano di morte già vicino alla culla, una preparazione all’esistenza dura, quasi disumana, da incominciare subito; coloro che sono appena giunti devono abituarsi presto alla realtà della fatica tremenda cui, per sopravvivere, saranno dannati nel paesaggio di struggente seduzione, ma ostile all’uomo.