Riflessioni seguite alla notizia di lotti da edificare nella piana di Kàlena a Peschici
Di Michele Eugenio Di Carlo
Vieste, 18 gennaio 2009
E l’Abbazia di Kàlena?
A chiunque giunga a Peschici da Vieste, percorrendo la strada interna, Kàlena appare maestosa, padrona del cielo e della terra, compiutamente adagiata nella sua solitudine, così come l’hanno voluta i suoi ispirati e audaci costruttori, così come i secoli passati l’hanno pietosamente conservata, così come artisti di pregio l’hanno rappresentata, così come fotografi di fama l’hanno immortalata.
Rilevanti il paesaggio agreste e il contesto paesaggistico da cui Kàlena emana i suoi bagliori ricchi di cultura e di storia millenaria, quanto la stessa autorevole e simbolica costruzione, quanto la magia che la avvolge nel mistero dei tempi andati, quanto le emozioni che il luogo della memoria
suggerisce a chi sa leggere nelle sottili trame di un misticismo indelebile.
Più in là, verso la spiaggia, laddove l’insostituibile ma distrutto sistema delle dune, in perenne e precario equilibrio tra acque, venti e sabbie, doveva pur rappresentare un’altra delle autentiche meraviglie della natura garganica, solo caos, cementificazione disordinata, speculazione edilizia, devastazione di un territorio offeso, oltraggiato, a marcare un raccapricciante comune denominatore nel nostro Gargano meraviglioso, non più “sperduto”, semplicemente perso.
Ma come salvare l’Abbazia se non si rispettano il paesaggio, l’ambiente, la peculiarità e l’identità del luogo?
E per salvare Kàlena non è stato ancora posto un vincolo paesaggistico anche nelle sue adiacenze?
Se così è l’Abbazia di Kàlena si appresta a seguire il triste destino che incombe sui tanti luoghi della memoria.
Un destino legato, qui come altrove, a comunità umane svuotate dalle antiche ambizioni culturali che, spesso e più volte nella storia, hanno consegnato alla nostra penisola la fama universale di centro di cultura e di arte. Cultura e arte che qui, nel nostro Gargano, hanno origini antiche e tradizioni consolidate, che anche l’uomo protostorico seppe esprimere e rappresentare, degnamente, sempre con rispetto, comunque con amore.
E se in una notte di stelle e di tramontana, vi dovesse capitare di sostare davanti all’Abbazia, chiudete gli occhi, e ascoltate il canto del mare e del vento sussurrare quiete e pace all’anima.
E oltre la selvaggia febbre edilizia dell’uomo, tutto proteso verso un’assurda modernità dal sapore aspro e amaro di un’identità perduta, sentirete quasi un canto gregoriano provenire dall’ Adriatico “aperto” al sole che nasce. Dove da sempre moltitudini di esuli preganti giungevano alla “Terra promessa”, accolti e rifocillati verso una “nuova rinascita”.
E Kàlena fu edificata lì, solitaria, a testimoniare la cultura dell’accoglienza dei discendenti garganici di Noé, quasi a tramandare nella notte dei tempi le voci greche, diomedee, omeriche, alla fonte delle nostre origini.
E nessuno, nemmeno l’edificazione della piana di Càlena, il colonnato alla “Mancina”di Vieste, la lottizzazione della Necropoli di S. Nicola, l’aggressione alla spiaggia di “Chiancamasitto”, le tante sopraelevazioni nei nostri centri storici, i tanti paesaggi perduti …. ,a passo fermo e socchiuse le palpebre, potrà impedirci di sentire quella nenia antica salire dalle onde.
Voce del passato, sempre presente, mossa a pietà e supplicante, affinché si liberi oltre il mare, ancora una volta, libero e forte, il nostro “grido di dolore”. A richiamare la memoria, a ripensare la storia, a seguitare le tradizioni.
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