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La pioggia non ferma il Folk Festival di Carpino. Bagnato ma fortunato: record superati

E’ di oggi un articolo del Quotidiano di Puglia di Piero Giannini
CARPINO – Il Festival di Carpino chiude sotto un temporale che ha rovinato un po’ il concerto di Teresa De Sio e la festa. “Rovinato”? E perché rovinato! Quando dopo otto giorni di semina ti arriva una scrosciata d’acqua, quanto hai deposto nel terreno di coltura ha tutte le probabilità di germogliare a tempo debito e fruttificare, meglio e di più. Mettiamola così, senza parlare di delusione, come ha fatto qualcuno, o aspettative finali mancate, come qualche altro avrà pensato. Personalmente siamo sempre della corrente di pensiero del “bicchiere mezzo pieno”, il mezzo vuoto non lo vediamo proprio. Teresa, e con lei il Carpino Folk
Festival, avranno tutto il tempo di rifarsi, la De Sio è donna sensibile e per niente “diva”, lo dimostrano le sue sporadiche apparizioni televisive.
E’ donna “fattizia”, si dice da queste parti, e non fa sorprese. E poi, perché rammaricarsi – se qualcuno sia caduto in questo errore – di due ore non andate come tutti si attendevano, quando ce ne sono state tantissime altre che hanno denunciato la vitalità di una manifestazione, l’essere e non solo l’apparire di una organizzazione, la pregnanza di un “raduno” che non ha avuto un attimo di sosta (ne siamo diretti testimoni, avendo piacevolmente dovuto star dietro a una valanga di comunicati-stampa e veline di ogni tipo!), il turgore vitale di una convention che quest’anno, a nostro modesto parere, ha dimostrato ‘in toto’ la capacità di rompere gli argini e tracimare nei cuori e nelle menti non solo degli aficionados.
Altro che bicchiere mezzo pieno… al bicchiere è mancato solamente il colletto!
Dilungarsi sulla distribuzione dei “bravo” a chi ha pensato a costruire un prototipo silenzioso ma già dirompente, sin dall’inizio, diventato col tempo e le edizioni una rombante “formulauno” da competizione, lo riteniamo riduttivo. Non ci sono “bravo” che tengano nei confronti di giovani uomini e anziani ragazzi, di pensatori e produttori d’idee, di geniali animatori e costruttori di formidabili “apripista” che non lasciano nulla al caso e si battono per giuste “battaglie” e campagne promozionali atte a non lasciar morire, anzi a rinverdire, ciò che definiscono patrimonio immateriale. Non ci sono complimenti e congratulazioni che bastino per una “tribù” che ha fatto della tenacia e dell’amore per la propria terra l’arma vincente di una guerra allargata e finalizzata al recupero vitale di “pietre fondanti” a dimostrare che il “futuro” si costruisce soltanto se esiste un “passato” al quale il “presente” faccia da trampolino di lancio.
Inutile pertanto ricordare i Basile, i Trezza, i Castelluccia, i Piccininno, i Maccarone, i loro ospiti e l’intera stratosferica “genìa” che costituisce il Festival. Ormai non sono più pezzi a se stanti, intercambiabili quanto si voglia, di una complessa struttura, ma la “struttura”stessa, non più i cingoli o le ruote dentate o la torretta
di un carro armato, ma il carro armato medesimo, che punta avanti deciso, non conoscendo ostacoli, superando pantani di freddezza e paludi d’indifferenza, gattopardesche “macchie” d’insensibilità e impotenti, alla lunga, freni e pseudoastuti quanto inutili dragaggi volti a sminuirne potenza e valore.
Morto un re se ne fa un altro, suol dirsi. Conclusa la 13.ma edizione si pensa già alla 14.ma. E deve essere così, dovrà sempre essere così. Le “cose belle” non hanno termine quando sono “veramente belle”. Altri, non sicuramente noi, parleranno della 140.ma edizione, e – forse – diranno le stesse cose che stiamo scrivendo o – forse – tratteranno del Folk Festival con toni più trionfalistici, perché – ce lo auguriamo – la manifestazione sarà diventata un evento europeo se non addirittura internazionale.
Il latino “ad majora” ci sta bene, a questo punto, ci va a fagiolo, in quanto il Cff non può che migliorare e migliorarsi. L’acqua a catinelle della chiusura solo il contadino sa quanto faccia bene!

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